(think fast, fail fast, fix fast)


Yesterday's Papers

(Re)Light My Fire: ce ne frega ancora qualcosa dei Doors? (Hot)

Trentemøller, il Vasco Rossi della techno (Hot)

I ♥ Pet Shop Boys (nonostante tutto...) (Hot)

The Hours: Damien Hirst ha fondato una band (o forse no) (Hot)

SXSW: la volta all'anno che Austin diventa la capitale dell'indie mondiale
(Repubblica XL)

Bob Marley: la leggenda del santo fumatore (Io Donna)

Mile High Punk: ragionare sui Sex Pistols a 10.000 metri d'altezza (Hot)

Lacuna Coil: la cui cantante, nel caso non si fosse capito, è gnocca (Repubblica XL)

Jim Kerr: che voleva dire, esattamente, "nuovo sogno dorato"? (Io Donna)

Coldcut: "È imprevedible quello che succede quando il suono incontra la vita" (Hot)

45giri: il formato che doveva morire (Hot)

Hard-Fi: quelli che Scarlett Johansson non ha mai sentito nominare (Repubblica XL)

Incontrare Ursula Rucker e chiederle: "ma tu scrivi prima la musica o i testi?" (Hot)

Arctic Monkeys: come internet trasformò un cartone animato in realtà  (Repubblica XL)

Tiga: "la prima volta che ti chiedono un remix è come la prima volta che baci una ragazza" (Hot)

Da Brian Eno ai Franz Ferdinand: di che cosa parliamo quando parliamo di "art-rock"? (Hot)

The Strokes: “il CBGB's? che si fotta” (Repubblica XL)

Confessions On a Dancefloor: Madonna e l'ultimo capodanno dell'umanità  (Hot)

Mister Cartoon: il tatuatore più famoso del mondo e il suo ferro da stiro (Hot)

Art Brut: "abbiamo formato una band" (Hot)

Ozzy Osbourne: un vecchio zio nella casa degli orrori (Repubblica XL)

Tracey, Damien e Grayson: sai tenere un Segreto? (Io Donna)

Scuola Furano: fuga dalla scuola media (Hot)

Roisin Murphy: quella sua maglietta stretta (Rolling Stone)

Violante Placido, per gli amici Viola (Io Donna)

Joy Division, the movie: non esattamente Last Days, e nemmeno The Doors (Hot)

30 domande a... WhoMadeWho (Hot)

Allun, Offlaga, Uochi Toki e gli altri: marziani italiani (Repubblica XL)

Devendra, Sufjan, Rufus: le radici in un passato immaginario (Hot)

Sigur Ros: niente più strategia dell'oscurità , o quasi (Repubblica XL)

Arcade Fire: sette musicisti, tre funerali e un matrimonio (Repubblica XL)

C30-C60-C90: il culto del mixtape (Hot)

"Piripiri-piripiri-piripiri-pi": più famosa di Yesterday dei Beatles (Io Donna)

Tosca + The Dining Rooms: due dischi, quattro musicisti e sette bambini (Hot)

E arrivò il giorno in cui i lettori del Corriere conobbero le Coco Rosie... (Io Donna)

Tattoo You: sì, nel 2005 c'è ancora qualcuno che scrive articoli sui tatuaggi (Hot)

Springsteeniani d'Italia: il culto di Bruce (Io Donna)

From Genesis to revelation: la dj-culture scopre il prog? (Hot)

It began in Ibiza: la Summer of Love e tutto il resto (Hot)

A Grottaferrata, a sentire il nuovo album dei Subsonica, mentre loro mi guardano strano (Rolling Stone)

Joss Stone: mind the Gap, please (Io Donna)

Red Bull Music Academy: la scuola per dj più pazza del mondo (Rolling Stone)

Sk8r boi 2005: la musica che gira intorno allo skate (Hot)

Antony & The Johnsons: "volevo essere Isabella Rossellini" (Rolling Stone)

Coldplay/Guns'N'Roses: scusate il ritardo (Io Donna)

World Wide Clubbing: prima viaggiare, poi ballare (Hot)

Moby: "voglio vivere come dentro una tomba"
(Io Donna)

Discoinferno: i dieci anni che cambiarono il clubbing a NY (Rolling Stone)

Belle de Jour: "anal sex is the new black" (Io Donna)

Optimo: i biscotti per cani e il futuro del djing (Hot)

Polyphonic Spree: il meraviglioso mondo di Tim DeLaughter
(Musica di Repubblica)

Mercury Rev: in segreta migrazione (Rumore)

EMA: (mica tanto) European Music Awards (Io Donna)

White Stripes: i Kraftwerk del 2000? (Rolling Stone)

Kasabian: il Gabibbo e Charles Manson
(Musica di Repubblica)

The Cure: la vita è un lungo fascinoso imbrunire
(Rolling Stone)

Miss Violetta Beauregarde: ultra-Violetta! (Rumore)

Franz Ferdinand: il successo è una cosa che succede
(Musica di Repubblica)

Lollapalooza: Woodstock per la Generazione X
(Rolling Stone)

Io tigro, tu tigri, loro Le Tigre... (Rumore)

Duran Duran: Wild Boys vent'anni dopo
(Musica di Repubblica)

Radio Dept.: Radio Free Sweden (Rumore)

Milano-Roma-Barcellona: trans Soulwax express (Rumore)

The Libertines: "vuoi sapere che si prova ad avere nella band un potenziale Sid Vicious?"
(Musica di Repubblica)

Gabrielle Drake: Pink (Moon)base
(Rolling Stone)

Janet Jackson: e Dio creò le tette (GQ)

Discocaine: viaggio al termine del nightclubbing (Hot)

Beastie Boys: To The 5 Boroughs (Rumore)

2004: dance is (not) dead? (Rumore)

The Streets: "pensavo di essere noiosissimo, pensavo che nessuno mi capisse"
(Tutto/Rumore)

Golia & Melchiorre: un Bugo, anzi due (Rumore)

Malcolm McLaren: comprereste un'auto usata da quest'uomo? (Hot)

Do you remember the Summer of Love? (Rolling Stone)

PJ Harvey: e alla fine arriva Polly (Jean) (Rumore)

William Gibson: non tutte le predizioni devono per forza avverarsi (Tutto)

The Darkness: old Skool of Rock (Rumore)

Morrissey: un alieno a L.A. (Rolling Stone)

Von Bondies: Detroit, botte & rock'n'roll (Rumore)

Courtney Love: la fidanzata d'America (Rumore)

Coldplay: livin' la vida glamour (Rumore)

Iggy, ti presento Peaches... (Rumore)

Black Rebel Motorcycle Club: belli, neri e ribelli (Rumore)

The Rapture: punk, funk, moda & modelle (Rumore)

The Queer is Dead: trent'anni di rock non-solo-eterosessuale (Rumore)

I Maniaci Dei Dischi: il futuro è un dj a sei mani (Rumore)

La strada di Zwan: Billy Corgan e il tempo ritrovato (Rumore)

"Così Tanto Amore da Dare": in giro per Londra a caccia di Dj Falcon (Rumore)

Massive Attack: 3D, cuore di tenebra (Rumore)

Sigur Ros: "il mondo è più divertente di quel che potresti credere" (Rumore)

The Osbournes: gruppo di famiglia in un inferno (Rumore)

Last Night a DJ Saved My Life: essere dj nel 2002 (Rumore)

Primal Scream: "il problema è che noi non siamo gli Oasis" (Rumore)

David Holmes: una vita per il cinema (Rumore)

My Bloody Valentine: soffice come la neve (ma caldo dentro) (Rumore)

Stuart David: fold your book, child... (Rumore)

Chemical Brothers: è iniziato in Africa-ka-ka-ka... (Rumore)

Money Mark: lo spirito delle persone si infonde nelle macchine (Rumore)

Non solo Anniottanta: il lato oscuro dell'Eighties-revival (Rumore)

Solex: ovvero Beck con le mestruazioni (Rumore)

Starsailor: "purezza" è la parola chiave (Rumore)

Lamb: l'opposto dell'amore non è l'odio, ma la paura (Rumore)

Verdena: paura & disgusto dalle parti di Bergamo (Rumore)

Quando incontri Bjork e poi parenti e amici ti chiedono: "ma com'è lei veramente?" (Rumore)

Copia Icona: Thora Birch e il congelamento di Kate Moss (Rumore)

The rhythm, the traxx, the Basement, the Jaxx... (Rumore)

Radiohead: "odiare la musica è pericoloso" (Rumore)

Damon & Jamie: Gorillaz nella nebbiaz (Rumore)

Tool: i Radiohead del post-metal (Rumore)

Depeche Mode: l'heavy metal dello spazio interiore (Rumore)

Soft Cell: quest'ultima notte a Sodoma (Rumore)

Die Moulinettes: brevi amori a Jesolo e Bibione (Rumore)

Future Pilot AKA: Wild Thing dei Troggs è l'equivalente pop dell'uomo delle caverne (Rumore)

Daft Punk: 0ne m0re t1me? (Rumore)

Kings Of Convenience: un mondo di canzoni ideali (Rumore)

Riot Grrrls 2001: girls just want to have fun? (Rumore)

La Crus & Avion Travel: i nuovi tradizionalisti (Rumore)

Me and Alan McGee: le etichette che hanno fatto la storia, da Rough Trade alla Creation (Rumore)

Giuliano Palma & The Bluebeaters: it's a wonderful, wonderful life (Rumore)

Il giorno che Roni Size mi mandò (quasi) a quel paese (Rumore)

Mtv (de)Generation: vogliono trasformarci in Arancia Meccanica, ma noi siamo più veloci (Rumore)

Belle & Sebastian: "talvolta al mattino mi sveglio e mi sento Andy Warhol" (Rumore)

Yoshinori Sunahara: il non-luogo dell'anima (Rumore)

Londra: 333 italiani
("D" di Repubblica)

Mr.Oizo: l'uomo che muove il pupazzo (Rumore)

Nine Inch Nails (e Marylin Manson): speranza e vaselina (Rumore)

Stupiti & Confusi: apologia (o quasi) di Chloe Sevigny (Rumore)

Mò Wax: non necessariamente trip-hop
(Dance Music Magazine)

Pop Life!: dai Beatles ai Boo Radleys passando per i Sex Pistols (Rockstar)

“Generazione M”: i ragazzi con la spina nel fianco (Rumore)

 

Weblog Commenting by HaloScan.com

Tuesday, February 28, 2006

Però, dopotutto
Strumentale, remixato da James Lavelle e con sopra una voce tipo Richard Ashcroft, il pezzo di Gianluca Grignani non sarebbe poi così male.

(ah ecco, non a caso è ultimo nella classifica parziale)

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Thursday, February 23, 2006

Clap Your Hands, Wave Goodbye
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In un sorprendente quanto miracoloso fenomeno di autosuggestione collettiva, nel momento stesso in cui i Protagonisti Della Serata salgono sul palco - e ho detto salgono sul palco, non si è ancora parlato né di imbracciare gli strumenti né di farne uso - nello stesso momento in cui i Protagonisti Della Serata salgono sul palco, all’unisono in ogni singola testa presente in platea si accende misericordiosa l’allucinazione che trasformerà l’orrenda via Paravia e il due volte orrendo Transilvania rispettivamente in una Bowery e in un CBGB’s. Olè. Che sollievo, che meraviglia, che piacevole sensazione. E che struggente desiderio che l’allucinazione continui anche dopo, e non termini invece - con un mesto pffffft, in guisa di palloncino sgonfiato - dopo la micragnosa taccagnissima oretta e dieci di concerto-senza-bis concessa dai Protagonisti Della Serata.

Protagonisti Della Serata il cui essere newyorkesi di certo non richiede i sottotitoli per essere compreso - tanto te lo fanno cadere dall’alto il piacere che ti stanno facendo ad essere su quel palco a suonare. Ma tant’è: sono antipatici e sulle loro fino a risultare persino buffi, ma il concerto è straordinario. Straordinario, veramente. Molto più del disco, molto più delle scommesse con gli amici scettici. Molto più delle leggende lette sui blog statunitensi. Un concerto che non gli puoi dire nulla, che procede dal primo minuto all’ultimo con il vigore di un giovane torello. Senza mai esagerazioni - è vero - senza intemperanze, ma anche senza cali di tensione. E c’è qualcosa di magico - nel senso alchemico del termine - in come i suoni ed i riverberi si moltiplicano tra loro, in certi momenti, fino a costruire una specie di muro del suono “aperto davanti”. Ciò è curioso, perché il muro del suono in genere è qualcosa che viene alzato tra il pubblico e la band come a segnare una inclusione/esclusione, mentre nel caso dei CYHSY viene a costruire una sorta di “quinta” acustica. Visto che la cosa è difficile da spiegare a parole, vi ho fatto un disegno.



Le frecce indicano il contributo di ciascun musicista alla costruzione della “quinta sonora”. Ciò detto, viene invece da chiedersi a chi mai sia venuta l’idea di affiliarli alla cosa del punk e del funk, visto che tutto sono meno che riconducibili a qualsiasi modernità. Sono incredibilmente “classici”, classici in un senso che spiega perfettamente la scelta di diffondere in sala un nastro di Bob Dylan prima dell’inizio del concerto. Classici nel senso di partecipanti alla condivisione di un archetipo (quello newyorkese solito, Velvet/Television/Talking Heads). Sì: non c’è esattamente quell’ansia di rincorrere e scoperchiare il “futuro” che ci piacerebbe appartenesse alle migliori band dei nostri tempi. Ma non c’è nemmeno un crogiolarsi indulgente nei ricordi, nella nostalgia. Quel che c’è nei CYHSY, invece, è un partecipare della classicità senza metterla né in discussione né in difficoltà. Ammiccando, al limite: la voce di coso, il professorino di college che canta, dal vivo prende dei toni nasali, delle scoloriture alla Tom Verlaine, ed è tutta un guizzare come di anguille, tutta uno stridere come di puntina di traverso sul vinile, in un modo che sul cd (dove ci si contentava dell’onesto paragone con David Byrne) non si era notata. Non salveranno il mondo, certo. Ma tanto il mondo non lo salverà nessuno, per il momento, quindi inutile pretendere l'impossibile. Clap your hands, wave goodbye. Quel pezzo che dovrebbe intitolarsi Satan Said Dance, quello dove sembrano i B52s, quello comunque è notevole.

[PS: ripensandoci, Wayne Coyne non aveva tutti i torti. Questo blogghetto si ritira per qualche tempo a vita privata, diciamo una decina di giorni almeno. Clap your hands, wave goodbye.]

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Tuesday, February 21, 2006

«I mean, these magazines, you know, they only go to middle aged men»*
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La mia nuova rivista musicale preferita al mondo ha sulla copertina dell’ultimo numero un set di matite colorate con le quali colorare, all’interno, le foto di Devendra Banhart e Shout Out Louds (intervistati sul tema “gli odori”).

La mia nuova rivista di... boh? preferita sostiene di essere «The only magazine with a dog on every page» e riesce, nel corso delle 96 pagine dell’ultimo numero, a non far capire di cosa si occupa. Ci sono in effetti delle foto moolto fashion di Test Icicles e The Little Flames, ma anche un organigramma sul cartello della moda in Gran Bretagna. E soprattutto un adorabile template tipo “carta millimetrata”.

La mia nuova free press preferita fa schiumare di rabbia perché «allora sì», uno dice, è possibile fare un free press che sia interessante ed esteticamente difendibile. (PS: comunque anche Rodeo post-restyling non è male)

Il secondo numero del supplemento-moda del mio quotidiano preferito al mondo intervista Alison Vivì Mossheart sui suoi vestiti, ricavandone almeno due perle: «My boots, they provide the only sense of balance I’ve probably got in my life. I’ve had nightmares about losing them and woken up in cold sweat. And people tell me I should throw them away» e «If I’m playing gigs in them [my jeans], i wash them every opportunity I get. If I’m off the road, once every two months, sometimes three, depending on the jeans».

Infine: da stamattina è online il nuovo numero della webzine electro italiana più drrrty, la cui esistenza online è purtroppo la riprova che certe cose, nel magico mondo della carta e dell’inchiostro tipografico, in Italia proprio no (ok, a parte Label). Dentro c’è la playlist degli Scuola Furano, ma anche grafica veramente al limite, e ricette che potrebbero cambiarvi la serata.

(*) Throbbing Gristle, Persuasion

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Monday, February 20, 2006

Chi non conosce il passato è destinato a ripeterlo, ma tutto sommato pure chi lo conosce
In effetti mi domandavo da tempo com'era che la formula-Nouvelle Vague (ovvero: cover ricavate da repertori vari e possibilmente esoterici riformattate secondo un registro samba-jazzy) non avesse ancora generato mostri nel numero che era lecito aspettarsi. Pare che finalmente ci siamo: dopo i Nouvelle Vague del metal segnalati da Maxcar qualche settimana fa, da qualche giorno è nei negozi Barefoot dei Barefoot che - oh yes - fanno la stessa identica cosa dei Nouvelle Vague, solo utilizzando registri appena più jazzy e meno sambati, e utilizzando originali pescati nel mondo della dance (Gipsy Woman di Crystal Waters, Pride di C&C Music Factory, Lazy di X-Press 2, Horny di Mousse T...)
Il disco è orrendo - concettualmente prima ancora che nei contenuti - e vi suggerirei caldamente di lasciarlo perdere. L'unico momento interessante se non altro per ragioni di curiosità, ovvero la Born Slippy degli Underworld trasformata in una specie di Sour Times dei Portishead, ve la si è messa qui accanto nella playlist nuova di zecca insieme ad un bel po' di altre cose quasi tutte nuovissime (il nuovo gruppo messo sotto contratto dalla DFA ad esempio, gli Shit Robot). Enjoy.

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Saturday, February 18, 2006

Cose che avrei detto a Danny Rampling se fosse venuto a pranzo con me e non avesse invece cambiato idea all'ultimo
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La prima è che, se rinasco - ipotesi improbabile, ma non si sa mai - voglio rinascere bambino londinese con dei genitori che mi portano almeno una volta al mese alla Tate Gallery.
La seconda è che, se c’è un posto che salverà il mondo dall'entropia mediatica [ehi, ho scritto entropia mediatica e non è ancora sceso dal cielo nessun angelo vendicatore con il volto di Paul Virilio a decapitarmi con la scimitarra fiammeggiante], se c’è questo posto, dicevo, questo posto sarà sempre la Tate Gallery.
Io adoro la Tate Gallery. Se potessi mi ci farei tumulare dopo morto, e forse anche da vivo (se solo ci fosse un’area riservata alle ”figure il cui contributo alla contemporaneità è calcolabile in percentuale oltre il sesto decimale”). Ci sono andato - stamattina - convinto di trovarci, nella Sala Turbine, l’installazione di un belga che lavora sulle dissonanze elettroniche del colore come mi pareva di aver letto sul Guardian qualche settimana fa. Invece c’era una cosa ancora più assurda e meravigliosa, questa qua: una specie di magazzino dell’Ikea esploso, declinato secondo il gigantismo (buono) di tutte le installazioni della Turbine Hall ma al tempo stesso anche stranamente “familiare”, poco straniante cioè, ed evidentemente molto divertente a giudicare dai bambini (fra i quali avrei voluto esserci essere pure io, reincarnato e londinesizzato) che ci giocavano a nascondino. La foto non rende giustizia: vederla dall’alto, l'installazione, dal piano ammezzato, con la gente e soprattutto i bambini che ci girano dentro, è tutta un'altra cosa: è lì che capisci il senso, che diventa chiaro come la Tate-filosofia di un'arte riportata dentro la vita quotidiana della gente passi anche attraverso nozioni come - ad esempio - l'abitabilità dell'opera d'arte...

Ah già, ieri sera. Sì, stato al Fabric. Il Fabric è la Tate Gallery dei locali notturni. E non solo perché ha i muri di mattoni a vista ed è pure lui, il Fabric, frutto di un’accorta operazione di recupero d’edilizia industriale (mi par di ricordare che in precedenza fosse un macello, o un mercato della carne). Comunque: arrivato mentre gli Shout Out Louds suonavano un pezzo che sembrava una cover di Temptation dei New Order. Dopo tre pezzi che sembravano pure loro una cover di Temptationdei New Order ho concluso - e non è una brutta conclusione affatto - che dal vivo gli Shout Out Louds tendono ad assomigliare ai New Order periodo Temptation, ed ho scritto un sms a Ebi dicendo una cosa del tipo: «sono al Fabric di Londra e ci sono gli Shout Out Loud che sembra facciano una cover di “Temptation” dei New Order dopo l’altra. Dedico questo momento a tutti voi».
Dopo, in un’altra sala, visto un breve live di alcuni tipi che almeno dodici persone diverse mi hanno assicurato diventeranno famosissimi. E in effetti: superati i primi cinque minuti in cui sembravano un disco di Fad Gadget incantato e ti veniva da tirargli dei sassi, dopo è spuntata fuori una vena vagamente vaudeville (tipo “Maximo Park com più titolo a stare su Warp”, ecco) che male non era. Si chiamano A Human, you read here first. Nota per gli amanti delle statistiche: cercando "a human" + band + london su Google i primi tre risultati riguardano altrettante bande musicali di altrettante associazioni umanitarie londinesi, mentre il quarto - non ci si crede - è una vecchia intervista ai Dubstar. Forse non diventeranno famosi così presto, gli A Human, dopo tutto.

Invece, Digitalism. Che poi, lo so, in teoria da qualche altra parte in qualche altra sala suonavano anche i due Justice, che sempre in teoria m’interessavano pure di più, ma da un certo momento in avanti lasciare la big room dov’erano Digitalism è diventato impossibile: troppa gente, troppo tempo, troppa energia e troppa forza di volontà. Certo: il dj set era prevedibile e paraculo come pochi (I mean: Vertigo di Alan Braxe, La Rock 01 di Vitalic...) ma al tempo stesso appassionatamente e appassionantemente costruito su picchi e valli, su scarti e oscillazioni perfettamente regolari del respiro, su ricordi di stati d’animo scongelati e infilati nel microonde come quando in Zdarlight il loop si intuba - «ta-ta-ta-ta-ta-ta-ta-ta, ta-ta-ta-taaaa» - e poi rientrano i bassi e la cassa. Ed è vero che è esattamente lo stesso barbatrucco da dieci anni a questa parte, da Alive dei Daft Punk in poi, ma non per questo la cosa funziona di meno, figurarsi. E stavo appunto pensando a questo, lì in mezzo a quella specie di Society di Brian Yuzna di corpi cannibali e cannibalizzati che era la big room del Fabric alle quattro e un quarto del mattino, enumerando mentalmente le cose che pur uguali nel tempo non perdono di efficacia, che poi sono quasi sempre roba di endorfina e di ormoni, guarda un po’, e chi vuole realmente mettersi a discutere con l’endorfina e gli ormoni? non certo io, figurarsi, non certo alle quattro e un quarto di mattina, e a quel punto è arrivato un sms di Wayne Coyne che diceva: «potresti per favore smttere di pnsare? non riesco a dormire. grazie», e gli avrei anche risposto («se davvero vuoi essermi utile consigliami un sonnifero che faccia effetto. grzie») ma lì in mezzo mettersi a scrivere non sembrava un’opzione, e soprattutto si stava delineando con straordinaria chiarezza il concetto che: «DIGITALISM ARE THE NEW 2MANY DJS» - come confermato con accento dell’Essex anche da una certa “Deborah” un attimo prima di infilarmi la lingua in bocca avendomi scambiato per Andrea Girolami («I’m-mmmphm-not-mllmmph-Grlm-mmph-Im-mmh-djdllc-llmm-mmhllm!») - e più passavano i minuti e più l’intuizione che Digitalism sono i nuovi 2Many DJs si metteva a fuoco con sempre maggiore chiarezza fuori e dentro la mia testa, e mano a mano tutto il resto diventava talmente relativo e accessorio che mi ci sono totalmente abbandonato, a quell’intuizione, con tutto il corpo, senza opporre più resistenza, e quando a quel punto il bzzz-bz del telefonino nella tasca dei pantaloni ha annunciato l’arrivo di un nuovo messaggio ero sicuro che fosse di nuovo Wayne Coyne che ancora non riusciva a dormire, e invece era Ebi che rispondeva al messaggio di prima sugli Shout Out Louds. E quaranta minuti più tardi, camminando lungo Farringdon, in quella scena vista alcuni milioni di volte da chiunque di noi, più o meno ogni volta che si esce da un club la mattina presto, e che nella mia testa è sempre un tutt’uno l’ultima pagina di Le mille luci di New York, a quel punto - bzzz-bz - sì, stavolta era un messaggio di Wayne Coyne che diceva: «”we bonded over crying, laughing and talking”: ti dice qualcosa? A me no. L’ho trovato in un angolo della tua testa,ma non c’era la data. Vai a dormire, finalmente». E, vi dirò, è esattamente quello che ho fatto.


PS: cinque secondi fa, mentre finivo di scrivere il post, è arrivato un ultimo sms da Wayne Coyne. Dice: «sto per scomparire,ma spero comunque di esserti stato utile. Pensa a pensare di meno. E chiudi il blog»

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Friday, February 17, 2006

Wayne Coyne e il nano da giardino di gesso (e che ci crediate o no, è successo tutto davvero)
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L’idea di partenza in realtà era: convincere Wayne Coyne, ieratico e un po’ predicateur cantante e chitarrista dei Flaming Lips, che la strada maestra che porta al loro futuro consiste nel collaborare con i fichetti techno francesi Daft Punk. L’intuizione - e io ancora mi cullo nella convinzione che sia geniale - parte dal fatto che il nuovo album dei Flaming Lips, At War with the Mystics, contiene più di una esplicita gomitatina al pop da FM statunitense anni Settanta, che (nella sua parte più ai confini con la disco) era anche il core-business di Discovery dei fichetti francesi. (Poi li accomunerebbe anche una certa naturale grandeur di modi, l’amore per i mascheramenti cretini, e la predilizione per bruciare i soldi della casa discografica in folli e costosissimi progetti cinematografici: ma si sta facendo tardi e mi chiude l’internet da cui vi sto scrivendo, quindi per stavolta glissiamo).
Ho incontrato Wayne Coyne meno di un’ora fa in un hotel a Kensington Gardens, a Londra. Per poco più di quaranta minuti. Eccovi i fatti come me li ricordo. Devo anche avvisarvi che sono più o meno quarantott'ore che non dormo, quindi ci potrebbero essere dei piccolissimi glitches nella memoria. Ma il senso è quello che leggete qui sotto.

fdl: Pensavo che dovreste fare un disco con i Daft Punk.

Wayne Coyne: Pensavo che dovresti farti gli affari tuoi.

fdl: Mi sto facendo gli affari miei. Voi mi piacete, e vorrei sentire un vostro disco che anziché sembrare un bel brutto disco dei Foreigner andasse da qualche parte.

Wayne Coyne: Oh, dio. È arrivato il giornalista che ci spiega chi siamo.

fdl: Non sono io che ho fatto un disco dove metà dei pezzi sembrano Survival dei tardi America incrociato con Last Train To London degli ELO.

Wayne Coyne: Non sono io che negli ultimi cinque giorni ho intervistato una ventunenne ballerina di Madonna, una settantenne cantante peruviana, una trentenne icona folk canadese ed uno ieratico e un po’ predicateur quarantaseienne cantante di un gruppo psycho-rock americano. Chi è messo peggio? E chiudi ‘sto cazzo di blog.

fdl: Non sono io che tengo aperto il blog, è il blog che tiene aperto me. I governi occidentali non vogliono che si sappia, ma ogni volta che qualcuno apre un nuovo blog gli spider di Blog*Spot entrano nel suo cervello e ne assumono il controllo come i Tethans di Scientology. Per questo è impossibile chiudere i blog.

Wayne Coyne: Se mi dai la tua carta di credito ti libero degli spider e in meno di un anno ti faccio diventare OT IV. «Stressato? depresso? insoddisfatto?».

fdl: Se ti do la mia carta di credito tu ci finanzi una altro film del cazzo come... com’è che si chiamava? Christmas On Mars?

Wayne Coyne: Se mi dai la tua carta di credito ci finanzio al massimo il minicab fino all'aeroporto. Perché cercavi quel nano di gesso?

fdl: Uh?

Wayne Coyne: Io leggo nella mente della gente, non lo sapevi? È la prima volta che uno viene a intervistarmi e anziché provare a convincermi di essere fico quanto me grazie alle sue domande argute e inedite, pensa a un nano da giardino. Complimenti davvero: non si può mai dire d'aver toccato davvero il fondo, no? E comunque non c’è più nessun nano di gesso, è morto.

fdl: Lo... lo so che non c’è, ma non è morto, l’hanno... spostato, abita a East London adesso.

Wayne Coyne: Oh Gesù, andiamo... Fabietto, eri uno di quei bambini a cui raccontavano che il tuo cucciolo adesso è lì in cielo che gioca con gli altri cuccioli? che «il nonno è in viaggio d’affari»? Svegliaaaa!

fdl: Ma vaffanculo Wayne. E comunque non pensavo a nessun nano di gesso se vuoi saperlo, che si fottano i nani di gesso. Forse per un secondo, ma sono anni - anni - che nemmeno passo più lì da dove c'era il nano di gesso. Ok?

Wayne Coyne: Che c’entra adesso una quercia? Uhm, non riesco più a leggerti, sei troppo agitato. Ma tanto lì non c’è più nulla, caro il mio blogger. Ruspe, caterpillar, tutto giù.

fdl: Pfui. Ci sono stato oggi pomeriggio, e non c’era nessuna ruspa.

Wayne Coyne: Ah-ha!

fdl: Ops...

Wayne Coyne: Scusa se mi ripeto: ah-ha!

fdl: Ok, ok. Ma non c'era nessuna ruspa, capito? Solo un pio-pio di bambini in lontananza, e le luci arancioni dei lampioni contro l'inizio del tramonto. Ti sei sbagliato.

Wayne Coyne: Non mi sono sbagliato. Cercala dentro di te la ruspa. Aspetta, sssst... Ecco, ascolta: se ascolti con attenzione sentirai il rumore della ruspa dentro di te.

fdl: Voglio andarmene da qui.

Wayne Coyne: Non puoi, ho chiuso la porta. Cerca la ruspa dentro di te, giornalista italiano: cerca le motoseghe, i martelli pneumatici, le scavatrici, le betoniere e soprattutto la fiamma ossidrica. Ah, dimenticavo: cerca anche la palla-e-catena. Chiudi gli occhi e guarda: ha le chiavi già inserite nel quadro di controllo. Devi solo mettere in moto e azionare la pala meccanica. Demolisci.

fdl: Non so se voglio.

Wayne Coyne: Chiudi quello stupido blog.

fdl: Fai un disco che piaccia ad un numero superiore a mille abitanti del pianeta terra.

Wayne Coyne: Comprati una casa, fatti una famiglia, guarda me.

fdl: Tu avevi una storia con coso dei Mercury Rev, altro che famiglia. Me l’ha detto Loser.

Wayne Coyne: Loser è quello che va dicendo che Madonna ha una storia con Jacques Lu Cont, fai un po’ tu.

fdl: Un'ultima cosa: hai per caso uno di quei telefonini che fanno anche le foto?

Wayne Coyne: Uh?

fdl: Uno di quei telefonini che fanno anche le foto. Click, hai presente? Volevo chiederti se potevo farti una foto col tuo telefonino e se poi me la mandavi nella mia casella di posta elettronica. Così mettevo la tua foto sul mio blog.

Wayne Coyne: Il mio tempo è scaduto, e anche a te non rimane tanto.

fdl: Fra un anno esatto qui, 2-24 di Kensington High Street, stanza 8**.

Wayne Coyne: Fra un anno esatto. Chiudi quel blog.

[PS: poi stasera forse (forse) si va al Fabric che ci sono Justice, Digitalism e - uao - anche gli Shout Out Louds. Poi forse (forse) domani si va a pranzo con Danny Rampling. Poi forse (forse) vi si racconta qualcosa domani da qui. Oppure dopodomani sera da casa. Oppure anche no.]

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Thursday, February 09, 2006

«È inutile parlare ancora, di tutte queste cose»
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Purtroppo sto esaurendo le citazioni colte per i titoli dei post che annunciano la messa online di Conversation Intercom. Nella nuova puntata, comunque, un inizio di spunto di discussione sul senso dell'istituzione della “recensione” nel mondo moderno (ci ritorneremo anche qui, prima o poi), remembering gli Smiths a Sanremo nel 1985 (anche su questo ci ritorneremo), paroloni di cui nemmeno noi sappiamo il significato preciso e la consueta sarabanda di buonsenso indie.

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Tuesday, February 07, 2006

She's back
She nel senso della playlist nell'adorabile radiolina lì nella colonna di destra. Un po' alla rinfusa ma del resto questo è tradizionalmente il suo bello. A grande richiesta (mia) il fantascientifico remix Braxe-Falke dei Test Icicles, che non si balla più di tanto (per quanto probabilmente dipende dai posti) ma dovrà uscire proprio qualcosa di miracoloso per non resistere fino a dicembre nel ruolo di miglior remix del 2006. Non male nemmeno il nuovo Tomas Andersson, anche se un po' “by numbers”. Insomma, ecco la playlist: fatene buon uso e parlate di noi con gli amici.

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He’s back
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(Giusto perchè poi non si dica che qui si fa come sui giornali, che si scatenano gli allarmi ma non si dice quando gli allarmi rientrano. Grazie davvero a tutti quelli - specie maz - che sono stati vicini a questo blogghetto nel momento del bisogno...)

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Monday, February 06, 2006

«Si, sono il cantante degli Hard-Fi. Vorrei alcuni metri di corda, di quella robusta grazie»
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Se pensate che la vostra vita faccia schifo probabilmente non avete ancora sentito la storia degli Hard-Fi. Sulla stampa inglese se ne parlava (sin dalla scorsa estate) come del fenomeno prossimo venturo, una specie di Kasabian del 2006, solo ancora più promettenti. Poi sono arrivati gli Arctic Monkeys, e subito gli Hard-Fi sono diventati la notizia di ieri, quelli che «Hard-Fi chi?». E le copertine promesse da NME? E il prime time su Radio1? Eh no, scusate: troppo tardi. Bisogna occuparsi degli Arctic Monkeys adesso.

Ok, esce comunque l’album, Stars Of CCTV, e gli Hard-Fi si fanno un culo così a promuoverlo in ogni locale, pub o festival capiti loro a tiro. A venti settimane dall’uscita - miracolo - l’album finisce primo nella chart inglese. Finalmente un po’ di buona sorte? No, perchè la settimana in cui Stars Of CCTV arriva al primo posto è anche la settimana in cui esce Whatever People Say I Am, That’s What I’m Not degli Arctic Monkeys. Avete presente? Quello che ha polverizzato qualunque precedente record di vendita di un disco nel suo giorno di uscita (Beatles e Oasis inclusi). Ecco: nel giorno stesso in cui finvano primi in classifica, gli Hard-Fi sapevano anche per certo che la settimana dopo (e quella dopo, e quella dopo ancora...) non sarebbero più stati primi. Forse secondi, grazie sempre agli Arctic Monkeys.

È finita? No, non è finita. La settimana dopo sui tabloid inglesi si comincia a leggere di una presunta love story tra il cantante degli Hard-Fi, Richard Archer, e l’attrice Scarlett Johansson. Passione che sarebbe nata mentre lei era a Londra a girare Match Point e lui le mandava in hotel i biglietti per i loro concerti, la invitava nel backstage, le dedicava le canzoni come un doherty qualsiasi etc etc etc. Ehi, figata! Almeno qualcosa gli girerà per il verso giusto, a ’sti paperini? No, ovviamente no. Tempo due giorni e arriva la smentita ufficiale della diretta interessata. Queste le parole esatte, da antologia: «Non solo non l’ho mai incontrato, ma finchè questa storia non ha cominciato a circolare sui giornali non avevo nemmeno mai sentito parlare di lui». Cioè, trattato come uno Zequila qualsiasi.

Solidarietà con il povero Richard.

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Friday, February 03, 2006

Poi nel Duemila la conversazione
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Chi tana la citazione del titolo vince il dinosauro di pelouche, o la boccia coi pesci rossi, o la bottiglia di whiskey. In omaggio al fatto che ormai questo blogghetto e la vita del suo proprietario somigliano sempre di più ogni giorno che passa ad un luna(r) park. Ok, un aiuto: isolano, molto colto, primordi della sua carriera, fase "stereolab" della sua carriera (anche se almeno un paio di stereolabs all'epoca manco erano nati, forse). Tutto ciò per dirvi che qui, da ieri, la nuova puntata (e pure tutte le vecchie, però. Nel caso ve ne siate persa qualcuna. Ci piace l'idea che tutti abbiano una seconda chance, a questo mondo). In sommario: la Celine Dion che abita dentro Cat Power e molte, molte altre follie d'oggi. Passate un divertente weekend.

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Wednesday, February 01, 2006

Un uomo in garage
Purtroppo con il PowerBook in riparazione (vd. due post fa) anche la playlist della simpatica radiolina lì a destra è fino a nuovo ordine congelata... Tutto ciò che sono riuscito ad inventarmi con il PC d'emergenza a disposizione è provare a mettere insieme tutte le versioni esistenti in natura di Man In a Garage dei Coldcut, anche in omaggio al fatto che il loro nuovo album Sound Mirrors esce esattamente oggi. Loro magari già li conoscete, se non altro perchè stanno in giro da una vita e mezza e lavoravano con i campionamenti quando "campionare" significava giusto utilizzare creativamente il tasto "pause" del registratore a cassette... La moderna nozione di remix si può dire l'abbiano inventata loro nel 1987 (con la celebre versione di Paid In Full di Eric B & Rakim), e così pure il format del mix-album (con Journeys By DJ del 1996: qui una breve sintesi della storia). C'è da dire che in quasi tutto quello che i Coldcut hanno fatto c'è sempre stata almeno un’oncia (spesso anche di più) di classe e genialità, e il nuovo disco non fa eccezione. Anche Man In a Garage è - come tutti i loro momenti migliori - pop metadibondo risucchiato dentro scenari psichedelici vagamente alieni. Provate ad ascoltarlo anche se la musica fabbricata al computer in genere vi lascia indifferenti: loro sono veramente un'altra cosa. Qui anche il sognante video e quella specie di GoogleMaps a cartoni animati che è il loro nuovo sito.

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