Soft Cell: quest’ultima notte a Sodoma
 

di: Fabio De Luca




In due parole: c’era una volta la classica rock’n’roll band. Basso, batteria, chitarra e voce. Per tenerla in piedi bisognava essere almeno in tre, ed uno dei tre doveva essere davvero molto bravo, per riuscire a suonare e insieme a cantare. In due era impensabile, a meno di non essere Simon & Garfunkel, che però era un po’ come stare sotto il palco ad un concerto di Donovan e vederci doppio. Finchè, almeno, non sono arrivati i Suicide: avevano una "batteria elettronica" che faceva un fracasso sordo e sputacchioso da lavatrice a fine lavaggio, e ci sbattevano sopra rumori di discarica comunale ed elementari arpeggi di rudimentali tastiere. Erano due, ed erano rock’n’roll. Anche se all’epoca (NY fine anni Settanta) qualcuno avrà sicuramente storto il naso. Quindi è arrivata l’elettronica a buon mercato, e di botto tastiere e sintetizzatori non erano più la lussuosa commodity riservata alle rockstar milionarie e laureate in ingegneria tipo Pink Floyd ed Emerson, Lake & Palmer. 1981: il pop ridiventa democratico, o qualcosa del genere. "Duo" (o anche: "one man band") non significa più che qualcosa, da qualche parte, manca. Di lì a poco il mondo avrebbe conosciuto Blancmange, Daf, Yazoo... tutti "dui" costruiti sul cartamodello dei Soft Cell. Tutti autori di musica "piccola" e dal suono di latta, che però ha segnato un’epoca esattamente come il rock’n’roll. E i Soft Cell erano il loro Elvis Presley.

Fin qui il contesto. Adesso però dimenticatelo, perchè in realtà i Soft Cell arrivavano da tutt’altra parte. "Quando Dave Ball entrò al Politecnico di Leeds nell’autunno del 1977, la prima persona che incontrò fui io. Non avremmo potuto avere un aspetto più contrastante: Dave in giubbotto e jeans, con stivali, alto e robusto, capelli ricci e neri; io in calzoni lamé dorati, maglietta aderente leopardata, pelle e ossa con capelli cortissimi biondi. Mi chiese dove stava il dipartimento d’arte e io gli indicai il corridoio". Questo è l’inizio nel ricordo di Marc Almond, come rievocato nella sua autobiografia Tainted Life (in italiano Una vita corrotta: La mia storia senza veli, su Arcana). Entrambi, per cominciare, erano dei "provinciali" provenienti dalla costa nord-occidentale del Regno Unito. Dave Ball arrivava da Blackpool, era stato un fan del northern soul, aveva partecipato a diversi dei leggendari weekender del Wigan Casino e in quel momento era innamorato dei Throbbing Gristle e di I Feel Love di Donna Summer e Georgio Moroder (qualcosa emergerà nella splendida Torch). Marc Almond era scappato dalla tipica normalità di una classica famiglia disfunzionale (la dipingerà con fin troppa efficacia in Where The Heart Is) di Southport. Negli anni della scuola, in un’epoca in cui "essere fan di David Bowie significava esporsi a provocazioni e perfino violenti attacchi", era stato fan di David Bowie ma sorattutto di Marc Bolan. L’aneddotica al riguardo è varia, e rileggerla oggi ha un che di metaforico: Marc che viene sfiorato da Bolan che scende dalla limousine, Marc che tocca la mano a Bowie mentre canta Rock’n’Roll Suicide in concerto a Liverpool... Poi è arrivato il punk. Poi ancora l’industrial. Marc Almond assorbe tutto come una spugna. E al politecnico allestisce saggi di fine corso in cui mima atti scoperecci con sé stesso riflesso in uno specchio disteso per terra.

Quanto l’uno era in luce e sopra le righe, tanto l’altro era schivo e silenzioso. Sarà sempre così. "Il vero fraintendimento", dice Almond, "era quando pensavano che io fossi i Soft Cell perchè ero io la figura in primo piano, il cantante, il compositore dei testi (...) ma Dave era i Soft Cell probabilmente molto più di quanto non avrei mai potuto essere io. Era lui il sound dei Soft Cell". Comunque. Li interessano i suoni ripetitivi e i vocals disarticolati della disco-music, le tastiere sempre percussive che sembrano cercare di ricreare l’enfasi up-tempo del northern soul, ma al tempo stesso anche la paranoia dell’elettronica primitiva di Throbbing Gristle e Cabaret Voltaire, stemperata però dal gusto pop ereditato dai Roxy Music (e dal modo semplice e non-ortodosso di suonare le tastiere di Brian Eno). Debuttano nel 1979, in occasione del party natalizio del Politecnico. Almond dirà: "uno spettacolo cabarettistico, balneare, futuristico e industrial". Intenzionalmente su una nota più "pop" e colorata (nonostante appena pochi passi più in là ci fosse, evidente, tutta la carica punk dei due adolescenti) rispetto ai cloni dei Joy Division che delimitavano il gusto di quel momento. "Chiunque si fosse esibito dopo la nostra performance avrebbe dato l’impressione di essere terribilmente convenzionale e noioso", aggiunge Almond. La seconda uscita è di un anno e mezzo più tardi, in occasione dell’edizione 1981 del festival Futurama, un appuntamento che ha tradizionalmente tenuto a battesimo tutte le formazioni della new wave elettronica inglese. Un disastro: tutte le magagne e l’inesperienza dei due vengono al pettine (le cronache registrano comunque una pazzesca versione di Paranoid dei Black Sabbath). Segue l’incontro con l’ambiguo discografico ed agitatore Stevo, inventore della Some Bizarre, l’etichetta per la quale i Soft Cell incideranno tutta la propria discografia. Un brano, The Girl With The Patent Leather Face, viene registrato per la controversa compilation Some Bizarre (dove esordirono tra gli altri Depeche Mode, The The e Blancmange). Successivamente il duo entra in studio con Daniel Miller (che aveva appena fondato la Mute e messo sotto contratto i Depeche Mode) per registrare, con le mille sterline del contratto strappato da Stevo alla Phonogram, il loro primo singolo. Non è un rapporto facile, nonostante la sconfinata ammirazione dei due per Miller: Miller aveva un’idea di produzione che tendeva a limare ogni spigolo nel nome del techno-pop perfetto (come sarà incarnato di lì a poco dai Depeche Mode), Ball e Almond volevano invece che la "sporcizia" del loro suono fosse la nota dominante. E, come talvolta accade in questi casi, partiti per registrare tre brani del loro repertorio i Soft Cell si ritrovarono invece con un pezzo nuovo di zecca che clonava un giro di basso di James Brown, un andamento disco alla I Feel Love, strane esplosioni di rumori e la voce di Almond che elencava luoghi, persone e oggetti: Memorabilia. Una bomba.

Segue Tainted Love, un classico del northern soul conosciuto soprattutto per la versione di Gloria Jones (e preferito per il rotto della cuffia a The Night di Frankie Valli). L’A&R della Phonogram ha il sospetto che "potrebbe funzionare". Tainted Love esce come singolo. Risultato: 10 milioni di copie vendute. L’escalation è istantanea: numero 26 in classifica, numero due, Top Of The Pops, numero uno. Grazie a Top Of The Pops l’Inghilterra del 1981 fa la conoscenza di uno strano personaggino isterico ma anche dolcissimo, borchiato, con gli occhi bistrati e la vocina flautata. Gli ormoni del Regno Unito cominciano a non farcela più, a voler uscire ad ogni costo, in un modo o nell’altro, dalla costrizione. In casa Phonogram fioccano le lettere di protesta. "Adesso toccava a me", rievoca Almond, "rivelare al solitario adolescente di qualche remoto paesino che là fuori c’era qualcuno capace di capire i suoi stati d’animo". L’Inghilterra si interroga sulla sua sessualità (neanche ci fosse spazio per dei dubbi...): Almond si lamenta del fatto che tutti gli intervistatori gli chiedano se è gay e dichiara: "qualcuno ha mai chiesto a Stevie Wonder se è nero?". Il primo album, il morboso Non-Stop Erotic Cabaret, viene registrato a New York. La permanenza newyorkese è completa di tutta la routine di celebrità emergenti (inclusa la rituale visita allo Studio 54 e l’inevitabile imbarazzante incontro con Andy Warhol, di cui però - per scorno di Marc - non si troverà traccia nei Diari) e di abuso di droghe: acidi, MDA, speed, cocaina, la prima extasy. Quindici anni dopo, e dopo una profonda disintossicazione, Almond calcolerà di aver speso, nel corso della propria vita di star del pop, "almeno 250.000 sterline solo in extasy". Non-Stop Erotic Cabaret ci mette un solo mese a prendere forma: un tempo incredibilmente breve per un disco talmente perfetto nella sua intensa approssimazione. Al suo interno storie di prostituzione, di cinema a luci rosse, di orge con freaks da circo, di gioventù che sfugge tra le dita, di letti disfatti. Non era solo il gusto di schierarsi dalla parte dell’eccesso fine a sé stesso: c’era una reale condivisa partecipazione alla quotidianità dei misfits, dei reietti delle politiche sociali. "Celebravamo il lato peggiore della vita perchè lo sentivamo parte dell’Inghilterra primi anni Ottanta" dirà Almond. E’ il "realismo" spietato di tutte le migliori canzoni dei Soft Cell: "Devi vivere la vita che canti e cantare la vita che vivi" dirà sempre Almond. Say Hello Wave Goodbye (lei è una prostituta, lui un cliente: si innamorano, lui però sceglie una vita rispettabile, e la canzone è il filmino del loro addio), in cui la voce di Almond è stonata ed eroica come poche altre volte, tornerà lo scorso anno nella educata versione acustica del cantautore David Grey.

Il "dopo" fate conto che sia una specie di replica di quanto accaduto fino ad ora. Molta droga. Molte polemiche. Molti scazzi. Esce un album di "remix", Non-Stop Ecstatic Dancing, un concetto che in quell’epoca era difficile persino spiegare (mentre A Man Could Get Lost, con la sua semplicissima linea di synth acido e batteria elettronica, può a buon diritto rientrare nella categoria dei grandi anticipatori della house-music). Altre droghe, altre spese folli. Ancora NY per registrare l’album The Art Of Falling Apart, versione più matura e ponderata del suo predecessore (tema ricorrente, se uno ce n’è, "il senso di vuoto che provoca il sesso anonimo"). Ancora più droghe. Altri scazzi, praticamente con chiunque. L’industria vuole da loro un album solare e levigato, e i Soft Cell consegnano all’industria l’album più sporco e punk-rock della loro vita, disordinato e distortissimo, addirittura parzialmente registrato in mono, in omaggio a Phil Spector. Si intitola This Last Night In Sodom. Il singolo che lo anticipa ha sulla b-side una cover di Born To Lose di Johnny Thunders, incredibile incontro/scontro tra psycho-rock e hi-NRG. E’ il 1984. I Soft Cell sono A.R.R.I.V.A.T.I. Liberi tutti.

(da: Rumore, aprile 2001)