Roisin Murphy: quella sua maglietta stretta
 

di: Fabio De Luca




Roisin Murphy - beata lei - è un tipo che incontra. L’incontro fondante della sua storia di cantante, ad esempio, è talmente noto da essere ormai materia da Trivial Pursuit: lei che in un pub di Sheffield abborda Mark Brydon, in seguito suo socio in una semi-famosa band di tarda new-wave elettronica chiamata Moloko, con la frase "ti piace la mia maglietta stretta?". Frase che, ignorando le implicazioni claudiobaglionesche che avrebbe in lingua italiana, sarebbe di lì a poco diventata il titolo del primo album dei Moloko. Fast forward di circa otto anni, estate 2005: i Moloko sono stati un fenomeno dance di gran moda (grazie ad un salvifico remix ad opera di Boris Dlugosh del pezzo Sing It Back), hanno inciso quattro album e girato video talvolta più memorabili delle canzoni che accompagnavano. E adesso Roisin ha pubblicato il suo primo album solista, Ruby Blue, un disco solidamente costellato di incontri fortunati. "Quello con Matthew però era un incontro annunciato", puntualizza Roisin. Matthew - ovvero Matthew Herbert, che produce il disco e firma i pezzi insieme a Roisin - è il genio sublime che all’ultimo Sónar di Barcellona ha lasciato tutti a bocca aperta dopo una performance in cui "suonava", riprocessandoli elettronicamente, i rumori degli spignattamenti dello chef (a tre stelle Michelin) Heston Blumenthal.

"Io e Matthew ci siamo incontrati per la prima volta sei anni fa" racconta Roisin: "in un club, dopo che lui aveva remixato un pezzo dei Moloko". Hai chiesto anche a lui se gli piaceva la tua maglietta stretta? "No, è stato un incontro intellettuale, nemmeno ricordo cosa avessi addosso quel giorno. Abbiamo parlato pochi minuti ed abbiamo deciso che un giorno avremmo realizzato qualcosa insieme". Quel giorno finalmente è arrivato. "La sera prima dell’inizio delle session di registrazione Matthew mi ha mandato un sms dicendomi "domani porta un oggetto". Io ho portato un articolo di giornale dove c’era un intervista a Brian Eno. Volevo fargliela leggere, parlava di come il riciclo delle mode funzioni ormai per fasi cronologiche sempre più corte. Invece Matthew mi ha preso il foglio dalle mani, l’ha fatto scricchiolare davanti al microfono, l’ha appallottolato e fatto cadere sul pavimento registrando il suono che faceva, e tutto questo - in un modo o nell’altro - è finito nel disco". Tutto questo e molto altro: ad esempio il suono di una spazzola che picchia su un tavolo, il rumore di Roisin che corre in un corridoio. "Adoro Matthew: è davvero la persona meno dogmatica che io conosca!".

Il che ci porta ad un altro incontro e ad un altro uomo, ugualmente poco dogmatico: Simon Henwood. Lui è un pittore londinese piuttosto quotato, specializzato - un po’ come Larry Clark in campo fotografico - nel ritrarre teenager incontrati per strada. Henwood è l’autore di tutta la veste grafica di Ruby Blue e del trittico di singoli in vinile che l’ha preceduto. "È curioso" racconta Roisin entusiasta, "conoscevo alcune sue opere ma non sapevo fosse lui l’autore, ho collegato tutto soltanto dopo essere stata nel suo studio. Simon l’ho incontrato attraverso amici comuni: erano convinti che avessimo qualcosa di simile, che dovevamo assolutamente conoscerci". Ed avevano ragione? "Si! Abbiamo parlato, poi il giorno dopo ci siamo visti nel suo studio per un drink ed abbiamo parlato ancora per diverse ore, e alla fine mi ha chiesto se poteva farmi il ritratto". Uuuuh. "Calma. Lui fa ritratti a tutti i suoi amici. È una specie di tema ricorrente nella sua arte". Vuol dire che eravate diventati amici? "Beh, immagino di si". Solo amici? "Scusa?". Avevi indosso una maglietta stretta? "Eh?!?". Ehm, niente. [Ok, tenetevelo per voi perchè sarebbe una specie di segreto, ma i due adesso stanno insieme. Si amano. Forse faranno pure dei bambini. Sono tipi che incontrano, del resto].

Insomma: tempo due ore e un paio di drink e - come nel più meraviglioso dei cliché - il famoso pittore chiede alla famosa cantante di posare per lui. "Una settimana dopo è venuto a casa mia ed ha buttato all’aria tutto il mio guardaroba. Abbiamo scelto insieme degli abiti e li abbiamo portato nel suo studio. Lì ho fatto una specie di piccola sfilata solo per lui, mentre mi fotografava. Poi lui ha cominciato a dipingere. Un lavoro lungo: nel primo dipinto della serie c’è un vestito tutto fatto di piccoli dischi lucidi, e lui li ha dipinti uno per volta. È strano: il suo modo di dipingere assomiglia molto al cucire". E con che criterio avete scelto gli abiti? "Nessun criterio. Io sono una persona da abiti, non da costumi: nel mio guardaroba non ci sono vestiti che compro solo per vestirli "in scena", gli abiti che vesto in scena o nei video sono gli stessi che mi vedresti addosso se mi incontrassi una sera ad un party". Rieccoci con gli incontri... ma, invece, che effetto fa vedersi dipinta su un quadro? "Fantastico! Credo che questi dipinti rappresentino la persona che sono più di qualunque foto mi sia mai stata scattata. Hanno una qualità astratta e vitale che trovo meravigliosa. Ed è stata una bella sfida anche per Simon: lui ritrae soprattutto teenager, quindi i vestiti che gli capita di dipingere sono soprattutto jeans e t-shirts. Con me si è trovato di fronte a qualcosa di nettamente diverso!". Ah, l’amour.

(da: Rolling Stone Italia, novembre 2005)