Verdena: paura & disgusto dalle parti di Bergamo
 

di: Fabio De Luca




Tutto comincia e finisce dentro il pollaio. Curioso, per una band che ha sempre avuto qualcosa di "astronautico" (Spaceman... Valvonauta...) nel proprio dna. Il pollaio è quello dove incontriamo i Verdena. Cioè la loro sala prove, cioè un ex-pollaio, cioè (prima ancora, si parla di anni 40/50) la sala-refettorio della scuoletta del paese. Il paese si chiama qualcosa tipo "Abbazia", e lo trovate ad un certo punto di una valle minore parallela alla più nota valle Seriana. Se non fosse per il cd dei Sonics che risuona forte attraverso le tavole di legno (dopo toccherà ai Grateful Dead) e per le foto di Kyuss, Hawkwind, Bardo Pond e Aretha Franklin appese al muro, il presepe sarebbe perfetto: provincia lombarda da manuale, qualche decina di chilometri da Bergamo. Quell’hinterland punteggiato di villette finite agli onori delle cronache qualche tempo fa per storie di terùn e di rapine. Quasi campagna, se appena lasci la statale. "La gente qui guarda ancora alla cima del monte Misma per sapere se domani pioverà o farà bel tempo" racconta Roberta, anche se la prima cosa che noti avvicinandoti al monte lungo la statale è l’imbarazzante sagoma di un supermercatone della calzatura. Ma è proprio lì in realtà, sotto le insegne di "Punto Scarpe", che cominci a intuire la dimensione astronautica dei Verdena.
Conto alla rovescia. "Hai paura dei ragni?" chiede Alberto. Apparentemente, nel pollaio-studio dei Verdena se ne vedono di notevoli. Ma è solo un attimo, quando apri la porta; poi scappano via. Non sopportano i Sonics: sognano il giorno in cui i Verdena arriveranno in sala con un disco di Diana Ross. Occasionalmente si è segnalato anche qualche piccolo scorpione. "La cosa positiva è che i ragni mangiano le zanzare" osserva Alberto. E probabilmente gli scorpioni mangiano i ragni: così l’ecosistema, almeno nell’ex-pollaio, è salvo. Un pragmatismo da agente di borsa. Neanche il Ferretti più bucolico era mai giunto a una tale sintesi. Sarà colpa del punk. Nel nome del quale (punk) tutto è cominciato, ovviamente. Cinque anni fa, una serata "punk-rock" in un pub al limite, sull’orgogliosa costa della val Brembana. Suonano i Verbena, versione 0.1 dei Verdena featuring i fratelli Luca e Alberto. Tre persone di pubblico, di cui una è Roberta (che anche lei suona in un gruppo punk, chiamato Porno Nuns). Alberto le chiede il numero di telefono: non ha potuto fare a meno di cogliere la sua sensibilità punk e c’erano alcuni dischi che voleva farle sentire. Da allora non hanno mai smesso di ascoltare nuovi dischi insieme. Il resto, come usa dire, è storia.



Tutto è cominciato con il punk...

Alberto. Si, circa cinque anni fa.

Roberta. Punk pesante, tipo Germs, Discharge...

...Che però è abbastanza atipico come "punk": specie nel caso dei Germs, è qualcosa che ha più a che fare con la visceralità, non a caso sono stati tra le maggiori influenze dei Nirvana...

Alberto. Infatti è quella la scia che abbiamo seguito.

Crescere in zone come questa ascoltando musica come quella che ascoltavate voi ti porta inevitabilmente ad essere "quello strano", a scuola per esempio...

Luca. Beh, a scuola non c’era nessuno che ascoltava i Nirvana, i Germs. Ma anche per noi le cose più sofisticate tipo i Sonics sono arrivate molto dopo, tipo due anni fa. Certo, in posti come questo ti ritrovi subito: eravamo noi e altri due, finisce che ti incontri.

Roberta. Rispetto a loro io abitavo più vicino a Bergamo, e questo già faceva la differenza. Avevo amici a Bergamo, frequentavo molta più gente di loro...

Luca. Secondo me non c’era poi tanto differenza tra Bergamo e qui. Quello che girava qui nella valle era soprattutto un sacco di metal. C’era pieno di gruppi che facevano i Metallica.

Uno pensa alla provincia e subito vengono in mente le immagini della grande provincia veneta o anche solo della Brianza poco fuori Milano. Posti in cui lo stile giovanile dominante è di sicuro molto "inquadrato". Curioso che la provincia che avete sperimentato voi sia invece così metallara, quasi stoner...

Luca. Mah, magari sarà come dici tu anche da queste parti. Però qui la situazione è di sicuro equilibrata, perchè solo in questa valle siamo in tre band a suonare.

Alberto. Certe volte la sera se ti metti al centro della valle senti il riverbero delle tre sale prove...

Luca. E poi quei nella valle va forte il reggae. Ma il bello è che incontri uno una sera e dall’autoradio della sua macchina esce Bob Marley. Lo incontri la sera dopo e sta ascoltando i Cream...

Alberto. Forse conta il fatto che la valle è chiusa e quindi ci si contagia un po’ uno con l’altro per quanto riguarda cosa ascoltare.

Il fatto che adesso voi siate "i Verdena" ha sconvolto gli equilibri della valle, o perlomeno ha un po’ trainato tutta la "scena" locale in direzione rock?

Luca. Suonavamo tutti quanti insieme già cinque/sei anni fa, è difficile dire chi abbia influenzato chi. Si cresce insieme... e finisce che si ascolta la stessa musica.

Quindi non è difficile mettere insieme, far coesistere la dimensione "della valle" con l’essere un gruppo che comunque va in tv, suona con gli U2...?

Luca. Quando siamo qui è come fossimo uno dei tanti gruppi che suonano da queste parti. Ugualissimi agli altri...

Roberta. L’unica cosa che è cambiata è che talvolta capita che qualcuno ci venga a trovare qui in sala prove, qualche "fan"...

Luca. Ma è gente tranquilla, vengono a fare due chiacchiere. Non pretendono che noi ci si comporti come delle rockstar.

Invece vi è mai successa la situazione inversa, cioè di trovarvi di fronte a qualcuno - musicista o altro - che era per voi un punto di riferimento?

Alberto. L’unica volta è stato due mesi fa, quando ho visto Bono a due metri da me: non che sia un mio punto di riferimento, ma è mi è venuto da pensare "però, è Bono".

Luca. Io vado da sempre ai concerti e di occasioni ne avrei anche, ma non mi sono mai fatto fare autografi dai musicisti. Da Stromberg dell’Atalanta però me lo sono fatto fare, ma è un calciatore dunque non vale...

Roberta. A me è successo con le L7, quando avevo 14 anni. Io tra l’altro ho cominciato a suonare uno strumento proprio perchè ascoltavo le L7, quindi per me erano un punto di riferimento assoluto! Sono andato a vederle in concerto, e dopo c’era una persona che mi ha fatto salire fino ai camerini, così sono rimasta lì, paralizzata: un po’ perchè sapevo poco l’inglese, ma soprattutto perchè... beh, l’età ovviamente giocava la sua parte, quando hai quattordici anni tendi a idealizzare i tuoi modelli... La cosa bella è che le ho riviste lo scorso anno, e stavolta naturalmente è stato tutto più semplice: ho spiegato che suono in un gruppo, che ho iniziato a suonare proprio grazie a loro, le ho ringraziate e loro sono state molto gentili.

Adesso probabilmente è il tuo turno di mostrare alle quattordicenni che ascoltano i Verdena che anche loro possono farcela, prendere una chitarra o un basso e mettere su un gruppo...

Roberta. Infatti capita, ed è una soddisfazione enorme vedere che succede a loro quello che è successo a me con le L7. Motivare delle persone a fare qualcosa, ad esempio mettersi a suonare o formare un gruppo, è un bellissimo risultato. La cosa migliore cui si possa aspirare come musicisti.

Subito dopo l’uscita del primo disco molta gente vi paragonava ai Prozac+: non tanto per il suono, che ovviamente era tutto un’altra cosa, quanto per il fatto di rappresentare un atipico "fenomeno rock" nell’ambito della musica italiana. In quel momento avevate la percezione di essere - o di rischiare di essere - un fenomeno di cui oggi tutti tessevano le lodi per poi bastonarlo al giro successivo?

Alberto. Si, assolutamente si.

Roberta. Soprattutto all’inizio, i primi mesi dopo l’uscita del disco, tra settembre e dicembre, mentre suonavamo in giro e vedevamo che la gente ai nostri concerti cresceva di volta in volta. Ti viene naturale chiederti se tutto questo è destinato a durare oppure è solo una fortunata coincidenza. Poi, quando verso la primavera abbiamo visto che la gente continuava a venirci a sentire, che i locali dove suonavamo erano sempre più grossi e che non venivano a sentirci solo per Valvonauta, ma che era proprio l’intero disco ad averli colpiti, allora ci siamo un po’ tranquillizzati, abbiamo capito che le cose stavano andando nel modo giusto.

Ma sentivate delle pressioni, ad esempio da parte della casa discografica? O nel passare da una dimensione di sala prove ad una vita on the road con concerti tutte le sere?

Alberto. No, suonare tanto andava bene. Anche se avevamo chiarito subito di voler suonare tanto, ma non tantissimo. Esagerare è facile: nella nostra stessa situazione i Prozac+ hanno scelto di fare 300 concerti in un anno. Così è esporsi troppo.

Una cosa che rimane un mistero è come sia successo che l’industria discografica ufficiale si sia interessata ad un gruppo come il vostro, che sotto tutti i punti di vista è tutto meno che "accomodante"...

Roberta. Infatti non so se ci capiscono. Loro fanno il loro mestiere, noi il nostro: ma alla fine ci lasciano abbastanza liberi di fare quello che vogliamo, forse perchè sanno che non potrebbe essere che così.

La casa discografica il nuovo disco lo ha ascoltato nelle diverse fasi della crescita oppure lo avete consegnato "chiavi in mano" alla fine delle registrazioni?

Luca. Portavamo dei provini, specie quelli dei pezzi lunghi otto minuti. Soprattutto perchè molti dei pezzi più corti, tipo Miami Safari, Cara Prudenza o Nel Mio Letto sono nati per ultimi. Non so perchè, ma fino ad un certo punto della registrazione ci uscivano solo pezzi extra-lunghi.

Alberto. E con pochissimi ritornelli, che è abbastanza strano, perchè in genere dopo la strofa arriva sempre il ritornello. Stavolta invece dopo la strofa succedeva che veniva sempre fuori un’altra strofa: il ritornello non veniva e neanche sembrava necessario cercarlo ad ogni costo.

Alla Universal tutti contenti, immagino...

Roberta. Erano spaventati...

...ma non ve lo dicevano per lasciarvi tranquilli.

Roberta. No no, ce lo dicevano eccome!

Alberto. Ci dicevano: "sapete come sta andando Kid A? Sta andando male, e voi rischiate di fare la stessa fine". Invece i mesi dopo hanno dimostrato che anche Kid A aveva solo bisogno di tempo.

Roberta. In effetti c’è stato un momento in cui abbiamo sentito un bel po’ di pressione, per la diversità dei pezzi che stavano nascendo. Poi appena siamo entrati in studio tutto si è sbloccato. In studio c’era un’atmosfera talmente familiare e tranquilla che abbiamo messo da parte tutti i dubbi e le preoccupazioni, e abbiamo pensato solo a suonare.

Quindi alcuni pezzi sono nati proprio mentre eravate in studio?

Roberta. Soltanto Nel Mio Letto. Ma da un certo momento in avanti in realtà è come se tutti i pezzi fossero diventati "nuovi". Prima di entrare in studio lo scetticismo che sentivamo nei nostri confronti aveva contagiato anche noi: una volta entrati in studio è come se avessimo preso sicurezza. Sentivamo che erano i pezzi giusti per noi, ne eravamo di nuovo convinti al 100%. Ovviamente anche grazie a Manuel ed a Maurice, il fonico.

A che punto del processo è entrato Manuel?

Luca. Verso la fine.

Nel senso che avevate iniziato a lavorarci da soli e poi...

Alberto. Avevamo intenzione di produrlo tutto da soli, anche per mettere a frutto l’esperienza fatta in questi ultimi due anni. E siamo andati più volte da Manuel per chiedergli chi secondo lui poteva darci una mano con le registrazioni, perchè quello che stavamo cercando non era un produttore ma piuttosto qualcuno che ci desse dei consigli per ottimizzare le idee che avevamo in testa.

Roberta. All’inizio ci ha dato un po’ di nomi, poi un giorno ha sentito i pezzi, gli sono piaciuti subito moltissimo e si è proposto lui... Abbiamo fatto una prova, noi, lui e il fonico, abbiamo registrato due pezzi ed abbiamo visto che funzionava, che eravamo una squadra. C’era l’atmosfera giusta: i pezzi erano gli stessi di prima, ma in più c’erano loro che ci sostenevano, ci incoraggiavano...

Tra l’altro non è affatto un disco facile, e nemmeno immediato. Ci vuole il suo tempo per capirlo, per assimilarlo, per entrarci dentro...

Luca. E’ un disco che andrebbe ascoltato in cuffia...

Roberta. Il primo era più immediato. C’erano più canzoni da cantare, da muoversi... Questo è più da ascoltare e da farsi trasportare.

Alberto. In realtà è molto simile al primo, solo in versione dilatata. Cioè: gli ingradienti sono gli stessi, i timbri e le linee melodiche non sono molto diverse, ma in un insieme che è più dilatato.

Luca. E’ un’evoluzione che risente molto di tutti i concerti che abbiamo fatto rispetto a quando avevamo registrato il primo disco. Dopo cento concerti innanzitutto diventi più bravo a suonare, e poi capisci certe cose che potresti fare su disco con il tuo strumento.

Sul disco nuovo avete usato anche degli strumenti abbastanza inusuali per un trio rock.

Alberto. Ci sono degli strumenti che hanno indubbiamente arricchito il suono, senza i quali il disco sarebbe forse uscito "più simile" al precedente. Mellotron, synth... sono serviti a rendere più compatto il suono.

Mentre dal vivo rimanete un trio?

Alberto. In realtà su certi pezzi ormai c’è quasi il bisogno di avere le tastiere. L’idea sarebbe di campionare il mellotron su una tastiera, perchè ovviamente portarlo in tour è impensabile. E’ un cassone che abbiamo pagato dodici milioni, e basta muoverlo di un metro perchè già la volta dopo qualcosa non funzioni.

Apparentemente dal primo disco ad oggi i vostri ascolti sono andati sempre più "all’indietro" nel tempo...

Luca. Mah, almeno per quanto mi riguarda mica tanto. Se penso al primo disco e alle cose che ascoltavo allora mi vengono in mente gli Zeppelin, i Sabbath, Keith Emerson, i Grateful Dead...

Nel pezzo di apertura del nuovo disco, La Tua Fretta, c’è qualcosa ad un certo punto, una tastiera in secondo piano, quasi nascosta, che ricorda qualcosa dei King Crimson...

Alberto. Quello è il mellotron, un mellotron del 1964. E’ vero, c’è qualcosa di stridente, quasi urlato, molto alla King Crimson.

Quindi è vero che siete dei ricercatori del passato...

Luca. Ma no, non siamo per il passato ad ogni costo. Ci interessano le cose vecchie esattamente come le nuove. A me interessano anche certe cose anni Ottanta.

Tipo?

Luca. Ultimamente ho preso i Green On Red. Jesus & Mary Chain...

Solo Un Grande Sasso come titolo ha qualcosa di hendrixiano, tipo Third Stone From The Sun...

Alberto. Beh, forse, anche se non era quella l’idea. C’è questo film di guerra, si intitola La Sottile Linea Rossa, e ad un certo punto del film c’è Sean Penn che dice "questa è una guerra, quando si muore si muore e basta, non esiste niente dopo, ed è tutto solo un grande sasso".

Roberta. Ma ci piaceva come titolo proprio perchè è aperto a molte interpretazioni, e poi perchè c’è una sorta di contrasto tra le parole "solo" e "grande".

E il pezzo di Rocky Erickson che era sul singolo e che fate dal vivo, come è uscito?

Luca. Si è preso il disco...

Alberto. Tutti i dischi di Rocky Erickson, a dire il vero.

Luca. Ultimamente ho preso anche un suo disco più recente, acustico, registrato in un ospedale psichiatrico... Comunque, vabbè: abbiamo deciso di fare Reverberation come in passato avevamo fatto Sunshine Of Your Love dei Cream.

Alberto. C’è stato il ballottaggio con Can’t Explain degli Who. Ma ha vinto Erickson.

(da: Rumore, ottobre 2001)