Subsonica: cinque terrestri ai Castelli romani
 

di: Fabio De Luca




La litorina dell’interegionale Roma-Frascati arranca attraverso le dolci colline dei Castelli Romani. Ogni curva nasconde scorci di pergolati dietro ai quali immagini certe trattorie con le tovaglie a quadrettoni che ti viene appetito già solo a pensarci. Come una classica domenica fuoriporta: come i servizi sulle gite di Pasquetta del Tg1. Non fosse che invece è lunedì, che sulla litorina ci sono solo io e una baby gang di liceali metallari, e che - soprattutto - non sto andando in trattoria ma ad incontrare i Subsonica, che di tutti i posti al mondo stanno finendo di mixare il nuovo disco a Grottaferrata. Ecco Frascati, la cui stazione sembra la facciata di uno stabilimento termale. Una breve corsa in taxi ed eccomi a Grottaferrata, depositato di fronte ad una villetta che sembra un capolavoro di edilizia funeraria contemporanea: una specie di tomba di famiglia disegnata da Rem Koolahs, di quelle come ne vedi nel braccio "moderno" del cimitero di Staglieno a Genova. Dentro però c’è uno studio di registrazione che mi assicurano essere uno dei più avanzati d’Italia. Tumulati dentro, da una decina di giorni ci sono i Subsonica al gran completo. La versione del disco che mi fanno ascoltare è ormai al 90% quella che uscirà nei negozi. Il titolo è Terrestre, termine che - dicono - "contiene il superamento di qualunque concetto di razza o di confine geopolitico: terrestre alla fine riassume tutto ciò che di umano vive sopra il nostro pianeta". L’hanno come al solito registrato a Casasonica, lo studio che negli anni Ottanta ospitava la sala di doppiaggio film del padre di Max Casacci, e che loro hanno ricostruito pezzo dopo pezzo praticamente sin dal giorno in cui sono nati, nel 1997. Uno studio il cui ingresso è sotto i portici di piazza Vittorio, pochi metri in linea d’aria sopra i Murazzi, quasi a delimitare quel triangolo (studio-piazza Vittorio-Murazzi) che alla fine riassume perfettamente il senso delle giornate torinesi dei Subsonica quando sono al lavoro.

Parte il disco sul sound-system della sala controllo. "Non sentirti mica in imbarazzo se siamo tutti e cinque qui a guardarti fisso mentre tu ascolti il nostro disco", dice Samuel con un ghigno che promette - al mio primo sbadiglio - di trasformarsi in testata sul naso... Per fortuna il disco è tutt’altro che noioso. Anzi: ti colpisce subito per quanto è elettrico, con un paio di ritornelli (Ratto, Abitudine) addirittura anni Sessanta, quasi beat. Proprio per questo a mixarlo è stato chiamato Dave Pemberton, uno che ha mixato Chemical Brothers e Prodigy. "Più l’album prendeva una fisionomia elettrica", spiega Casacci, "più ci sembrava avesse senso il fatto di coinvolgere una persona che avesse una sensibilità elettronica: questo ci ha fatto sentire più liberi di tirare fuori il lato rock dei Subsonica. Noi non siamo un gruppo rock però stavolta abbiamo trovato una vena elettrica che ci è piaciuta, e l’abbiamo assecondata". A differenza dei precedenti, mi spiegano, il disco non è nato lavorando attorno a dei loop ritmici, ma suonandolo dal vivo. "Per dieci giorni, lo scorso ottobre, noi cinque da soli, senza nessun tipo di contatto con l’esterno, nella casa di campagna del batterista" racconta Boosta. Al settimo giorno, un sabato, quando dell’album si cominciava ormai a vedere la forma definitiva, è stata convocata una comitiva di amiche e amici fidati e si è fatta una festa nel corso della quale, a un certo punto, c’è stata una sorta di prova "aperta" con la pubblica esecuzione dei brani appena scritti. A fine serata la comitiva di amiche e amici era talmente piena di alcol che la speranza di ricevere indicazioni utili al completamento del disco è rimasta, appunto, una speranza. Però la festa resterà nella storia come una delle migliori feste che i Subsonica abbiano mai organizzato. Al punto che una canzone del disco, Incantevole, è nata proprio la mattina dopo, dal mal di testa generale e dai corpi catatonici ritrovati sui tappeti e sotto i divani.

Terminata la scrittura, i Subsonica si sono chiusi in studio. Turni da altoforno: "dalle otto di mattina alle quattro di notte c’era sempre qualcuno in studio a lavorare", dicono. "E ad un certo punto a dicembre", racconta Samuel, "ci siamo accorti che dovevamo darci una botta con le registrazioni". Perchè c’era un contratto da rispettare? No: "perchè la nostra astrologa ci aveva detto che il disco doveva uscire il 22 aprile". La nostra astrologa?!? "Ehm, sarebbe la nostra mammager, Nicoletta, che ci fa anche da astrologa: insomma, butta un occhio ai pianeti...". Ora: la cosa curiosa è che quella che loro chiamano "la nostra astrologa" è in realtà la persona che per lavoro si occupa della parte amministrativa dei Subsonica, in pratica quella che tiene il conto delle fatture, che strilla se qualcuno di loro si dimentica di portare gli scontrini dei pranzi in autogrill. Praticamente la parte più pragmatica (la contabilità) e quella meno pragmatica (l’astrologia) riunite in un’unica persona: se ancora si volesse un segno di quanto i Subsonica riescano a far coesistere mondi tra loro diversissimi... "E la cosa incredibile", aggiunge Casacci, "è che ci azzecca davvero!". Ok: quindi il lungo "assolo di batteria + sequencer" che sta nel bel mezzo di Abitudine è lì perchè l’astrologa ha previsto una congiuntura favorevole al ritorno del progressive [faccina sorridente]? Casacci: "mah, l’assolo di batteria più che il virtuosismo mi fa venire in mente la libertà che i gruppi si prendevano in altri tempi, il fregarsene di dover chiudere un pezzo a tre minuti e mezzo". Samuel: "per il Ninja è stato un po’ ritornare alle sue origini. Lui arriva da un’estrazione molto tecnica: quando io e Boosta l’abbiamo conosciuto e l’abbiamo convinto a suonare nel nostro piccolo gruppo da oratorio - avevamo 15 o 16 anni - lui ha messo come condizione che non ci fossero obblighi di prove e che in concerto gli lasciassimo fare l’assolo di batteria". Boosta: "e quindi dal vivo, in mezzo a Johnny B Goode o When My Guitar Gently Weeps, noi ce ne andavamo dal palco e lo lasciavamo per un quarto d’ora alle prese con il suo assolo".

Il mattino dopo, svegliandomi sotto il cielo di Roma scopro che nottetempo il ritornello di Ratto mi si è infilato nella testa e non accenna ad andarsene. "L’unica ambizione che hai / è stare in piedi / adesso!": come un loop, come avere un iPod inceppato dentro il cervello mentre cammino per Monteverde, mentre prendo la metrò per raggiungere i Subsonici al Museo della Cività Romana, all’Eur, dove è in corso la session fotografica. Samuel è entusiasta del fatto che il ritornello mi sia rimasto in testa. Un po’ meno quando gli confesso che lo stesso mi è successo la scorsa estate dopo aver ascoltato per la prima volta Astronaut dei Duran Duran. Gli chiedo - a lui e a Boosta, che nel frattempo è arrivato sfoggiando il tatuaggio maori appena dipinto su metà faccia - com’è che un gruppo di persone con la fama di teste calde come i Subsonica sia riuscito in tutti questi anni a rimanere estremamente coeso, com’è che non si sono ancora ammazzati a vicenda. "Perchè un gruppo funziona come un matrimonio" dice Boosta, "quando fai 500 concerti nelloi spazio di sette anni - il che vuol dire coesistere per un migliaio di giorni nello spazio ristretto di un furgone - il trucco è mantenere degli spazi personali, tenere d’occhio la maturazione personale oltre che quella di gruppo, ed è esattamente quello che abbiamo fatto dopo Amorematico". "Perchè c’è qualcosa di molto forte a legarci" aggiunge Samuel. "Ad esempio: anche in quest’anno e mezzo in cui sembrava ci fossimo allontanati l’uno dall’altro, in cui ciascuno di noi ha seguito delle strade individuali, abbiamo comunque deciso di prendere una sala prove e di trovarci lì almeno una volta al mese. Poche cose come il fatto di avere una sala prove ti porta a pensare che sei un "gruppo"".

Un quarto d’ora dopo faccio la stessa domanda anche a Casacci. "Subsonica è un gruppo che tende a mettersi molto in crisi", dice, "forse perchè non c’è una figura di leader, e dei testi come della musica siamo tutti responsabili allo stesso modo. La coseguenza è che siamo sensibili a qualunque increspatura, conosciamo le dinamiche e sappiamo - anche molto prima che la cosa sia evidente ad un occhio esterno - quali sono le situazioni che possono diventare potenzialmente pericolose per il nostro equilibrio. Si, certe volte è un po’ faticoso". Che essere un Subsonica sia faticoso lo prova anche il fatto che, mentre la troupe si prepara per lo shooting fotografico, sia Max che Samuel sono ogni minuto al telefono che parlano di dettagli riguardanti la grafica di copertina, i comunicati stampa, gli spot radiofonici. Una faticaccia. "E sai una cosa buffa?" dice Max riprendendo il discorso di poco prima: "la cosa buffa è il rapporto che si è sempre instaurato tra le fidanzate di ciascuno di noi e il gruppo. Stranamente non è mai stato conflittuale. È vero: quando uno prende e parte per due mesi di tourneé la coppia in qualche modo ne risente. Ma a parte questo, chi ha vissuto i Subsonica da vicino ha sempre sentito ciò che ci legava come qualcosa di assolutamente speciale, qualcosa che rendeva migliori come persone, persino".

Ci si sposta sotto il colonnato per il primo scatto. Bicio, il bassista, lancia l’idea di iniziare la prossima tourneé vestendosi tutti con magliette di gruppi metal. "Venom, Iron Maiden, Motley Crue!". Boosta prende in considerazione l’eventualità di farsi tatuare due bande nere sotto gli occhi, "come il cantante dei Motley Crue". Certo, la svolta hard rock cafona dei Subsonica potrebbe essere la notizia del giorno. Gli altri però sono ancora al telefono che fanno l’imitazione di Awana-Gana per spiegare come non dovrà essere lo spot radiofonico di Terrestre. L’idea delle t-shirt metallare per il momento è derubricata. Peccato: alla baby gang di liceali sul Roma-Frosinone delle 14 e 52 sarebbe piaciuta un sacco.

(da: Rolling Stone, maggio 2005)