Ozzy Osbourne: un vecchio zio nella casa degli orrori
 

di: Fabio De Luca




LONDRA. La villa degli Osbournes. Non quella a Los Angeles, dove è stata girata la serie televisiva. Quell’altra, poco fuori Londra, nel Buckinghamshire. La si è vista anche nello show, un paio di volte: il famoso incidente nel quale Ozzy si è rotto il collo capottando con una moto da fuoristrada a quattro ruote è successo sul prato proprio qui dietro. Anche se "prato" non è che renda esattamente l’idea: più che altro una gigantesca opera d’ingegneria, un parco di alberi curatissimi e file di siepi delle quali si fatica a vedere la fine. Tutto attorno corre un muro bianco alto almeno sei o sette metri, mentre un cartello accanto al cancello d’entrata (altissimo e bianco pure quello) dice: "questa proprietà è ripresa dalle telecamere 24 ore al giorno". Né l’autista né l’agente di sorveglianza addetti a scortare gli occasionali ospiti all’interno della recinzione sembrano però cogliere l’involontaria ironia. "Le telecamere 24 ore su 24 le avranno lasciate quelli di Mtv, no?". Ma loro niente, muti.

Vista da fuori la villa non sembra enorme. E’ più una classica casa "all’inglese": bianca, grandi finestre e un sacco di legno. Sulla porta l’ospite venuto dall’Italia passa di mano: dal silenzioso agente di sorveglianza ad una silenziosa addetta stampa dall’aria un po’ interdetta. Da dentro filtra - attutita - l’eco di una musica "hard-rock" che potrebbe anche essere un vecchio album dei Black Sabbath. "Ozzy arriva subito" dice l’addetta stampa, che mi fa strada fino al salotto, indica un divano dopodichè sparisce dietro una porta. Il divano è ricoperto di cuscini con il ricamo stilizzato del cane di casa Osbourne, e scritte tipo "migliore amico". Sui tavolini e sui mobili (tutti antichi, tutti austeri) sono allineati in un ordine che ha qualcosa di maniacale un numero impossibile di microscopici ninnoli: ranocchie che suonano il violino, piccoli cani, riproduzioni in porcellana dei Beatles. Passa qualche minuto: la musica si spegne e il vuoto si riempie del grasso tic-toc di una pendola. L’agente di sorveglianza è scomparso, l’autista e l’auto sono scomparsi, l’addetta stampa è scomparsa e Ozzy chissà dov’è. Ok: sono nella villa degli Osbourne e sono solo. E sarà l’emozione, o saranno le due pinte bevute nel pub di Beaconsfield dove avevo appuntamento con l’autista che mi ha portato qui, ma comincia anche a scapparmi la pipì. Ci sarà un bagno a casa Osbourne?

La risposta non è così scontata. La stanza accanto al salotto è una specie di sala da pranzo, tutta in legno scuro, con un massiccio tavolo che pare uscito da qualche vecchio film di Maciste. Un’altra porta si apre verso quello che sembra uno studio. Tappeti, tendaggi di velluto, lampade a fungo, vasi pieni di fiori freschi il cui odore si spande per tutta la casa. E ancora altri ninnoli, altri cuscini inneggianti al cagnetto di casa, un orsacchiotto usato come fermaporta. E poi il capolavoro. Un quadro: un’immagine ottocentesca di bimbi intenti a giocare, ma con teste di cane al posto delle teste umane. L’unico angolo con una parvenza ancora di umanità è il trumeau su cui sono ammassate le foto di famiglia: tenerissime immagini di bambini, gite in barca e babbi natale. Ozzy Osbourne fa il suo ingresso proprio mentre l’occhio mi cade su un volumetto degli Alcolisti Anonimi sul quale è appoggiata una lattina di Diet Coke. Entra da una porta nascosta da una tenda, e non sembra particolarmente sorpreso di vedere uno sconosciuto che curiosa dentro il suo studio. Borbotta, parla tra sé. In realtà passa e neanche mi guarda. E’ pazzesco perché è esattamente come appare in televisione: una specie di zio picchiatello che si trascina per casa bofonchiando contro chissa cosa.

"Italia... Ai tempi dei Black Sabbath siamo venuti spesso in Italia. A Roma, in Sicilia...". Qualche minuto più tardi, in un’altra stanza ancora (una biblioteca sui cui scaffali i libri sono finti, come quelli dei negozi di mobili) Ozzy Osbourne sta aprendo il rubinetto dei ricordi. "Mi sembra di ricordare che il solo posto in cui abbiamo suonato però è stato Milano. Oh, dio, la gente a Milano era pazza... Non so adesso, ma allora erano veramente tutti pazzi. Ma anch’io ero pazzo, allora: quanto mi sono divertito... Sono stato ubriaco per tutto il tempo: la mattina presto avevo un volo per Zurigo, e quando sono arrivato all’aereoporto ormai era già abbastanza tardi e alla dogana due militari mi hanno puntato contro le mitragliette e mi hanno detto "sparisci, ubriacone"... è dovuto intervenire il promoter". Più che parlare Ozzy Osbourne borbotta. Metà delle risposte bisogna cercare di intuirle: è un po’ come dialogasse con sé stesso, come fosse immerso in una sua nebbia interiore e cercasse di farsi largo. Alla domanda se si senta un sopravvissuto risponde: "ho smesso di bere, ho smesso con le droghe, ho smesso anche di fumare sigarette. Sono vivo, sono qui. Quindi sì, immagino di essere un sopravvissuto". Poi, poco dopo, confessa che il suo vero nemico è la paura. "Ho sempre paura che qualcosa di terribile possa capitare a me o alla mia famiglia. Quando a mia moglie è stato diagnosticato il cancro per un lungo periodo non riuscivo neanche più a dormire nello stesso letto con lei la notte: avevo paura che, se mi fossi addormentato, lei sarebbe morta nel sonno lì accanto a me". E qui Ozzy si interrompe, come gli fosse venuta in mente una cosa importantissima e temesse di dimenticarsela. "Avete saputo, in Italia?" chiede: "sto lavorando ad un’opera ispirata alla figura del mistico russo Grigori Rasputin, "il monaco pazzo". Ho già pronti 72 minuti di musica".

In attesa del musical, l’attuale gingillo per i fan di Ozzy è un buffo album intitolato Under Covers nel quale il prode cinquantasettenne si cimenta - quasi fosse un crooner alla Pat Boone (fra l’altro suo ex-vicino di casa a Los Angeles, e buon amico) - con classici del passato: Beatles, King Crimson, Animals, David Bowie... Nessuno più recente del 1974, si nota, ma questo non vuol dire che a Ozzy non piaccia nulla della musica di oggi. "E’ che con questo disco volevo andare alle radici", dice: "già solo leggere la lista delle canzoni per me è come fare un elenco di momenti belli e momenti brutti della mia vita... e in quelli belli ero quasi sempre ubriaco". Però c’è un pezzo sul nuovo album dei Green Day che gli piace molto, anche se non si ricorda qual’è. E di Kurt Cobain (che una volta definì i Nirvana come "un misto di Beatles e Black Sabbath") borbotta che "è triste la fine che ha fatto". Prima dei saluti gli si chiede se adesso che è finito non gli manchino le telecamere di The Osbournes. "Assolutamente no!" dice, "Non ne potevo più, è stata la fine di un incubo". Una pausa. E mentre già ci stiamo alzando aggiunge una cosa che dimostra quanto alla fine Ozzy sia, a modo suo, un patriarca. "Sai qual è la cosa bella degli Osbournes? Che quando i miei figli avranno a loro volta dei figli potranno far vedere loro le registrazioni del programma e dire loro "ecco questi erano i vostri nonni". Sono il nostro filmino di famiglia".

(da: La Repubblica XL, dicembre 2005)