Morrissey: un alieno a L.A.
 

di: Fabio De Luca




Che cosa c’entri Morrissey con la caotica, salutista, glamourosissima Los Angeles è presto detto. Morrissey ci abita. E mica da un mese, da sei anni. Morrissey: con quel suo nome un po’ warholiano se ne uscì da Manchester poco prima della metà anni Ottanta alla testa di una band chiamata The Smiths. Gli Smiths furono lo specchio nel quale una generazione o forse due di cuori solitari tormentati si rimirò trovandosi bellissima e un po’ speciale. Durante i concerti Morrissey distribuiva gladioli e sguardi languidi, nelle interviste citava Kurt Vonnegut e H.D. Lawrence, ma soprattutto cantava cose nelle quali qualunque adolescente non particolarmente a proprio agio con il ribollimento ormonale poteva trovare sollievo e diletto. Suo il copyright su alcune tra le più sfigate e indimenticabili frasi d’amore mai apparse dentro una canzone pop. Una a caso: "se un autobus a due piani dovesse venirci addosso/morire accanto a te sarebbe un modo così paradisiaco di morire" (There’s a Light That Never Goes Out, 1986). Un’altra: "sono un essere umano ed ho bisogno di essere amato/proprio come chiunque altro" (How Soon Is Now?, 1984). Poi il gioco finì, e ovviamente finì nel modo peggiore e più sgradevole: tutti contro tutti in un’aula di tribunale per pidocchiose questioni di royalities. Gli Smiths non si parlano più tra loro da anni. Uno suona la chitarra come ospite di lusso dentro occasionali progetti discografici mai completamente a fuoco. Altri due scrivono prefazioni a biografie non autorizzate e girano il mondo come dj rock. E poi c’è Morrissey. Che abita a Los Angeles. Anzi, a Hollywood.

"Hollywood è il posto più "centrale" che puoi pensare in una città senza centro come Los Angeles" dice Morrissey. Siamo nel parcheggio di un piccolo teatro di posa in mezzo alla sterminata suburbia autostradale a Nord Est di Santa Monica. Splende il sole di fine pomeriggio, ed a Morrissey hanno appena tolto due mollette dal fondo dei pantaloni: due mollette che dovevano (si intuisce) sollevare il fondo dei pantaloni quel tanto da lasciare intravedere delle ottime scarpe italiane durante l’ultima session fotografica. Fa un po’ sorridere, perchè anche se sono passati quindici anni questo è comunque il signore che cantava quella storia ultraromantica dell’autobus a due piani che ci viene contro, e uno non ci pensa che poi, alla fine, sia anche questione di mollette che ti tengono sù i pantaloni, come nell’ultima delle pubblicità. In ogni caso: è alto, più alto di come te lo ricordavi, e decisamente in forma (la salutista Los Angeles). Quel po’ di grigio sulle tempie dimostra che sarà pure qui da sei anni, ma l’ossessione californiana per nascondere i segni del tempo che passa non sembra averlo ancora contagiato. Del resto sono un bel po’, a quanto pare, le cose di qui che non sembrano averlo contagiato. Ad esempio: dieci minuti dopo, nel salottino in vinile giallo del teatro di posa, prima ancora di riuscire a chiedergli conto di questo nuovo disco intitolato You Are The Quarry, Morrissey è lì che spiega perchè sei anni non sono bastati a fargli amare il lato glamour di Los Angeles. "E’ una scena che per certi versi mi fa paura", dice. "Non paura nel senso di spavento: paura nel senso che è un mondo inquietante per il suo porre l’enfasi solo e unicamente sulle chiacchiere che riguardano il tuo agente immobiliare, il tuo agente per gli ingaggi e le ultime tecniche della chirurgia estetica". Beh, il minimo da uno che citava Kurt Vonnegut e H.D. Lawrence, no? Viene ovviamente da chiedersi cosa accidenti lo abbia spinto, sei anni fa, di tutti i posti al mondo a scegliere propio Los Angeles (che lui chiama ostentatamente "Los Angeles", anche quando la dizione universalmente accettata in città è Ellei). Ok, era stufo dell’Inghilterra, dove la sua stella era da tempo appannata e dove quelle serpi della stampa musicale lo accusavano periodicamente di razzismo, cripotonazismo, massoneria ed altre belle cose del genere. Va bene tutto: ma Ellei? neanche avesse voluto appositamente scegliere il posto al mondo più visceralmente diverso da Londra e Manchester.
Morrissey ci pensa sù un attimo. (Si, dai, fammi credere che non ti hanno mai fatto questa domanda o che non ci hai mai pensato per i fatti tuoi). "Non necessariamente", esordisce scandendo puntigliosamente ogni singola sillaba come è nel suo stile. "Diversi rami della mia famiglia di origine risiedono qui in America. Nel New Jersey, nel Colorado. Negli anni Settanta ho vissuto per un periodo a Staten Island, e sono venuto in visita a Los Angeles molte, molte volte. Sapevo esattamente cosa aspettarmi, ma ugualmente non è stato facile abituarmi. Tutti a Los Angeles sono ossessionati da concetti come "giusto" o "sbagliato". La polizia ha un potere assoluto, e la gente è assolutamente terrorizzata da loro. Possono fermarti, possono puntarti addosso un’arma, possono sbatterti dentro senza dare spiegazioni, possono perfino spararti addosso. Dopo, in caso, ti spiegheranno qual’è il problema. A me è successo, un anno fa esatto. All’aeroporto. C’era una questione con il passaporto: mi hanno preso e chiuso in uno stanzino per dodici ore, senza una spiegazione. Poi, quando finalmente hanno fatto i loro controlli e si sono convinti che non ero una minaccia per la sicurezza, mi hanno lasciato andare. Ma senza nemmeno chiedermi scusa: perchè, dicevano, era in nome della sicurezza nazionale".

Ora: immaginatevi Morrissey (ricordiamoci: quello dell’autobus a due piani che ci viene contro e che paradisiaco modo di morire che sarebbe accanto a te) mentre racconta tutto ciò che ha appena raccontato con quella sua aria trademark da zia acida, la voce che sembra un sussurro flautato e un ostentato fastidio per questi bavbavi amevicani. (Poi ci sarebbe anche una discreta tirata contro mister president George Dabliu: non particolarmente articolata sotto il profilo politico, ma certo piena di buonsenso di strada. Anche se la strada è il Sunset Boulevard). Delle due l’una: ci sta pigliando in giro, sta recitando la parte della Margaret Thatcher in trasferta oltreoceano perchè in realtà qui a Ellei ci sta come un piccolo Elvis, e per contro ce l’ha a morte con noi europei provinciali che gli parliamo sempre degli Smiths. Seconda ipotesi: non ci sta pigliando in giro, Ellei anzichè stemperarla ha fatto emergere ancor di più la sua inglesità e questo è quanto. Gli si chiede conto di un pettegolezzo: quello secondo cui abiterebbe nella casa accanto a quella di Johnny Depp. "Vero ma non preciso", dice. "Actually, è Johnny Depp ad abitare nella casa accanto alla mia". Guida una macchina? Risposta affermativa (non dice quale, però). Anche perchè a vivere a Ellei senza una macchina da guidare c’è da sentirsi sfigati come una canzone degli Smiths. "La gente ti ride addosso se non hai una macchina. La gente ti ride in faccia se giri a piedi. E con il fatto che per spostarsi da un punto all’altro tutti quanti prendono la macchina viene a mancare totalmente quell’insieme di rapporti umani casuali che intrecci quando cammini per strada o prendi la metropolitana. Credo che alla lunga questo porti la gente a Los Angeles ad avere un’idea falsata del mondo, delle altre persone. E poi manca completamente la nozione del "fare una passeggiata": quando la gente esce è per andare in un luogo preciso, seguendo un percorso preciso in base all’ora e al traffico. Non hai la percezione di vivere in una classica "grande città" americana, ma in un agglomerato di piccole città diverse le cui periferie si sfiorano l’un l’altra lungo le grandi strade di collegamento... A Londra hai molto più l’idea di metropoli che non a Los Angeles".

Ti capita di essere riconosciuto per strada?

Si.

Più qui o più in Inghilterra?

Qui. Ma la vera differenza è che qui se hai successo ti rispettano. In Inghilterra quando hai successo cercano subito di trovare un tuo lato oscuro, una ragione per cui sei "indegno" del successo che hai.

Come se il successo fosse una "colpa"?

Esatto, come se il successo fosse una colpa.

Con il successo Morrissey intrattiene del resto un rapporto complesso. Icona di culto ai tempi dell’autobus a due piani che doveva stenderci tutti (con tanto di passaggio tv sanremese che scandalizzò non poco i fan italiani dell’epoca. Era il 1987, Ask la canzone, e di quell’esperienza Morrissey ricorda oggi che "ci spintonarono per farci salire sul palco, ci spintonarono per farci uscire dal palco. Ci trattarono in una maniera ingiustificatamente sgarbata. Fu in assoluto l’ultima apparizione televisiva degli Smiths, e per un lungo periodo non ne volli più sapere dell’Italia"), dopo la fine degli Smiths, Morrissey ha inanellato una serie di mediamente dignitosi album solisti di cui però sembrava importasse solo ai vecchi fan. L’ultimo è del 1997, da allora il silenzio. Fino a quella strana forma di revival spontaneo rilevata negli ultimi due anni, prima alla spicciolata poi in maniera sempre più massiccia. Il duo lesbo-pop russo Ta.Tu. che rifà How Soon Is Now?; Please, Please, Please Let Me Have What I Want che sbuca a tradimento nello spot di una birra; la generazione "emo" del post-punk che riconosce negli Smiths i propri padri putativi e persino un gruppettino dark-glam niente male, da Seattle, che si chiama Pretty Girls Make Graves in omaggio ad una loro vecchia canzone. Siamo al gennaio 2004: i biglietti per il concerto "del ritorno" alla Manchester Arena il 22 maggio vanno esauriti in sei ore nette non appena si aprono i botteghini in internet. (Curiosa notizia per appassionati: in omaggio ai vecchi fan ed al vecchio inno vegetariano Meat Is Murder, Morrissey ha chiesto e ottenuto che per quel giorno vengano allontanati dall’Arena i venditori di hamburger e hot dog). Poi l’offerta da parte delle autorità londinesi della direzione artistica del multimediale Meltdown Festival, il prossimo giugno alla Royal Festival Hall, incarico che Morrissey ha accolto con entusiasmo e puntiglio.
E in tutto ciò ecco anche il nuovo disco, You Are The Quarry. Che non si sapesse che dietro c’è Morrissey, sembrerebbe l’opera di un gruppo-tributo particolarmente calligrafico. Appena un po’ di modernità nella veste, che è - alla lontana - perfino garbatamente elettronica. Ma è una sfumatura. L’ossatura è rock, pennate di chitarra: potrebbe piacere persino al pubblico teenager del neo-punk californiano. E basta poco a riconosceci tutta la smithsianità, tutta la morrisseyanità condensate in una serie di canzoni che fanno quasi paura da quanto sono riconoscibilmente "alla Smiths". In omaggio ai vecchi tempi proviamo ad esempio a leggere i testi: non c’è il famoso autobus a due piani, ma poco ci manca. "Lunedì, umiliazione/martedì, soffocamento/mercoledì, superiorità/giovedì è patetico/e per venerdì la vita mi ha ucciso" (I Have Forgiven Jesus). "Ha detto che mi amava/il che vuol dire che è pazza" (How Can Anybody Possibly Know How I Feel?). "La donna dei miei sogni/non è mai arrivata" (I’m Not Sorry).

Chiederne conto al diretto interessato però non è esattamente l’operazione più semplice del mondo. Lui dice: "vuoi parlare del passato? Ma il tempo scorre in avanti, non è più il 1987, è il 2004, il mondo è cambiato". Ok, ma non si può far finta che queste canzoni non siano così intimamente simili a quelle che scrivevi vent’anni fa: stessi temi, stesse situazioni, stessi personaggi persino. No, niente da fare. "Non c’è nulla che leghi queste nuove canzoni alle vecchie: il mondo è diverso, io sono diverso. Sono più rilassato, sono più - posso dirlo? - felice! L’unica cosa che le accomuna...". Si...? "...è la consapevolezza che anche se io sono più rilassato e più felice il mondo non è diventato un posto più rilassato o più felice".
Oh, beata consapevolezza. Dunque, teorizza Morrissey, ciò che vale la pena raccontare sono ancora "i traumi e le imperfezioni nella vita attorno a te e nelle persone". Come ai vecchi tempi. Come ora e sempre. E questo tornare ad essere il preferito di così tanta gente? A far fuori i biglietti di un palasport in meno di sei ore non sono solo i "vecchi" fan, evidentement. "Non è meraviglioso? E’ piacevole constatarlo, ma non è piacevole leggerlo sui giornali perchè sembra suggerire tra allora e adesso io non abbia fatto nulla di interessante, che non è vero". Tutti i lampioni di Santa Monica si accendono all’unisono mentre il sole finisce di tramontare e Morrissey prende fiato per quella che evidentemente sarà l’ultima parola, quella definitiva. "Io non me ne sono mai andato", dice: "è il resto del mondo che si è distratto". Ah, infatti. Era sembrato così anche a noi.

(da: Rolling Stone, maggio 2004)