Amari Grand Master Mogol [voto: 4,5/5] Se Franco Battiato oggi avesse venticinque anni e fosse dunque cresciuto con tutto attorno l'hip-hop, la techno e la mellifua malinconia “indie” degli Smiths, farebbe esattamente un disco stiloso e geniale come questo degli Amari. Che iniziarono, anni fa, come una delle tante posse fulminate sulla via dell'hip-hop italiano, ma colsero presto i limiti tanto del rap come dellla “canzone”, e si operarono dunque a destrutturare l'uno e l'altra alla maniera (e con l'attitudine, per metà casalinga e per metà anarcoide) di certi produttori da laptop. Risultato: questo taccuino di viaggio interiore (ma soprattutto esteriore) nelle meraviglie dell'essere 25enni nel 2005. (da: La Repubblica XL, ottobre 2005)
UPDATE: per Milano e zone limitrofe l’imprescindibile appuntamento è questo sabato al Festival Audiovisiva @ Fossati del Castello Sforzesco, ore 19.00, ingresso gratuito. E come accennato nei commenti, su RockIt c’è un sampler dell’album da ascoltare oltre ad una strepitosa Conoscere Gente In Ciabatte (versione demo-acustica di Conoscere Gente Sul Treno)
UPDATE 2: ve lo dico anche se è probabile che già sappiate, visto che praticamente in giro non si parla d'altro (tipo che stamattina, al mercato, il tizio del banco dei formaggi mi ha fermato dicendomi «ma lei che segue la musica, ha saputo dei Boards Of Canada?»). Insomma, pare che quando incontrano degli italiani i Boards Of Canada chiedano loro notizie degli Amari. Già allo studio la nuova t-shirt Riotmaker: «i Boards Of Canada chiedono di me». |
Art Brut Bang Bang Rock'n'Roll [voto: 4,5/5] «Il mio fratellino ha appena scoperto il rock'n'roll» cantano gli Art Brut da South London, subito dopo il singolo nel quale dichiarano programmaticamente «abbiamo formato una band». E tanto basta, si direbbe. Abbastanza ovvio che non di esercizi di memoria si parla, qui, nè di categorie del quieto ragionare di musica, ma di incredule repentine intuizioni, di immediatezza bruciante contro la quale non c'è cura se non il farsi consumare. Abbiamo scoperto il rock'n'roll, abbiamo formato una band, eccoci qui: punto. E adesso, mentre noi ci si mette bravi & belli a ragionare su come ogni singolo minuto dei trentadue che dura Bang Bang Rock & Roll sembri una sublime variazione sul tema di Love Comes In Spurts (Richard Hell & The Voidoids, New York 1976), gli Art Brut nel frattempo sono già lontani, hanno già rimorchiato due o tre ragazze, hanno già fatto cinque o sei concerti e magari si sono già sciolti. E noi ancora qui a parlare, a scrivere. Se un merito hanno gli Art Brut rispetto alla media delle band del nuovo-britpop è che fanno realmente venir voglia di mandare a quel paese le chiacchiere e formare una band con il basso, la chitarra, la batteria e finita lì. Chissà: magari davvero non è mai troppo tardi. (da: La Repubblica XL, ottobre 2005) |
The automatic italian ska bands names generator Da sempre il mio lavoro di sogno: inventore di nomi e curatore d'immagine per gruppi ska italiani. Pur consapevole che intuizioni come “Matrioska”, “Skaramanzia” e “Skaligeri” siano inarrivabili, ecco alcune recenti intuizioni:
Maniskalchi: teorici dell'epic-metal-ska, con un'immagine rude e al tempo stesso rude (ah, ah, ah) a metà tra Manowar e Madness. Gli Skambisti: formazione tipo Abba - due uomini e due donne - e testi porno-ammiccanti sulla bellezza dell'amore di gruppo. Skalcinati: l'inattesa deriva crusties-punkabbestia dello ska. Pennello & Maskara: i veri ed unici alfieri del gay-ska: immaginate i Bluebeaters con alla voce il primo Malgioglio. I Caskamorti: elegantissima (e vagamente effemminata) formazione dandy-ska che mescola gli Specials ai primi Roxy Music (con testi tipo Gli Sciacalli, per chi se li ricorda). Il Pagliaccio Nella Skatola: coraggioso esperimento di contaminazione prog-ska: praticamente ciò che si otterrebbe sommando Selecter e Marillion. Gli Skaricatori: il primo gruppo ska legato a Creative Commons. Vestiti come camalli del porto di Genova, inneggiano al filesharing e distribuiscono il loro album di esordio - Skarica anche tu! - su Soulseek e Limewire. Skalvario: cantautore ska d'ispirazione cristiana. Notevole il titolo dell'album di esordio: “Uomo, dove skappi? Dio ti cerca”. Gli Skavalieri del Re (questa è per filologi): cover-band che reinterpreta in chiave rude boy i classici delle sigle dei cartoni giapponesi. Tra i loro anthem Skandy Candy e Lady oSKAr...
UPDATE - i lettori ci scrivono: Suzukimaruti Skappellamento A Sinistra: toscani e goliardici, rifnno in versione rude boy i brani dei “5 madrigalisti moderni” (questa è per cinefili). Skatologia: quartetto che compone - per imperscrutabili motivi psicologici - canzoni ska con moltissime parolacce.
Colas Skassacazzi: un gruppo molto, molto petulante.
Maxcar Skasi: glitch-ska, con il loro “SKAype Tour” (sulla scia dell’ISDN tour dei FSOL). Skaramacai: gli Slipknot dello ska Il Trio LeSKAno: “Tulli, tulli, tulli, tulli, tullipan...”
Achille SkabirBedi: gruppo ska con influenze banghra e un look da nostalgici anni ‘70 Skandalo Al Soul: gruppo raffinatissimo, esegue solo cover ska di pezzi della Motown...
Andrea Skavolini: pesaresi e – va da sé – appassionati di basket.
Piol Giuda iSKAriota: gruppo di bastardi che prima prendono i soldi e poi neanche suonano. Skassinatori: tipo i Giuda iSKAriota, ma i soldi vanno a rubarli di notte nel locale dove hanno suonato. Skarabinieri: gruppo concorrente il cui ruolo fondamentale è beccare i primi due sul fatto
Frà ToSka: progetto austriaco di dub-ska elettronico operistico. Micidiale la partecipazione della vocalist (s)Katia Ricciarelli...
EmmeBi Skalfarotto: singer gay-ska della new wave di sinistra. Testi politici ma non troppo.
Klaodeli Skadenti: gruppo di indubbio insuccesso. GiucaSkasella: gruppo di trash-esoterismo scomparso dalle scene Skavicchi Ma Non Apra: deriva logorroica dello ska, caratterizzata da testi prolissi e (fintamente) forbiti Skajola: un gruppo dal passato torbido
Femore Gli Skaut: gruppo christian-ska, si presentano sul palco con fazzolettoni e pantaloncini corti anche se suonano in Siberia, e propongono riadattamenti ska di Symbolum 77, Padre nostro, Alleluja etc etc etc.
Benty PorcamadoSka: evidentemente su posizioni un po’ diverse rispetto a Gli Skaut e Skalvario... (vd. sopra)
Giuseppe A SKAnso Di Equivoci: band che vuole fugare ogni tipo di dubbio. |
Arrivare ad un’età più vicina ai cinquanta che ai quaranta. Ciononostante essere ancora uno dei (quattro? cinque? dieci?) migliori dj d’Italia, cioè non semplicemente uno che mette della musica sensata, ma uno che la gente fa i chilometri per venirti a sentire, uno che - come dicono i pierre - “muove gente”. Essere dunque uno che in qualche modo la storia del clubbing di questo paese l’ha fatta. Dunque uno che lo pensi intoccabile, impermeabile a quelle situazioni para-Brazil che invece costellano l’esistenza dei diggei “di base”.
Poi lo vedi in una serata evénto come quella di ieri alla Triennale di Milano e improvvisamente capisci che - al di là dello zero in più nel cachet - we’re all in the medesima bagnarola. La serata evénto era dedicata alla celebrazione di una incomprensibile joint-venture tra la Nota Multinazionale Discografica Che I Coldplay Stavano Per Portare Sull’Orlo Della Bancarotta e la Automobile Il Cui Segmento Di Mercato Si Spera Non Sia Commisurato Al Suo Nome. Ci suonavano Coccoluto, Alex Neri e, appunto, Ralf Supermaxieroe. A cui è toccato aprire le danze in una situazione che constava di: A) tensostruttura in acciaio, plexiglas, kevlar e cartongesso dall’acustica paragonabile ad una caverna del Sulcis; B) luci a palla; C) gente imbambolata dentro pulloverini color carta di zucchero che schifava il verde prato della Triennale perchè «ci fa umido»; D) gente che si faceva fotografare con accanto delle Veline per poi fare invidia agli amici; E) gente che si faceva delle Veline per poi fare invidia a quelli che si facevano fotografare con accanto; F) delle Veline. Ciò che accomunava tutte le precedenti tipologie umane era il fatto di non avere la minima, lontana, remota intenzione di ballare. In sintesi: in consolle ci sono i tre maggiori dj italiani, e nessuno balla. Secondo me nascosto dietro le tende della tensostruttura c’era Joe T Vannelli che rideva come un matto.
Ma torniamo a Ralf Supermaxieroe: questa era la situazione all’inizio della serata. Dopodichè?
Dopodichè due gnocche gli si avvicinavano e gli dicevano: «Ralf, Ralf, ci insegni a mettere i dischi?». Che sarebbe più o meno - anzi, senza più o meno - come se Ralf si avvicinasse alle medesime mentre stanno sfilando per Costume Nacional e dicesse loro «scusate, mi insegnate a fare un giro sulla passerella con addosso una zimarra di montone?». Ma Ralf Supermaxieroe ha la capacità di sopportazione di un santo, e paziente piazzava la cuffia sulla crapa dell’una delle due gnocche e le spiegava che bottoni premere, dove mettere le mani e in quale momento preciso far partire il disco dopo. Oooh, miracolo: funziona!
Dopodichè il padrone di casa, quello che di cognome si chiama quasi come il mio dj inglese preferito, per avere le mani libere e meglio poter manifestare il suo apprezzamento alle gnocche in consolle, appoggiava una macchinina raffigurante l’Automobile Il Cui Segmento Di Mercato Si Spera Non Sia Commisurato Al Suo Nome nell’unico (secondo lui) posto libero, cioè il disco che stava andando. SCCCRREEEWWWWTCCCHHHHHHH.
Dopodichè Coccoluto scherzava molto Ralf Supermaxieroe dicendogli «ma cosa combini? non sai neanche mettere due dischi?». Ralf si guardava in giro sperando di essere finito su Scherzi a Parte, ma invece purtroppo no.
Dopodichè una figa vestita tipo Madonna periodo “covoni di fieno e cappelli da cowboy” voleva anche lei che Ralf Supermaxieroe le insegnasse a mettere i dischi. Con lo sguardo di chi ha la certezza che se un fulmine lo colpisse in quel momento egli finirebbe dritto in Paradiso senza neanche un minuto di Purgatorio, Ralf Supermaxieroe posizionava la cuffia sulla bionda testa della figa, le spiegava che bottoni premere, dove mettere le mani etc etc etc. Oooh, miracolo: funziona anche stavolta!
Dopodichè il padrone di casa, quello che di cognome etc etc etc, decideva che il fatto di essere padrone di casa lo rendeva gnocca abbastanza per poter esigere anche lui una lezione privata da Ralf Supermaxieroe. Stesso posizionamenteo della cuffia, stessa spiegazione su che bottoni premere, identiche indicazioni su dove mettere le mani e in quale momento preciso far partire il disco dopo. Oooh, SCCCRREEEWWWWTCCCHHHHHHH. No, stavolta non ha funzionato.
Dopodichè sempre lui, il padrone di casa, si sporgeva per salutare quelli che lo salutavano giù dalla consolle allungandosi prima sopra il mixer, poi sopra il piatto di destra, infine sopra il piatto di sinistra. Imperturbabile come il San Sebastiano della tradizione cattolica (e come lui con gli occhi rivolti al cielo), Ralf Supermaxieroe continuava a mixare.
Tutto questo nella prima mezz'ora: dopo non ho idea di quali altre sadiche vessazioni siano state inflitte a Ralf Supermaxieroe, perchè il cuore non mi reggeva e me ne sono andato.
(PS: però in conferenza stampa il padrone di casa, quello che di cognome etc etc etc, alla domanda «ma che musica le piace?» ha risposto: «Eminem, perchè arriva da Detroit, città con una lunga tradizione d’industria automobilistica». La prossima volta gli porto una compilation di Underground Resistance. Hai visto mai.)
Più o meno come avere una scatola di petardi la sera del trentun dicembre e poi questa ti cade in una pozzanghera
Bravo, bravo, bra-vo! a Trevor Jackson, che nel volume 4 della serie Channel e relativo promo EP in vinile piazza un micidiale rare groove di new wave italiana metà anni Ottanta (1987 per la precisione), la cover teuto-goth di Girls And Boys di Prince fatta dai Pankow.
Ora: essendo chi scrive - nel caso ve ne foste dimenticati - una vecchiazza che nel 1987 già comprava dischi e figurarsi se si lasciava scappare un albo dal titolo Freiheit Fur Die Sklaven, suddetta cover di Girls And Boys ha sin da allora domicilio nel pregevole scaffale in noce massello accanto a dischi di Detonazione, Frigidaire Tango, Spirocheta Pergoli etc etc etc. Salvo poi essere ripescata e reinserita d’ufficio nella borsa dei dischi un paio di anni fa, alle prime avvisaglie del cosiddetto electroclash†. Diventando da allora una delle mie armi segrete preferite: del tipo che non c’è stata volta in cui l’abbia suonata senza che poi si creassero capannelli di diggeietti sotto la consolle che buttavano l’occhio per capire di che si trattasse, ma cercando di non farsene accorgere. Oppure processioni di clubbers dall’orecchio fino che invece non gliene fregava niente di farsene accorgere (probabilmente perché non erano diggei) e «che cos’è sto pezzo?» te lo chiedevano direttamente, e tu potevi fare il visino fico di circostanza e pure le labbra corrucciate e rispondere «eh, è un disco italiano del 1987» («mavvà?», «massì, sono i Pankow», «ah», «e la copertina l’ha disegnata H.R.Giger», «ah».).
Fanculo, adesso che chiunque può averla non me ne frega più niente. Anzi, ve la metto qui da scaricare. Fanculo Trevor Jackson. Fanculo, fanculo, fanculo. |
Quello che in terminolgia forense si definirebbe “riesumazione della salma” (aka: «it’s a very very/mad world») Ricevo stamani quale gradito cadeau una da poco pubblicata raccolta di cheesy-FM-pop anni Settanta, ripiena di tutte quelle meraviglie di cui sono in genere ripiene le raccolte cheesy-FM-pop fatte a mestiere, quindi i pezzi conosciuti - ma, attenzione, non conosciutissimi di Elton John, 10cc, Steve Miller etc. etc. etc. Più un pezzo di Cat Stevens intitolato Matthew And Son, datato 1966 (che già uno si chiede che ci faccia in una raccolta dedicata agli anni Settanta), e nel quale c’è un bridge che più lo sento e più mi ricorda qualcosa... A voi no? |
Saturday Night Fewer (no, non è un refuso) Sabato sera, cioè domani, il tenutario del presente blogghetto suona i dischi nella sala “Morphine” del Cocoricò di Riccione. Che detto così uno potrebbe pensare «poveretto, che gli tocca fare per vivere», e invece no, perché il Morphine è la zona trance-free del Cocoricò ed è anche uno dei posti in cui mi piace di più suonare giacché A) il dancefloor è grande più o meno come la cucina di casa mia e B) ci si può suonare più o meno di tutto, anche Jackie Mittoo seguito da Hot On The Heels Of Love dei Throbbing Gristle. Se siete in zona e non sapete dove portare il vostro cuginetto di diciassette anni questa potrebbe essere un’idea: il cuginetto lo mollate in Piramide appena entrati, ad esplorare per suo conto i paradisi artificiali, e voi venite da me al Morphine. Se mandate una mail alla posta del blogghetto entro sabato mattina – e se non siete in troppi, ma non credo - provo a mettervi in lista. (si replica, comunque, sabato 17) |
Forse non tutti sanno che... Non chiedetemi perchè stessi girando per siti che parlavano dei Giardini Di Mirò (potrò ben avere le mie vergognose abitudini all’una di notte, o no?). Fatto sta che su Ondarock ho trovato questo me-ra-vi-glio-so incipit d’intervista che ci tengo a condividere...
In un’intervista dicevate che il vostro nome deriva da quello di un picolo parco a Cavriago, nel quale eravate soliti trovarvi già molto prima della costituzione della band e nella cui area adesso hanno costruito un centro commerciale. Sul sito della Homesleep, invece, nella vostra biografia si legge che il vostro nome è stato, per così dire, ereditato da una band romana in cui suonava lo zio di Corrado, band molto vicina agli Area di Demetrio Stratos e alla Pfm di Mussida, una band progressive. E non finisce qui: su Blow-Up avete detto che il nome è ciò che rimane del cartone animato di cui avreste dovuto realizzare la colonna sonora, insomma... Vogliamo fare chiarezza su questo dubbio amletico?
Mio dio... direi che ci hai scoperto... che dire. Abbiamo un po’ giocato sul nostro nome. Potrei dirti che era il nome di un'opera dell'artista cavriaghese Wandrè (famoso per le sue chitarre in alluminio) o il nome della prima pizzeria in Italia dove si facevano le pizze tirate... ma continuerei ad alimentare leggende e mezze verità. Ti dirò come stanno le cose. In realtà speravamo che qualche cinefilo incallito riconoscesse la citazione. “Giardini di Mirò” è una frase ricorrente in tutti i film di Antonioni. Il regista pensava che fosse una frase che portasse bene alle sue opere. La inseriva in tutti i film. O pronunciata dall'attore (come ad esempio fa Jack Nicholson alias David Loke in Professione Reporter) oppure scritta piccola piccola in un cartellone pubblicitario nella Swinging London di Blow Up o inserita nei titoli di coda in Zabriskie Point. Il regista pensava fosse una cabala, alla base del suo successo. Ora non chiedermi da dove il buon Antonioni abbia coniato questa espressione, però sta di fatto che da "Deserto Rosso" a "Professione Reporter", l'espressione Giardini di Mirò ricorre in tutte le sue opere in maniera più o meno velata. Noi abbiamo semplicemente pensato che se la cosa portava bene al Maestro, poteva per luce riflessa portare bene anche a noi. Allora ecco riesumata la cabala del regista per coniare il nostro nome: Giardini di Mirò. E fino ad oggi ha funzionato... |
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