Kings Of Convenience: un mondo di canzoni ideali
 

di: Fabio De Luca

"Non so se hai presente la distinzione che fa Platone tra mondo reale e mondo ideale", dice Erlend Øye dei Kings Of Convenience come fosse la domanda più ovvia del mondo. Presente? La mattina presto? Dopo essere uscito di corsa da casa? Senza praticamente ancora aver bevuto neanche il caffé? Ehm... Riassunto delle puntate precedenti: i Kings Of Convenience sono due, Eirik Glambek Bøe e il già menzionato Erlend. Arrivano dalla Norvegia, e lo scorso fine gennaio hanno pubblicato il loro primo album (di cui già sapete vita morte e miracoli perchè era disco del mese su Rumore scorso) intitolato, con grande senso della contemporaneità, "il silenzio è il nuovo rumore" [e a meno che nel 2001 non escano altri 25 album più eccezionalmente belli di questo, Quiet Is The New Loud ve lo ritrovate pure il prossimo dicembre tra i dischi dell’anno]. I Kings Of Convenience suonano un pop acustico (pensate a Paul Simon, pensate a Nick Drake) che, pur basato sugli stessi assunti di trent’anni fa, ha una peculiare qualità di "astrazione dal tempo" che lo fa suonare come, esattamente, un prodotto del mondo d’oggi. A questo proposito: Erlend Øye, quello della domanda su Platone, ha una peculiarità. È capace di disegnare, lì davanti ai vostri occhi, su qualunque foglietto o lavagna, un attendibile (ed anche parecchio dettagliato) planisfero del pianeta Terra. Il che ci porta a Platone. Se infatti esiste una qualche relazione tra l’abilità a disegnare mappe e l’abilità a scrivere canzoni (oltre al fatto di essere entrambi talenti che richiedono in egual misura aderenza alla realtà e capacità di astrazione), "la similitudine", dice Erlend, "sta nel fatto che quando io disegno una mappa ho perfettamente chiaro in testa come dovrà essere, eppure ogni volta alla fine del lavoro sarà sempre leggermente diversa dal modello che avevo in mente. Con le canzoni è lo stesso: inzi che hai in testa la canzone perfetta, poi man mano che la sviluppi ti accorgi che quel ritornello che sembrava perfetto alla fine non è poi così perfetto, e via via perdi il contatto con quell’idea di perfezione che ti aveva illuminato all’inizio. E talvolta la recuperi lavorando a lungo sulla canzone, altre volte non la recuperi per nulla e lasci perdere. Platone aveva capito tutto".



"Ci vuole tempo" gli fa eco Eirik, "ed alla fine quello che rimane è un compromesso tra la perfezione ideale della canzone originale e quanto la tua abilità è riuscita ad avvicinarsi a quell’ideale di canzone". Qualcuno credeva che "chitarra & voce" rendesse la vita più semplice? "Per questo dicevo che è come disegnare mappe", rincara Erlend: "credi di avere in mano il mondo, invece ti ritrovi solo con un disegno approssimativo". Argh: nessuna speranza allora, in questa valle di lacrime, di poter accededre a quella perfezione? "In un album le singole canzoni si completano a vicenda" conclude Eirik: "in questo modo, se ascolti l’album tutto intero, avrai l’idea più attendibile che sia possibile di quella canzone perfetta dalla quale siamo partiti". Sarebbe bellissimo potervi raccontare anche della discussione successiva, intitolata "quali saranno i problemi quotidiani della gente tra cinquant’anni" (in sostanza: gli stessi, solo che li esprimerà con metafore diverse rispetto ad oggi), o di come Seventeen Seconds dei Cure sia secondo Erlend "uno dei maggiori esempi compositivi da cui siamo stati ispirati: per la semplicità e per la coesistenza di livelli diversi di suono, a partire quel mormorio del basso in sottofondo", o del fatto che "non occorre riempire ogni spazio dello spettro sonoro per dare una sensazione di suono "pieno"" (Eirik, che in un colpo solo sistema Phil Spector e spiega il titolo dell’album), o della constatazione che uno dei sogni ad occhi aperti ricorrenti tra le persone adulte è di poter essere di nuovo bambini ma con l’esperienza di un adulto (da cui, a quanto pare, il proverbio norvegese "l’esperienza è un pettine che la vita ti da dopo che hai perso tutti i capelli"...). Putroppo in questo numero dobbiamo farci stare anche altre cose. Quindi ciao-ciao Kings Of Convenience, mentre Erlend è ancora alle prese con il suo disegno della Terra, rigorosamente partendo dall’Alaska per finire con la Nuova Zelanda. "Non potrei mai fare il contrario", dice: "disegnare la Terra è come fare la propria firma, nessuno riuscirebbe a farla partendo dalla fine...".

(da: Rumore, febbraio 2001)