The future is Optimo
 

di: Fabio De Luca




Nelle prossime due paginette si proverà a immaginare il futuro del mestiere di dj. Diciamo di qui a dieci anni, forse anche meno. Non a caso lo proviamo a fare adesso, in quello che da molte parti è percepito come un momento di profonda crisi - economica e d’ispirazione - del clubbing e della musica da club in generale: perchè è dalla crisi, in genere, che scaturisce il cambiamento. Quel cambiamento, quel reset generale che molti aspettano e persino auspicano, e di cui le ultime dancefloor-mode, sempre più avvitate al riciclo del già esistente (electroclash, punk-funk, ma anche certe derive disco), sembrano quasi essere l’estremo tentativo di rimandare l’arrivo. Come quando a scuola si chiedeva al professore di rispiegare qualcosa solo per ritardare il momento delle interrogazioni.

Partiamo da un assunto molto semplice: il dj - inteso come "persona che sceglie i dischi e li mette in fila per far ballare la gente" - non scomparirà mai. Si è molto parlato, negli ultimi anni, del fatto che adesso - non essendoci più il vincolo al vinile e ad una collezione di dischi - chiunque disponga di una connessione internet veloce e di un masterizzatore possa diventare dj nel giro di una notte. Balle. I dj-scaricatori sono un tipico prodotto di questo momento di crisi e di passaggio, e appena la crisi scomparirà scompariranno anche loro. Più interessante la teoria secondo cui la nuova tecnologia d’ascolto individuale - ovvero l’iPod, che in effetti permette a ciascuno di viaggiare con la propria collezione di dischi sempre al seguito - produrrà un consumatore di musica naturalmente portato a "scambiare" e confrontare il contenuto del proprio hard-disc portatile con quello degli altri iPodders, e dunque pronto a pluggare l’hard-disc medesimo in qualunque locale pubblico o casa d’amici si trovi. Ma anche qui non stiamo parlando di dj, se siamo ancora d’accordo sul fatto che "dj" è qualcuno che ascolta un sacco di musica, consuma un sacco di musica, colleziona un sacco di musica, ok, ma poi - questa è la differenza con un semplice collezionista - la usa (possibilmente nel modo giusto) per intrattenere e far ballare il suo pubblico. Il dj è uno che ascolta e consuma musica, come tutti, ma è come se in un angolo del proprio cervello avesse sempre acceso una specie di software che gli ricorda qual’è la propria missione nel mondo: far conoscere quello che lui già conosce, far innamorare la gente di ciò che lui già ama, far ballare le persone con i dischi che lui scopre.

Questo è il dj, indipendentemente dagli strumenti che usa per raggiungere lo scopo (vinile, cd o laptop). E già che ci siamo togliamoci anche un altro sassolino dalla scarpa: la questione del cd. Si potrebbero riempire pagine sulla diatriba (al 50% ideologica e al 50% effettivamente tecnica) su cosa sia meglio, se il vinile o il cd. Qui limitiamoci ad una semplice considerazione: ci avevano detto che il futuro del djing era il cd, e adesso possimo dire con certezza che ci avevano preso in giro. Dovevamo capirlo da una semplicissima cosa: da come tutto il bric-a-brac tecnologico messo al servizio dei cd-player "da dj" non servisse in realtà ad altro che a nascondere un atavico senso di inferiorità del cd rispetto al vinile. La cosa si è mostrata in tutta la sua imbarazzante evidenza con l’arrivo del CDJ-1000 della Pioneer, una macchina digitale studiata per replicare tutto dei vecchi Technics 1200, dalla disposizione dei comandi sulla plancia ai "difetti" (l’effetto di spegnimento accidentale del piatto). Ora: perchè i biscotti per cani sono fatti a forma di osso? Per compiacere i loro destinatari, o piuttosto per i padroni? Ecco, per i cd player da dj la questione è più o meno la stessa. Sono macchine fatte per gente che in cuor suo ha ancora ben chiaro come i Technics 1200 e i dischi in vinile siano la miglior invenzione dai tempi della ruota. Il futuro è dunque nel vinile? No. Il futuro è nel laptop, è ovvio. Ma non in quel bizzarro trionfo di neobarocco tecnologico che è il Final Scratch della Stanton (con il quale pilotare files mp3 attraverso i vecchi Technics e due dischi alfanumerici in vinile), che esattamente come il CDJ-1000 è poco più che l’ennesimo tentativo di mettersi un vestitino molto futuribile senza però accettare l’idea stessa - implicita nella nozione di "futuro" - di cambiamento. E il cambiamento che abbiamo davanti è curioso, perchè richiede la disponibilità ad abbandonare la grande certezza che ha fino ad oggi accompagnato il dj, cioè quella di avere dei "dischi" su cui il proprio lavoro è basato, ma al tempo stesso consiglia anche di non dimenticare - anzi! - quel patrimonio di memoria storica che i dischi hanno rappresentato e probabilmente continueranno sempre a rappresentare. E qui entrano in scena i nostri nuovi eroi. Si chiamano OPTIMO, arrivano da Glasgow e sono in due: JD Twitch e JG Wilkes.

Non sono giovanissimi: a occhio stanno più dalla parte dei 40 che dei 30. Fanno i dj da tutta la vita, questo si. Hanno suonato di tutto. Dall’indie rock psichedelico di metà anni Ottanta alla techno da rave. E si sono inventati questo club a Glasgow, Optimo Espacio, il cui nome è un tributo "all’omonima canzone dei Liquid Liquid, e un omaggio agli ideali della New York dei primi anni Ottanta, quando tutte le diverse scene - hip-hop, punk, no wave, disco, gay, etero, arte, fotografia - per un breve attimo sono entrate in collisione generando uno dei momenti più creativi nella storia dell’arte, della musica e del clubbing". Già avrete intuito come i due Optimo abbiano fatto dell’eclettismo una scelta di vita: per toccarlo con mano è uscito da poco questo loro mix-album per Tigersushi, How To Kill The Dj part.2, dove dentro ci sta di tutto e di più. C’è il soul, la new-wave (Soft Cell, Gang Of Four), il punk, la techno, schegge di industrial-music (Nurse With Wound e Monte Cazazza). Talvolta sono pezzi interi, talvolta sono soltanto dei frammenti messi in loop (gli Optimo usano un software chiamato Ableton Live, che permette "di gestire anche dieci loop simultaneamente, e stretcharli in maniera tale che vadano perfettamente a tempo tra loro, anche quelli più discontinui"), così che il suono complessivo risulta al tempo stesso retrò ma anche estremamente "tecnologico" al tatto. Come dire la sintesi perfetta di quanto teorizzavamo poco fa: vecchi dischi e laptop. Gli Optimo non sono certo i primi ad usarlo, il laptop, nei propri dj-set (Richie Hawtin, per dirne uno che gli appassionati di techno portano in palmo di mano, o Ricardo Villalobos): sono però i primi ad usarlo in un modo che segna una così evidente ed armoniosa continuità tra passato e futuro, tra conoscenza accumulata - sotto forma di musica e dischi - e nuovi modi per renderla disponibile all’esterno. Modi tecnologici che a loro volta aiutano a trovare (o a costruire) continuità tra generi tra loro magari diversissimi, come nei dj-set degli Optimo. E’ solo uno dei futuri possibili: di certo è il più affascinante.

(da: Hot, febbraio 2005)