The Libertines: vuoi sapere che si prova ad avere nella band un potenziale Sid Vicious?
 

di: Fabio De Luca




Carl Barat guarda attraverso un paio d’occhi che sono poco più che una fessura. Ha venticinque anni, e - forse a causa della stanchezza - ne mostrerebbe pure qualcuno di più, se non fosse per una faccia bella paffuta e l’aria di chi ha ancora una battaglia da combattere e voglia di combatterla. Assomiglia vagamente a Judd Nelson, attore di culto del "brat pack" statunitense anni Ottanta, star - tanto per menzionare i due più famosi - in St.Elmo’s Fire e The Breakfast Club. Al momento, però, la maggiore preoccupazione di Carl è evitare che la sua vita e quella della sua band, The Libertines, si trasformino nel soggetto di una pessima soap-opera. "Mio Dio", dice, "eccoli, già li vedo arrivare: tutti i più triti cliché del rock’n’roll pronti a diventare realtà". I Libertines in questo preciso istante - mentre cioè tutto il mondo li saluta come "i nuovi Clash" o "la più grande speranza del rock" - sono un gruppo dimezzato. Pete Doherty, co-fondatore del gruppo insieme a Carl e coautore di tutte le canzoni, è da ormai un anno ostaggio di una brutta faccenda di dipendenza dalla droga, un vizietto da 250 Sterline al giorno che la stampa scandalistica inglese ha nei mesi passati reso di dominio pubblico fin nei minimi dettagli. Tentativi di uscirne, ricadute, furtarelli a casa dei compagni di band, arresti: tutto è stato dato in pasto ai lettori inglesi. Si è così saputo che ad esempio, nel solo scorso mese di giugno, Peter è stato ricoverato per ben tre volte in altrettanti centri di disintossicazione. Da quello più tosto di tutti, in Thailandia, è scappato il terzo giorno per cercarsi la sua dose quotidiana (scoprendo, en passant, che a Bangkok c’è un hotel dove l’eroina e il crack sono praticamente à la carte e dove il suo vizietto gli veniva a costare persino meno che in patria).

E’ stato a quel punto che Carl e il resto dei Libertines hanno smesso di "coprire" Pete, accettando di affrontare pubblicamente una situazione che di fatto era sotto gli occhi di tutti. "Abbiamo deciso che era troppo" racconta Carl. "Non aveva più senso nascondere la verità: per lui abbiamo cambiato i nostri piani, messo in stand-by il gruppo, cancellato concerti, ma la verità è che Pete è un drogato, e sta rischiando la sua vita". Quindi la difficile decisione di proseguire - almeno per il momento - senza Pete. "Una decisone dannatamente difficile. C’è prima di tutto un rapporto di lealtà che mi lega a Pete, e volevo fosse chiaro a tutti ed a lui per primo che tutti noi lo consideriamo ancora parte dei Libertines, anche se adesso stiamo suonando dal vivo senza di lui". Con grande senso del teatro Carl - che fra i suoi prozii vanta anche Basil Rathbone, il primo Sherlock Holmes del grande schermo - prende fiato e si rifugia per un attimo dietro al ciuffo. Poi è lui stesso a formulare la domanda più cinica di tutte, quella che non avresti mai il coraggio di rivolgergli direttamente. "Vuoi sapere cosa si prova ad avere nella band un potenziale Sid Vicious? un potenziale Kurt Cobain? Il punto è che quello che per gli altri è solo un altro cliché da rockstar tossica per me è un amico. Sono preoccupato per Pete, è così difficile da capire? Sono preoccupato ma voglio al tempo stesso portare avanti la band che abbiamo creato insieme. Anche se adesso lui è furibondo perchè si sente abbandonato. Ma un giorno capirà, forse. E comunque non è morto, cazzo: il nuovo disco l’ha scritto anche lui, l’ha registrato anche lui. Siamo la sua band: se si tirerà fuori, se avrà la volontà di tirarsi fuori, noi saremo sempre lì".

Troppi "se" per venirne a capo semplicemente con una chiacchierata. E intanto la leggenda attorno al nuovo disco racconta di uno studio di registrazione presidiato da agenti e guardie private con il compito di non perdere mai di vista Pete. Un disco che porta semplicemente il loro nome, The Libertines, "per sottolineare", dice Carl, "quanto di noi stessi ci abbiamo messo dentro: allegria, tristezza, tutto quanto. È la rappresentazione più onesta che potessimo dare di cosa sono i Libertines oggi". E che a dispetto della situazione d’emergenza in cui è nato contiene insperate schegge di ottimismo. La traccia finale ad esempio, What Became Of the Likely Lads, "cosa ne è stato di quei promettenti ragazzi", parla di sogni interrotti e speranze che devono confrontarsi con una realtà differente rispetto alle aspettative, ma al tempo stesso - dice Carl - "guarda al futuro, dice che nulla è per sempre, che c’è sempre una chance che le cose possano andare meglio". Nessun risentimento nelle parole di Carl: quell’ideale condiviso tra lui e Pete che fu all’origine dei Libertines è ancora in vita. "con lui ci siamo intesi subito su un livello speciale", dice Carl ricordando il loro primo incontro: "E non era solo la musica. I primi tempi abbiamo parlato molto più che suonato. Notti intere, non smettevamo mai. Avevamo troppe cose su cui confrontarci. Abbiamo scoperto che ci univa una visione profondamente romantica delle cose, della vita. Condividevamo una radicale insoddisfazione nei confronti di tutto e tutti, e abbiamo capito che l’unico modo per uscirne era coltivare quello che abbiamo chiamato "il nostro sogno arcadiano", come quello dei poeti greci classici. Era il nostro modo di celebrare un ideale assoluto, inattaccabile, di sottolineare la nostra scontentezza nei confronti del mondo cosiddetto reale". Storie di due anni e più fa. "Adesso la cosa più difficile è pianificare o anche solo immaginare il nostro futuro" conclude Carl. In Inghilterra il Sunday Mirror ha da pochi giorni pubblicato un’intervista nella quale Pete Doherty dichiarava fra l’altro: "so che sto rischiando la vita, ma non ho paura di morire". Non è difficile immaginare il motivo della cautela di Carl.

(da: Musica di Repubblica, 9 settembre 2004)