Tool: i Radiohead del post-metal
 

di: Fabio De Luca

Anche foste dei marziani vissuti fino ad oggi nell’allegra spensierata ignoranza circa l’esistenza dei Tool, con ogni probabilità la strategia dell’attesa volontariamente o involontariamente messa in moto negli ultimi mesi dai Tool medesimi avrà fatto sì che anche voi, a questo punto, un po’ di curiosità per il benedetto album nuovo ce l’abbiate. Non allarmatevi, è comprensibile. Fra l’altro non potevate davvero scegliere momento migliore. Perchè Lateralus segna probabilmente il passaggio dei Tool dalla nicchia (per quanto numericamente significativa) del metal/post-metal al palcoscenico più generale del "rock". E non è che in gioco ci siano assestamenti di natura musicale (nulla di significativo che accada nel music-biz è quasi mai una questione strettamente musicale). E’ piuttosto - come direbbero gli analisti di marketing - una questione di "posizionamento". Per la prima volta una band proveniente dal circoscritto ambito del post-metal utilizza strumenti comunicativi appartenenti ad altri ambiti. E li utilizza, attenzione, non necessariamente per entrare in un nuovo segmento di mercato. Piuttosto per amore della sperimentazione, per il gusto "artistico" di una comunicazione criptata che disattende le aspettative più prevedibili ma ne crea di nuove a sua immagine e somiglianza. Anni fa una rivista statunitense li definì "dei Black Sabbath composti da eruditi studenti d’arte anzichè da una manica di bombardati working-class inglesi nostalgici del blues". In questo momento, primavera 2001, i Tool sono invece i Radiohead del nu-metal. Li accomuna un’attenzione alla propria immagine maniacale ma al tempo stesso estremamente "diffusa". Un veloce giro sul loro sito (altissimo momento di cyber-medioevo in Flash che vi farà inutilmente smanettare sul controllo della luminosità del video: l’oscurità è proprio parte integrante delle schermate...) già dice molto. Il controllo sulle informazioni riguardanti i Tool è quasi ossessivo, gli aggiornamenti praticamente quotidiani, le smentite (di cose lette altrove in Rete) in numero quasi uguale alle affermazioni. E ci sono ovviamente un gran numero di foto scattate durente le session di registrazione di Lateralus (sempre nell’ottica di controllo totale su ciò che è destinato a "rappresentarti" all’esterno): sono tra le foto più non-foto che vi potrà mai capitare di vedere in vita vostra.

L’altra considerazione interessante è che nei cinque anni di assenza dei Tool dalle scene (1996-2001) il mondo nel quale i Tool si muovono è cambiato, e anche parecchio. Come si confronteranno artisti che considerano i Nirvana gli originatori ultimi con uno scenario in cui le nuove leve del punk e del post-grunge vengono "lavorati" dall’industria per raggiungere un target perfettamente omologo a quello di Britney Spears? La teoria di Maynard James Keenan (il cantante) è che gruppi come i Limp Bizkit hanno accettato quelle regole della produttività che impongono, ad esempio, di far uscire un disco all’anno, facendo un favore all’industria che aveva appunto bisogno di qualcuno da mandare su Mtv e sulle copertine dei mensili durante la vacatio dei Tool stessi o di altri "idealisti" disinteressati a inflazionare le proprie uscite (Keenan cita Pearl Jam, Soundgarden, Nine Inch Nails, RATM). Ovviamente è una teoria di parte, ma ugualmente ha qualcosa di vero e condivisibile. Che riporta fra l’altro a concetti ormai desueti nel rock come quello di dirittura morale (forse un’eredità del loro amico Henry Rollins) o di lavorare per un progetto a lunga scadenza (in quesa luce anche un’attesa di cinque anni per un disco nuovo appare irrilevante). "Ciascuna di queste band", aggiunge Danny Carey (il batterista) "è abbastanza stupida per vendersi da subito tutta la credibilità, diventando in questo modo perfettamente rimpiazzabile da un’altra band omologa". Zero potere contrattuale con il mercato, in altre parole. Mentre il non essere parte "della massa" sembra al contrario una costante del modo di raccontare sé stessi dei Tool. Nell’intervista uscita lo scorso gennaio sulla rivista americana Alternative Press Adam Jones (il chitarrista) racconta di aver fatto, per curiosità, un giro sulla Rete alla ricerca di informazioni su loro stessi, e di aver trovato una pagina in cui si rimandava il navigatore ad "altre band simili ai Tool". Grande è stato il suo disappunto nel vedere i Tool assimilati a nomi come quello dei Pantera...

(da: Rumore, maggio 2001)