Bjork: è quasi esattamente come te la aspetti
 

di: Fabio De Luca




"Com’è veramente Bjork?" ti chiedono parenti ed amici appena scoprono che hai conosciuto la diva islandese ("conosciuto" nella misura in cui possono valere quaranta minuti passati ai due estremi di un divanetto color purea di kiwi, ovviamente). La speranza, sembrerebbe, è che tu confermi tutto il corpus di storie e leggende riguardanti la diva: dalle babbucce in midollino e lana di yeti alla "presenza" a metà tra le geishe-multimedia di Mariko Mori e il patio di una gelateria Haagen Dazs (la decadenza dell’Impero Occidentale nella sua forma più tecnologicamente pastorizzata). La verità è che: sarà pure l’attrice-popstar multimiliardaria che è, ma a parte un abitino mono-manica color crema che potrebbe richiamare lontani ironici paragoni con lo stile Il Gladiatore, Bjork è una buffa persona con cui non è difficile trovare un terreno comune se si comincia a parlare di dischi strani. Circa poi il fatto che quando le mancano le parole per spiegarti ciò che vuole spiegarti si metta a fare dei rumori... beh, a chi non è mai capitato di rimanere a corto di parole?!? Il suo nuovo album si intitola Vespertine, ed è in effetti un po’ diverso dai precedenti. "Girare Dancer In The Dark è stato una fatica soprattutto fisica, per questo il nuovo album è costruito soprattutto di suoni leggeri, di sospiri più che di WHRRAAA-HAAAA" premette Bjork. Tanto per cominciare è un album "fatto in casa", sfruttando al suo massimo la tecnologia del laptop. Anzi: con ogni probabilità Vespertine porta la definizione stessa di "fatto in casa" a nuove inesplorate frontiere. "Internet sta riportando l’attenzione sulla casa come luogo centrale" dice Bjork; "un tempo il momento fondamentale era quello in cui te ne andavi da casa: adesso il momento fondamentale è quello in cui, nel salotto di casa tua, scarichi la posta elettronica o una traccia audio". Analisi evidentemente viziata da un’infanzia islandese in cui tutto sembrava "lontano" e irraggiungibile, e l’accessibilità totale un sogno da figli dei figli. "Il laptop ha rivoluzionato il mio modo di lavorare, e mi ha riavvicinato alla casa" racconta Bjork. "C’è stato il lungo periodo in cui ho imparato ad usarlo, quello in cui ho cominciato a metterci dentro i suoni e quello in cui finalmente ho cominciato a rielaborarli in forma di canzoni. Giravo per casa con tutti questi suoni - CTRURULURULULU-UHUUU - che mi accompagnavano... Così il processo di registrazione diventa una specie di fabbrica a conduzione familiare. L’intero disco è stato realizzato in una situazione familiare: soltanto la produzione finale è stata fatta in uno studio". Dove è entrato in gioco l’orecchio del produttore? - chiediamo. Ma Bjork ha cambiato le regole anche di quest’ultima fase. "Non c’è un vero produttore in questo disco", dice. "In realtà la maggior parte del lavoro l’ho fatto da sola: Mark Bell ad esempio non ha fatto molto su Vespertine, soprattutto perchè era molto impegnato a lavorare con i Depeche Mode. Il vero apporto esterno è venuto da parte di musicisti come Matthew Herbert, i Matmos, Marius DeVries, Thomas Knak... A ciascuno di loro ho chiesto di mandarmi dei pezzetti di suono - cose tipo: CHK-ZZZZL-TCH-NNNNNN - che io mettevo nel laptop e sulle quali lavoravo. Quasi tutto l’album è stato fatto così, partendo da sessanta tracce di rumore inviate da nove differenti persone: i loro piccoli regali...".

Lavorando sempre da sola?

Mmmh, più o meno. Lavoravo da sola per alcune settimane, poi arrivava qualcuno e suonava qualcosa su qualcuna delle tracce, oppure mi mandava dei frammenti di suono per posta elettronica, e io tornavo a lavorare da sola per un altro paio di settimane.

Eppure non è stata la solitudine o l’assenza di confronti il problema principale nella gestazione di Vespertine. "La cosa più difficile", racconta Bjork, "è stata compilare la lista dei crediti. Mi sono sentita un po’ come Joni Mitchell negli anni Settanta, quando si trovava a lavorare all’interno di una singola canzone con i cinque migliori strumentisti del mondo, che non erano la "sua" band ma decidevano di collaborare ad una canzone senza alcun impegno, soltanto per l’amicizia che li legava a lei, e quindi sulla busta del disco per ogni canzone c’erano queste liste interminabili di collaboratori... Per me il problema è stato che avrei dovuto scrivere "il rumore HLLLLRSCHRSCHRSCH sulla tale canzone l’hanno fatto i Matmos; quello KRRRKRRRKRRR-DOH su quell’altra l’ha fatto Marius"... Alla fine ho deciso di riassumere il loro lavoro nella parola "programming", perchè programming potrebbe indicare tanto una linea di basso come uno hi-hat o uno WHOOOOSH lungo tre minuti". Piccola pausa. "In realtà", riprende Bjork, "forse dovrò ugualmente spiegare chi ha prodotto ciascun rumore quando mi intervisteranno quelli di The Wire [eheheh, ndr]. O forse lo scriverò sul sito internet". E’ così importante? Evidentemente si: e non solo per voler, giustamente, dare lo stesso valore ad un giro di basso come ad un (come lo chiama lei) KRRRKRRRKRRR-DOH. Soprattutto perchè ai suoi collaboratori-programmatori Bjork chiede di essere non degli strumentisti ma degli inventori: "il problema che ho avuto lavorando con i musicisti classici è che vogliono una partitura cui attenersi, hanno paura a lasciarsi andare". Problema che evidentemente non si è posto con Matmos e soci. Ma come è avvenuto il contatto? "Sono sempre stata un’avida consumatrice di musiche strane", e qui è evidente come Bjork sia completamente "nel suo"... "In questo sono una trainspotter assoluta, potrei parlare delle cose che mi interessano per ore! Ricordo la prima volta che sono stata a Londra, a sedici anni: avevo risparmiato soldi per non so quanto tempo, in previsione di tutti i dischi incredibili che avrei trovato lì. Appena arrivata a Londra sono entrata in questo megastore Virgin, e per due ore ho girato tra gli scaffali come in trance. Adesso molte cose sono cambiate, ma la curiosità verso le cose più strane e innovativa è rimasta la stessa. Il fatto che nel frattempo io sia diventata famosa non ha cambiato le cose. Non ho mai frequentato il mondo del pop. Come ho detto, su certi argomenti sono totalmente una trainspotter, e ho come l’impressione che mi troverebbero mortalmente noiosa... Quindi frequento gente come Aphex Twin, Chris Cunningham, Graham Massey degli 808 State... Mi piacciono le persone che hanno delle passioni estreme: ad esempio persone ossessionate dal mondo degli insetti. Trovo che l’ossessione sia una forma di amore. Avere ottant’anni e riuscire ancora ad eccitarmi per un nuovo disco appena uscito è qualcosa che mi fa apparire la vecchiaia come un posto meno inospitale...".

Di conseguenza, come tutti noi, hai la casa piena di dischi e il problema di non sapere più dove metterli...

Il problema è che li perdo! Li lascio in giro quando sono in tour, li presto e mi dimentico di richiederli indietro... In realtà continuo a ricomprare sempre gli stessi cd! Ultimamente ero in questo enorme negozio di dischi in Islanda, e il commesso mi ha preso in giro tantissimo perchè ho ricomprato per la quinta volta un disco che continuo a perdere ed a ricomprare ogni volta che torno a casa...

E sarebbe?

E’ il disco di un ricercatore di suoni, uno che registra i suoni degli insetti e delle foreste. Si chiama Chris Watson.

Ehi, lo conosco! stava nei Cabaret Voltaire!

Esatto! In questo album in particolare lui ha collocato dei microfoni dentro la carcassa di una zebra, registrando per un lungo periodo i suoni della decomposizione e degli altri animali che si cibavano di lei. Il suono puro, senza alcun riprocessamento. È interessante, perchè è come uno dei classici documentari di Richard Attemborough soltanto visto da un punto di osservazione totalmente opposto: dall’interno del processo anzichè dall’esterno con il teleobiettivo.

Certo, con tutta la più buona volontà è difficile pensare a Madonna (lasciamo stare le varie Mariah Carey e Withney Houston) entusiasmarsi per un oscuro produttore che piazza microfoni segreti nei cadaveri delle zebre... Il punto è che, a differenza di Madonna, Bjork non sceglie i collaboratori per ottenere (in termini di marketing) il suono "del momento", quanto per portare a compimento un’alchimia difficile da definire. "Le relazioni con le persone influenzano le mie canzoni" dice Bjork, "se mi capita di fare visita ad un amico dal carattere tranquillo e pacifico, poi per qualche giorno ciò che scriverò sarà tranquillo e pacifico come lui. È anche per questo che collaboro con persone differenti: Thomas Knak ad esempio è un tipo tranquillo, Matthew Herbert invece è casinista. Ognuno di loro veniva a trovarmi durante la produzione di Vespertine, ed oltre a tracce di batteria o synth lasciava qualcosa del proprio carattere". Ritorna l’immagine dei musicisti che vanno a trovare Bjork nel suo ritiro creativo: e sempre più cocoon (bozzolo) sembra essere la parola chiave per capire Vespertine. "Credo", riflette Bjork, "che sia una normale reazione a quanto Homogenic era invece estroverso: anche i dischi hanno dei cicli come quelli della natura". La natura riesce ancora ad entrare nel perfetto cocoon tecnologico? "Certo! Il modo più naturale di creare è creare con le cose che ti stanno attorno: se il mondo attorno a te è fatto di modem e telefoni cellulari, soltanto una musica profondamente tecnologica potrà rappresentarlo nella sua complessità". Bussano alla porta per segnalare il tempo scaduto. "La cosa più bella", è il commiato di Bjork, "è quando riesci ad elevare la tecnologia banale ad un livello superiore!". Credeteci o no, ma le brillano gli occhi mentre lo dice. E, qualunque cosa voglia dire, probabilmente è assolutamente vero.

(da: Rumore, settembre 2001)