La Crus & Avion Travel: i nuovi tradizionalisti
 

di: Fabio De Luca




Capita un po’ a tutti i gruppi, nel corso della propria vita, di eseguire dal vivo o incidere su disco una o piu’ cover. Cos’e’ però che spinge un gruppo a mettere assieme un intero album di canzoni scritte da altri? Tributo ai propri ispiratori o bisogno di confrontarsi con il proprio (e magari non solamente il proprio) passato? Tentativo di assimilare la materia di cui ci si è nutriti "da ascoltatori"? Di svelare il mistero di quell’ispirazione che ha reso eroici i propri eroi musicali? Un po’ di tutto questo? Caso vuole che nell’arco di poco più di un mese, dallo scorso dicembre alla fine di gennaio, totalmente indipendenti l’uno dall’altro siano usciti ben due dischi i cui autori hanno deciso di confrontarsi senza intermediazioni con il patrimonio storico della canzone italiana: Crocevia dei La Crus e Storie d’Amore della Piccola Orchestra Avion Travel. Entrambi i gruppi, sia pure con vicende diversissime, provengono dalla "new wave" italiana della metà anni Ottanta (gli Avion sono in circolazione addirittura dagli inizi di quel decennio, e - ricordiamolo - hanno vinto l’edizione 2000 del Festival di Sanremo). Differenti sono anche gli esiti dei due dischi, e probabilmente anche le intenzioni: da un lato (La Crus e il loro front-man Mauro "Joe" Giovannardi) c’è la ricerca tortuosa e se vogliamo anche dolorosa; dall’altro il desiderio di una canzone che - pur se fortemente radicata nella realtà e nel sociale - desidera (come rivela Peppe Servillo degli Avion Travel nell’intervista a seguire) "una possibilità di raccontare la gioia". Nel momento in cui "tradizione" e "Storia" riescono finalmente a non essere più soltanto un monumento al tempo che fu, ma diventano soggetti vivi che è possibile considerare e riesaminare da angolazioni sempre nuove e inedite (non ultima quella dei djs, i cui campionatori sono a tutti gli effetti delle macchine caricate a frammenti di storia), ecco farsi avanti i "Nuovi Tradizionalisti"...

01. LA CRUS

Nel vostro disco ci sono 13 cover: innanzitutto, fuori i nomi...

Allora: Estate di Bruno Martino, Pensiero Stupendo scritta da Ivano Fossati per Patty Pravo (e che i La Crus rieseguono giustamente "a triangolo" con le voci di Jo, di Manuel degli Afterhour e della Patty originale! N.d.R.), Tutto Fa Un Po’ Male degli Afterhours che stava sul loro ultimo disco, Insieme Mai di Nada, Annarella dei CCCP, Via Con Me di Paolo Conte, E Penso A Te di Mogol-Battisti, Giugno ’73 di Fabrizio De André, Illogica Allegria di Giorgio Gaber, Un Giorno Dopo L’Altro di Luigi Tenco, La Costruzione Di Un Amore sempre di Fossati, Vorrei Incontrarti dal primissimo album di Alan Sorrenti, e infine Ricordare, scritto da Ennio Morricone per la colonna sonora di Una Pura Formalità di Tornatore, che nel film era cantata da Gerard Depardieu... Quest’ultimo era il pezzo che sin dall’inizio avevamo deciso dovesse essere in apertura o in chiusura del disco, proprio perchè il testo rispecchia perfettamente lo spirito del disco stesso: come suggerisce il titolo, si tratta proprio di una canzone sulla memoria.

Cos’é che spinge un gruppo a mettere assieme un intero album di canzoni scritte da altri?

Innanzitutto questo è un disco a cui stiamo pensando già da tempo: già il secondo disco dei La Crus sarebbe dovuto essere un disco di cover... Dal mio punto di vista si tratta soprattutto di un lavoro sulla parola, un confrontarsi con autori che hanno lavorato con la parola in una maniera importante, significativa. Ho cercato di tirare un filo rosso che indichi un percorso... In realtà più che "un album di cover" mi piace pensarlo come un viaggio musicale, o addirittura un viaggio nell’Italia musicale.

Fra l’altro coprite uno spazio temporale estrememente esteso... dagli anni Sessanta di Bruno Martino ai Novanta degli Afterhours.

Sui contemporanei la scelta era tra Afterhours e Marlene Kuntz, anche se mi sarebbe piaciuto pure qualcosa di Vinicio Capossela... La scelta è caduta sul pezzo degli After anche per una ragione tecnica: volevamo un pezzo da poter svoltare in una chiave elettronica e veloce, e Tutto Fa Un Po’ Male era perfetta per questo. Morricone invece l’abbiamo scelto perchè rappresenta "la" musica italiana nel mondo, da sempre, ed incredibilmente la sua influenza si estende fino alle ultimissime generazioni, se pensi a quanto è stato citato e campionato anche di recente...

Ma questo viaggio "per canzoni" è piu’ un viaggio "vostro", quindi dentro di voi, o un viaggio che volete far fare a chi ascolta il disco?

Innanzitutto è stato interessante passare un paio di mesi lavorando alla ricerca dei brani, riflettendo su come mettere assieme una scaletta piuttosto che un’altra... È stato un lavoro di ascolto e di confronto prima ancora che di registrazione e reinterpretazione: un lavoro che ti porta a fare dei confronti ed a riflettere su come si è evoluto l’uso della parola nella musica pop... quindi in questo senso si è trattato prima di tutto di un viaggio dentro di noi. C’è stata la scelta di non utilizzare l’orchestra, come abbiamo invece fatto nei dischi precedenti, ma solo l’elettronica, e questo per dare compattezza alla scelta dei pezzi, perchè già nella loro veste originale molte delle canzoni erano "orchestrali", quindi per contrasto si è deciso di non "andare incontro" al pezzo, cercando di costruirgli invece tutto attorno un suono ed un vestito più moderni. Poi una delle motivazioni che mi ha spinto a fare questo lavoro di ricerca era proprio il cercare di capire perchè alcune canzoni riescono a superare gli anni ed a restare "credibili" mentre altre no... Perchè una canzone come Il Vino di Ciampi riesce a far cantare il ragazzo di vent’anni come l’uomo di cinquanta...

E la risposta?

Fondamentalmente credo dipenda sempre dall’autore. E poi - sarà un caso - ma le canzoni che comunicano di più a tutti sono sempre quelle lente, d’atmosfera... quelle nate dall’aver scavato dentro. La nostra ricerca è stata la ricerca di canzoni che conservassero ancora oggi una loro "universalità", che potessero realmente essere scambiate per canzoni scritte oggi. Ad esempio: un esperimento che mi sarebbe piaciuto tentare era il recuperare alcuni testi dall’esperienza del "Cantacronache", che era un’operazione del Folkstudio di Roma della fine anni Cinquanta, quando scrittori come Calvino avevano regalato agli arrangiatori del Folkstudio dei testi da mettere in musica. Risentendole, però, quello che veniva fuori era che riportate (e rapportate) all’oggi suonavano troppo... troppo retoriche, poco credibili. Bellissime ed affascinanti, ma impossibili da cantare di fronte ad un pubblico di ventenni. Al contrario, chissà perchè, canzoni nate dal racconto della propria interiorità comunicano il proprio sentire oggi allo stesso modo come ieri.

C’è però un risvolto paradossale nel vostro lavoro: e cioè che la "tradizione" che ricostruite nel disco non coincide, in realtà, con la vostra storia personale. Nel senso che - forse a parte Patty Pravo - non è esattamente la musica che ascoltavate da ragazzini, e tutto sommato nemmeno da adolescenti, visto che siete figli del punk e della new-wave anni Ottanta...

Infatti non l’abbiamo mai pensato come un disco di "cover" nel senso che tradizionalmente si da al termine "cover"... E’ stato più un percorso di ricerca, di ricostruzione: per questo poco fa dicevo che una fase importante del lavoro è stata l’ascolto delle canzoni per scegliere il repertorio su cui lavorare. Nascere con il punk e la new-wave ti mette nelle condizioni di aver fatto tabula rasa di tutto quello che c’è stato prima, con tipico spirito nichilista. Poi però ti ritrovi in un momento della tua vita in cui ti accorgi che riuscire a conoscere il passato è importante, che capire certi meccanismi ti rende più consapevole Quello del punk e della new-wave è stato un periodo importantissimo: non vorrei sembrare nostalgico - perchè fra l’altro non lo sono - ma ricordo benissimo l’emozione che si provava ascoltando i primi dischi dei Gang Of Four o di Siouxie And The Banshees o dei Killing Joke, quella sensazione di stare ascoltando qualcosa che fino a quel momento "non c’era", qualcosa di assolutamente nuovo... Che potessi rapportarmi positivamente anche con la musica che in un certo momento della mia vita avevo rimosso invece l’ho scoperto con Angela di Luigi Tenco: è stato come se si chiudesse un cerchio che si era aperto con i Sex Pistols ed i Clash ed era continuato con Tom Waits e Nick Cave... Inoltre, più vai a ritroso più cominci a scoprire delle cose strane: tipo che senti il disco di Nick Cave con l’orchestra che giustamente ti fa impazzire, poi ascolti Scott Walker e ti rendi conto dov’è che Nick Cave ha imparato a essere Nick Cave. Oppure senti il disco dove sempre Scott Walker riprende i pezzi di Jacques Brel, e ti rendi conto che Marc Almond per il suo Jacques ha attinto a piene mani da lì, a partire dalle traduzioni in inglese dei testi...

Come vi rapportate con la famosa ingombrante figura dei "cantautori" classici italiani?

Secondo me negli anni Settanta è successo che sull’onda della stagione "beat" disimpegnata si creasse una contrapposizione tra chi faceva il pop ed il cantatutore che invece investiva tutto sui contenuti, sulla "parola", e se ne fregava della forma musicale.

In questo senso Serge Gainsbourg in Francia e’ riuscito a veramente a far quadrare il cerchio...

Certo! Lo stesso De André, che sicuramente è stato uno dei più significativi per quanto riguarda l’uso dell’italiano nella forma-canzone, a parte gli ultimi due o tre dischi e il breve intermezzo con la PFM ha sempre privilegiato la ballata e basta... Infatti uno degli obiettivi sin dall’inizio del lavoro con i La Crus è stato il tentare di far convivere la canzone d’autore con la nostra radice musicale che invece arriva dal punk e dalle sue mutazioni. Anche sul modello di Serge Gainsbourg, se vuoi: il suo grande merito è stato l’aver fatto evolvere la canzone tradizionale francese lavorando parallelamente sui testi e sugli arrangiamenti, lasciandosi ad esempio influenzare anche da musiche "aliene" come il reggae o il jazz.

Altro paradosso: in italia abbiamo avuto un Battiato che da sempre ha fatto proprio questo, contaminare i diversi generi e linguaggi della canzone pop (e del "pop" in generale). Il problema, probabilmente, è che anche lui come la maggior parte dei cantautori ha giocato soprattutto sul tavolo dell’operazione intellettuale...

Probabilmente è una questione di sensibilità... Comunque lo si voglia ricordare, Gainsbourg era realmente uno fuori dal coro, uno che si poteva permettere di fare qualunque cosa come solo i veri artisti - quelli che sono artisti "dentro" - si possono permettere...




2. PICCOLA ORCHESTRA AVION TRAVEL

Cos’é che spinge un gruppo a mettere assieme un intero album di canzoni scritte da altri?

Quella dell’album interamente composto di cover è un’idea che avevamo da molti anni, c’è stato per così dire un avvicinamento progressivo, si pensava ad esempio ad uno spettacolo dal vivo fatto interamente di cover da poi eventualmente trasporre su disco. Nei nostri concerti ci capita da sempre di suonare anche canzoni di altri, e sin dal primo disco anche in ogni nostro lavoro abbiamo sempre inserito una cover. Alcune delle canzoni di Storie D’Amore ci appartengono da sempre; altre invece sono state per così dire scelte "all’ultimo momento", per amore dell’imprevisto e per il gusto di farci sorprendere durante la fase di lavorazione, così da evitare di chiuderci dentro soluzioni troppo prevedibili... Il bello del realizzare un disco di cover quando nasce spontaneamente e non dal calcolo, come il nostro, è che farlo è fondamentalmente divertente, perchè ti confronti con canzoni ed autori che ami. In più sono convinto che oggi in tutti gli ambiti l’intepretazione abbia come valore artistico tanta importanza quanto la scrittura: speriamo di aver fatto una buona riscrittura...

"Storie d’Amore" come dichiarazioni d’amore verso le vostre fonti d’ispirazione, dunque?

Non necessariamente, o per lo meno non solo. Le canzoni uno ovviamente le sceglie anche un po’ "su misura", e questo è naturale, ma forse la discriminante vera è che siano canzoni oggettivamente "belle", cioè belle per tutti, non solo per te che magari ci cogli qualcosa di particolare. Devono avere una forza che prescinda da qualunque forma in cui uno le possa reinterpretare...

Nel vostro caso la scelta e caduta su un repertorio interamente legato agli anni Sessanta, quindi saltando a pié pari ben tre decenni di musica pop...

E’ vero, anche se di questo noi ci siamo resi conto solamente dopo, a disco finito! Come dicevo, a monte non c’è stata da parte nostra nessuna scelta ragionata, neanche nel delimitare uno spazio cronologico piuttosto che un altro: dato per assodato alcuni degli autori sono fra i nostri preferiti di sempre, questo è il tipo di disco in cui il "progetto", a volercene ad ogni costo trovare uno, lo riesci a leggere soltanto dopo, a disco finito, quando lo riascolti e rifletti su cosa hai scelto e come l’hai suonato. È un lavoro che non ha assolutamente intenti nè filologici nè di rivalutazione critica. Dal nostro punto di vista di autori di canzoni credo che un lavoro di questo genere significhi soprattutto il provare a confrontarsi con quelli che sono dei "modelli" in uno stile di scrittura al quale - appunto come autori - desideriamo ambire... Ad esempio: gli anni Sessanta sono importanti per la scrittura melodica, armonica, ma per noi lo sono quasi più per la scrittura delle orchestrazioni... E riascoltando o lavorando sulle canzoni che abbiamo scelto ti rendi conto di come siamo canzoni dotate di una forza, di una pienezza di vita e di sensi realmente notevole: sono canzoni che "erano", che "esistevano" senza bisogno di rappresentare nulla al di fuori di sé stesse.

E’ - secondo te - una questione di spontaneità, di assenza di calcolo?

Non so se si tratti di spontaneità. Di certo c’entra anche la spontaneità: quello che so è che si tratta di canzoni che si impongono per la lore essenza, che vivono addirittura al di là del loro autore e di chi le interpreta. Dicevo prima che uno sceglie le canzoni (da reinterpretare N.d.R.) cercando la conferma di uno stile che avverte come simile, ma le canzoni poi si dimostrano più forti di qualunque stile, e dunque tutto il discorso cade in una apparente contraddizione... In Storie D’Amore abbiamo ripreso ancora una volta una canzone di Modugno, che è venuta fuori come una delle meno arrangiate dell’intero disco. Amavamo molto la scelta di orchestrazione dell’originale, ed abbiamo scelto di farla trasferendo l’arrangiamento orchestrale vero e proprio dall’originale sulla nostra dimensione di complesso, quindi registrando in diretta con un musicista/uno strumento.

Come Avion travel avete cominciato a fare musica nei primi anni Ottanta, e già allora eravate una sorta di piccola mosca bianca all’interno della "new-wave italiana", nel senso che già allora avevata chiara in testa l’idea di una tradizione a cui rifarsi che andava "più indietro" rispetto al punk e alla new-wave...

Al di là del fatto musicale probabilmente non eravamo in sintonia con l’umore dominante. In quel momento - come del resto oggi... - nella musica c’era molto dolore: non necessariamente in un’accezione negativa, però il suono dominante era sicuramente una musica che si raccontava attraverso esperienze dolorose. Noi al contrario abbiamo sempre amato la musica che ha una possibilità di raccontare la gioia, anche nel modo più ingenuo. C’è una frase bellissima di Paolo Conte in una sua recente intervista che parla di "nostalgia di un tempo che non si è mai vissuto": ecco, quelli siamo noi, e questo è secondo me anche uno dei significati più profondi cui possa aspirare l’arte popolare.

(da: Rumore, gennaio 2001)