Red Bull Academy: la scuola per dj più pazza del mondo
 

di: Fabio De Luca




"Maaan, this is serious!". PJ non può credere ai suoi occhi ed alle sue orecchie. Sono le due e mezza di notte, siamo a piazza Santa Maria in Trastevere, a Roma. E c’è un fantastico fricchettone munito di chitarra e di berretto tipo generale Custer che ha appena attaccato il classico da falò "Le bionde trecce gli occhi azzurri e poi, le tue calzette rosse". Dieci secondi d’orologio e gli sono tutti dietro: Rui, che arriva dal Peru e in genere suona tech-house, con due bonghi che gli ha prestato l’altro fricchettone resident di Santa Maria in Trastevere. Selim, che invece arriva da Istambul (dove gestisce un negozio di dischi e organizza serate drum’n’bass), con una scatolina intonarumori elettronica di quelle che compri per strada dai cinesi. E ovviamente PJ: che è grande, grosso, nero, arriva da Washington, detesta Bush, e anche se in vita sua non ha mai sentito Lucio Battisti non ha difficoltà a improvvisargli sotto un fuoco d’artificio di human beatbox. Come si sia finiti in questa specie di tableaux vivant della "musica che unisce i popoli" è presto detto: ci si è finiti cercando una birra della buonanotte, che di lunedì non è proprio la cosa più semplice del mondo neanche nella civilissima Trastevere. Eccoli: PJ, Rui, Selim, e un’altra mezza dozzina di "studenti" della Red Bull Academy, la scuola per dj più pazza del mondo. Pazza innanzitutto perchè non è esattamente una scuola, ma piuttosto (dicono loro) "un’occasione d’incontro e di confronto tra persone con differenti esperienze"; poi perchè è sponsorizzata dalla famosa bevanda austriaca che la leggenda metropolitana vorrebbe fatta con i testicoli dei tori (pare non sia vero, comunque). Come fosse un mecenate d’altri tempi, ogni anno Red Bull organizza l’Academy in un diverso angolo del globo. Due anni fa era stato il Brasile, nel 2003 il Sud Africa, prima ancora Londra e Berlino. Lo scorso ottobre la carovana si è invece piazzata a Roma, in un meraviglioso palazzo nel cuore del vecchio ghetto ebraico. Il meraviglioso palazzo è stato riempito di mixer, giradischi, hard-disc, computer, tastiere e banchi di regia per un totale di sei studi di registrazione, e lì sono stati fatti vivere ed interagire - in due turni di due settimane ciascuno - una sessantina di giovani e giovanissimi dj e produttori da tutte le parti del mondo. Si sono conosciuti, hanno chiacchierato di vinili e di plug-in, si sono incrociati ed hanno incrociato le loro storie con dinamiche alla fine non così dissimili da quelle di un Erasmus o di un reality show, ed hanno incontrato - nel corso di molto rilassate lectures pomeridiane - "docenti" scelti con criteri a volte bizzarri ma sicuramente interessanti: soprattutto dj e produttori già affermati internazionalmente, ma anche lo storico batterista soul Bernard Purdie, il compositore di colonne sonore Claudio Simonetti, e addirittura l’Orchestra di Santa Cecilia. "Perchè la chiave è nel creare stimoli, cortocircuiti" dice il barbuto Mani, uno dei senior dell’Academy che ogni anno ha anche il compito di scremare le applications in arrivo da tutto il mondo fino ad arrivare ai sessanta prescelti. Prescelti che quest’anno, appunto, oltre alle lectures e tutto il resto si sono goduti la splendida cornice dell’autunno romano, fricchettoni di Santa Maria in Trastevere inclusi. E tutt’a un tratto anche il nightclubbing sembra un posto incredibilmente più umano e vivibile.

(da: Rolling Stone, maggio 2005)