SXSW: la volta all’anno che Austin diventa la capitale indie mondiale
 

di: Fabio De Luca




"Mind ’we share a cab?". Ti va se dividiamo il taxi? Ma è una domanda per modo di dire, perché neanche ha finito di farla che già la ragazza bionda si è infilata nel sedile dietro. Ovviamente non è da sola: è con il suo ragazzo, un lungagnone di nome Todd, silenzioso e imbronciato dentro un giubbotto di jeans con le frange di pelle. Abitiamo tutti e tre (quattro, contando anche il fotografo di XL) nello stesso malinconico hotel alla periferia nord di Austin, Texas, e tutti e quattro abbiamo appena scoperto che nei giorni del South By South West trovare un taxi libero ad Austin è facile più o meno come trovarlo a Milano in una serata di pioggia durante la settimana della moda. Cinque minuti di taxi più tardi scopriamo che lei si chiama Jennifer, che lei e il suo ragazzo vengono da Los Angeles e che lui stasera suona con la sua band - The Garlic Breath: "alito d’aglio" - in un posto sulla Sesta strada chiamato Chuggin’ Monkey. "Suoniamo rock vero" dice Todd. Cioè? "Roba tipo gli ZZ Top". Non sta scherzando. Abbiamo veramente un fan ventenne degli ZZ Top sul nostro taxi: una rarità, paragonabile a un quadrifoglio a cinque petali. Jennifer sorride e annuisce dietro i suoi occhiali con la montatura leopardata. "C’è qualche band italiana che dovremmo conoscere?", si informa cortese una volta appurata la provenienza transoceanica dei suoi compagni di taxi. Beh, rispondiamo, per esempio i Linea 77. Se non altro perché sono anche loro ad Austin, ed anzi abbiamo appuntamento con loro tra dieci minuti. "Sono veri?" si informa Todd? "Verissimi, veri punk. Tra i più veri che abbiamo in Italia". Todd sembra contento.

Ecco la Sesta strada. Peccato perché la conversazione stava diventando interessante. Forti della nota spese di Repubblica diciamo ai due losangeleni di lasciar stare il portafoglio. Dovessero un giorno "The Garlic Breath" diventare famosi come gli ZZ Top almeno potremo dire di aver offerto un passaggio in taxi al loro chitarrista. Sono le sette e mezza di sera, e con il karma ripulito dalla buona azione eccoci pronti ad affrontare Austin e il South By South West. Basta un minuto per entrare nello spirito. Basta - in realtà - guardarsi un istante in giro e prendere atto della Disneyland dell’indie-rock in cui si è capitati. Breve rewind: il South By South West - confidenzialmente SXSW - è un festival arrivato quest’anno alla sua ventesima edizione. C’è una parte più istituzionale, al centro congressi di Austin, con tavole rotonde, dibattiti e incontri con musicisti che hanno fatto la storia (quest’anno c’erano Neil Young, Morrissey, i Pretenders e Ray Davies dei Kinks). E poi c’è la parte più viva e "per strada", quella che inizia nel primo pomeriggio e va avanti fino a notte fonda. Si srotola tutta attorno alla Sesta strada, in pieno centro città. Immaginate una cinquantina - ma forse anche qualcuno in più - di bar e locali, praticamente tutti attaccati tra loro, in maniera che da uno all’altro ci vai comodamente a piedi. E dentro ogni locale, ogni sera, cinque, sei, sette concerti uno dopo l’altro. Cinquanta minuti esatti a band, più dieci per il cambio palco. Concerti di illustri sconosciuti - come i nostri amici The Garlic Breath - ma anche di band già discretamente famose. E, soprattutto, quei nomi attorno ai quali c’è, come si suol dire, "buzz". Quelli che "si sa" che diventeranno presto famosi. Due anni fa, per dire, qui ci hanno suonato i Franz Ferdinand. Quest’anno - prevedibilmente - il concerto con più "buzz" attorno era quello degli Arctic Monkeys.

Si diceva Disneyland. Anche se più ancora che Disneyland bisognerebbe forse parlare di Paese dei Balocchi, quello raccontato da Collodi nella storia di Pinocchio. Un Paese dei Balocchi dell’indie-rock: al posto dei bambini una pacifica folla di urban-punk, post-punk, post-rocker, neo-folk e post-grunge che vagola da un locale all’altro, da un concerto all’altro, sorridendo e volendosi un gran bene gli uni con gli altri. Non è il carnevale di Rio, intendiamoci: il look dominante oscilla tra lo studente d’informatica e il boscaiolo canadese. Però sono in tanti: lo scorso anno erano 150.000, quest’anno i giornali locali parlavano di quasi mezzo milione di "stranieri" arrivati appositamente per il SXSW. La maggior parte dall’America, molti dall’Europa, qualcuno dal Giappone. Età media attorno ai 27 anni: a guardarli e a sentirli parlare sembra quasi che tutti suonino in una band, o scrivano per qualche fanzine, o abbiano un’etichetta discografica, o gestiscano un portale web, o almeno abbiano un blog. Probabilmente, anzi, è proprio così. Ecco i Linea 77, che sono ad Austin già da due giorni e in questa allegra confusione ci stanno come a casa loro. Ci incontriamo ma ci separiamo subito. Loro - come tutti qui - hanno già il loro programma per la serata. Con una media di 300 concerti per sera a disposizione l’unico modo per non impazzire correndo da un posto all’altro (finendo per non vedere nulla) è "fare la schedina": cioè preparare già dal mattino un proprio percorso d’azione con band che si intendono vedere, luoghi e orari. Noi - disorganizzati e in preda al jet-lag - giriamo un po’ a caso e finiamo in un posto (Anton’s) su cui troneggia una gigantografia della leggenda cittadina Steve Ray Vaughan e in cui sta suonando un timido cantautore del Massachusetts, Willy Mason: una specie di incrocio tra John Lennon e un tecnico della Microsoft, molto amato dal pubblico indie.

I Linea 77 li rivediamo il pomeriggio del giorno dopo, in un caffé qualche isolato più a Nord della Sesta. Un gruppo di studenti di lingua e letteratura italiana dell’Università di Austin è lì per incontrarli, e chiede loro quali sono gli scrittori che li hanno maggiormente influenzati: Cesare Pavese, Baricco o Pasolini? I Linea rispondono che, ehm, forse la loro maggiore influenza sono gli Husker Dü (storica punk band di Minneapolis), e i ragazzi diligentemente prendono nota. Prima di tornare ai concerti facciamo un salto al Congress Bridge: pare infatti che sotto il ponte abiti la più grande colonia di pipistrelli del Nord America, un milione e mezzo di esemplari che - dicono le guide turistiche - si levano in volo ogni sera al tramonto. Sarà che la stagione è appena iniziata, ma lo stormo è deludente. "Sembrano moscerini più che pipistrelli" è il commento di tutti. Ci si consola con il "monumento al pipistrello" che sta proprio accanto al ponte: una specie di logo rotante di Batman largo cinque metri. Certo che ad Austin sono strani: il grattacielo più grande si chiama "The Owl" (il gufo), la città si vanta di essere la "capitale americana dei pipistrelli"... Per fortuna che le stesse guide turistiche la menzionano anche come "capitale americana della musica dal vivo". Questo già ci interessa di più. Eccoci allo Spiro’s: una specie di pub a tema greco, tutto decorato a capitelli di cartapesta rossi e blu. I Linea 77 suoneranno qui, nella serata-showcase dell’European Music Office (e della sua propaggine italiana, la Fondazione Arezzo Wave). Un concerto urlatissimo, rumorosissimo, come loro solito. E il pubblico è ipnotizzato. A parte la piccola comunità degli studenti incontrati il pomeriggio, c’è anche qualche americano venuto a sentire appositamente loro. Un tale di New York - che non li conosceva - dice di essere "quite impressed" dall’energia che ci mettono.

L’emozione del primo concerto in terra americana alla fine è più di quella che hanno lasciato trasparire. Quando il giorno dopo li rivediamo, Tozzo, Chinaski e Dade sono appena stati a farsi fare un tatuaggio, e non uno qualsiasi: una scritta "Linea 77" bella grande sull’avambraccio. Li si prende un po’ in giro ("e se poi vi sciogliete?"), ma è ovvio che il gesto è di quelli che segnano un momento importante e creano "gruppo". Ci salutiamo, stavolta definitivamente. Loro hanno appuntamento con una band che hanno conosciuto mesi fa durante un tour europeo, noi abbiamo "in schedina" almeno una ventina di concerti che vorremmo vedere. Riusciremo ad assaggiarne sette o otto: mezz’ora qui, un quarto d’ora lì, e il resto del tempo a guardare la folla meravigliosamente normale che gira - come noi - da un locale all’altro. Ma è esattamente questo lo spirito del SXSW. Si era capito, no?




i cinque momenti fondamentali del SXSW 2006

1) Il cantante degli Ok, Go! (bravissimi) che a metà concerto chiede a uno della prima fila se può andargli a comprare una birra, gli da venti dollari e dice "tieni pure il resto".

2) Il presidente del SXSW Roland Swenson che si commuove presentando Neil Young e ricordando quando lui era uno studente all’università dell’Ohio e Neil Young scriveva l’omonima canzone (Ohio) dedicata alla protesta studentesca contro il presidente Nixon.

3) I Linea 77 che iniziano il concerto dicendo (in italiano) "buonasera Austin, siamo i Subsonica"...

4) Due nomi: You Say Party! We Say Die! e White Rose Movement a pari merito come migliori riciclatori (intelligenti) dei suoni anni Ottanta quest’anno così alla moda.

5) Le risse tra gang messicane rivali al concerto di Morrissey.

(da: La Repubblica XL, maggio 2006)