45 giri: il formato che doveva morire e invece è ancora qui tra noi
 

di: Fabio De Luca




Avrei voluto avere con me una macchina fotografica per immortalare - e condividere con voi - la faccia incredula del tizio che una sera di qualche settimana fa, mentre mettevo i dischi in un locale, è rimasto a bocca aperta e preda di mistico stupore di fronte ad un quarantacinque giri che stava girando sul piatto di sinistra. [Nota per trainspotters: il 45 in questione era un remix firmato Kenny "Dope" Gonzales di Space Funk di Manzel Bush, grande crosta di immortale soulfulness siderale]. "Ma esistono ancora?" ha profferito il tizio, che per essere giovane era giovane, ma non così giovane da poter pensare che in vita sua non gli fosse mai capitato sotto il naso un disco in vinile formato sette pollici. Avesse visto un dinosauro passeggiare in giardino probabilmente si sarebbe stupito di meno. E comunque la risposta è: "sì, esistono ancora".

Quando anni fa si pronosticò l’estinzione prossima ventura dei dischi in vinile ad opera del cd, si diede per scontato che la prima vittima sarebbe stata il 45 giri. Per due, anzi tre ottime ragioni: perchè era troppo legato all’immaginario del boom economico (i juke-box, i mangiadischi...) per pensare potesse affrontare indenne una nuova recessione ed un nuovo millennio; perchè proprio per sua natura - contenitore del "pezzo famoso" dell’album - il 45 era troppo "pop" per essere preso sul serio dagli appassionati nelle cui mani si credeva risiedesse il futuro del mercato discografico. E poi, terza ragione, perchè gli unici che sembravano ancora seriamente intenzionati a convivere con le ingombranti piadine nere di vinile erano la pittoresca categoria che risponde al nome di "dj", e i dj - si sa - usano i dodici pollici, non i sette pollici: perchè "sul 12" la dinamica è migliore" (trad.it.: nei singoli in formato "grande" i solchi sono meglio distanziati e distesi su uno spazio maggiore, e di ciò ne beneficia la qualità di riproduzione del disco).

Insomma, si è fatto il funerale al 45 giri. Ma lo si è fatto a cadavere ancora tiepido, a decesso solo parzialmente constatato. Così è successo che mentre l’industria discografica, con la lungimiranza che la contraddistingue a tutte le latitudini, cercava di convincere la popolazione terrestre che il cd-singolo era il 45 giri del 2000 (al cui proposito: mai visti i juke-cd-box? una tristezza su cui una volta dovremo scrivere qualcosa), da un lato il 45 giri sopravviveva - con le funzioni vitali rallentate - nel culto che gli tributavano occasionalmente, attraverso contesissime edizioni limitate, artisti con un gusto estetico resistente alle mode. Dall’altro si preparava la rivoluzione copernicana dei pacchettini di file mp3 a 99 centesimi l’uno - questi sì definibili come "i 45 giri degli anni 2000"! - che nel giro di un paio di stagioni avrebbero consegnato al rigattiere il formato cd-singolo. A proposito: chi è che doveva estinguersi per primo?

Prima ancora che un supporto fonomeccanico (definizione SIAE) il 45 giri è stato un’unità spazio-temporale, una convenzione narrativa. Era anche questo a renderlo unico. Intanto c’era il limite dei tre/quattro minuti: di più non ce ne stavano su una facciata, al punto che certi famosi pezzi funk nella versione sette pollici venivano divisi in "parte 1" e "parte 2" sulle due facciate. Poi c’era la famosa "facciata B", che spesso era un pezzo minore dell’album di cui la facciata A era il pezzo di punta, ma talvolta invece era un pezzo che non c’entrava nulla con lo stile consueto dell’artista, uno spazio dove la band poteva sperimentare in libertà, inserire versioni acustiche, registrazioni live di cover impensabili, o tentare i primi rudimentali esperimenti di remix (in chiave "dub"). Per quel che può valere come esempio, l’autore di questo articolo fece la conoscenza con la chitarra di Robert Fripp e la relativa effettistica cosiddetta frippertronics grazie alla visionaria facciata B di Heart Of Glass dei Blondie, un pezzo di pura sci-fi post-punk newyorkese intitolato Fadeaway And Radiate.

Per queste ragioni, più un paio d’altre giustamente legate alla nostalgia canaglia, possiamo oggi dire che il 45 giri è vivo e lotta insieme a noi. E non stiamo parlando di pezzi da collezione: parliamo di 45 giri nuovi, incisi oggi, stampati oggi da artisti che in genere già hanno un loro mercato "regolare" in cd. Non è ovviamente un mercato enorme: è una nicchia puntiforme ma affidabile, la cui diffusione non è poi alla fine nemmeno così clandestina (in tutti i megastore inglesi c’è una sezione dedicata ai sette pollici). Una nicchia alimentata da artisti per i quali il feticcio del 45 giri è un’esigenza come consumatori prima ancora che come produttori. Ad esempio: una band come gli Stereolab - la cui sublime estetica optical e retrò non poteva restare insensibile al fascino del 45 giri - per anni ha stampato ogni anno uno speciale 7" in edizione limitata che veniva venduto solo e unicamente durante le date del tour. Un’etichetta come la Twisted Nerve di Andy Votel (specializzata in pop "storto", dove anni fa debuttò pure Badly Drawn Boy) ha sempre tenuto in gran conto nel proprio catalogo il formato sette pollici. E poi tutta l’ultima generazione "brit": dai Clor ai White Rose Movement ai Rakes, per i quali il pubblicare - o addirittaura il debuttare - in formato sette pollici (come i Mystery Jets di You Can’t Fool Me Dennis) più che una bizzarra concessione al mercato dei fan e dei collezionisti è il modo per sentirsi parte di una antica tradizione nazionale. Venderanno due, trecento copie? Suoneranno peggio di un file mp3? Sarà un inferno archiviarli in uno scaffale ormai al 90% colonizzato dai cd? Chissenefrega. I 45 parlano al feticista che c’è dentro ognuno di noi. Anche per questo non sarà così facile rinunciare a loro. Almeno per ancora un po’ di tempo.

(da: Hot, marzo 2006)