Improvvisamente non me ne frega più tanto dell’atteso concerto dei Throbbing Gristle (reprise) Ok, è vero: c'è un lato surreale che affascina anche me nell'accoppiata TG/Asietta... Però, ci ho riflettuto tutta la sera, e sono arrivato alla conclusione che qui siamo di fronte ad una grossa (GROSSA!) caduta di stile da parte degli organizzatori di Traffic. Che la Villa Delle Rose di Misano Adriatico chiami a suonare Asietta è perfettamente nell’ordine delle cose, e mi sta bene: che la chiami a suonare un festival come Traffic è un po’ meno nell’ordine delle cose, e non mi sta bene. Perchè - a costo di fare la parte di quello moralista e all’antica - Asietta NON è una dj, non almeno secondo i parametri (o quelli che dovrebbero essere i parametri) di un festival che ospita una giornata di studi su Manchester e la reunion dei Throbbing Gristle. In più Asietta non è nemmeno - e qui ovviamente si va sui pareri personali - una personalità culturale/musicale della quale mi incuriosisce andare a sentire che dischi sceglie (per dire: a parità di non-dj, un set di Jarvis Cocker lo andrei invece a sentire molto volentieri).
Ma il problema qui non è se Asietta sia o meno una dj, o che dischi suona, o come li suona. Il problema è che siamo di fronte ad una operazione di marketing furbetto, facilone, all’italiana, del tipo «te tte’ffai scinquemila euri fascili fascili, io c’ho er nome cheppoi i giornali scrivono der mio locale», e che all’amo dell’operazione di marketing furbetto stanno abboccando entità come Traffic o come Santerasmo
Ripeto, che Asietta suoni alla Villa Delle Rose è perfettamente nell’ordine delle cose, come è nell’ordine delle cose che la chiamino da Miss Sixty per mettere i dischi al loro party o il sindaco del comune di Sailcazzo per la festa in piazza. È nell’ordine delle cose anche che Asietta decida di farsi una stagione da diggei ramazzando cinquemila euri qui e cinquemila euri lì. La cosa non va più bene quando contesti evidentemente “di contenuto” come Traffic decidono di alimentare il giochetto. |
Improvvisamente non me ne frega più tanto dell’atteso concerto dei Throbbing Gristle «Per soddisfare le prevedibili richieste del pubblico e considerata la capienza limitata del luogo i Throbbing Gristle si esibiranno in due set alle 21.30 e alle 24.00, e tra i due show ci sarà il doppio DJ set di Asia Argento.»
(però, nel caso a voi invece ancora fregasse, ecco il link) |
Il cielo sopra Gabicce Questa notte (mentre a Milano c’è la Notte Bianca, il MiAmi e una marea di altre fantastiche cose) a Gabicce Mare si rievoca per la settima volta il biennio dorato ’77/’78 della Baia degli Angeli, ovvero il luogo che ha generato la nozione stessa di clubbing in Italia, e dove Daniele Baldelli si è inventato da zero il mestiere di dj. Per celebrare l’evento, e anche per festaggiare l’uscita della compilation rievocativa Remember Baia degli Angeli di cui l’autore di questo blogghetto ha curato le note di copertina, si è deciso di uplodare qui il capitolo sulla Baia degli Angeli (e sul Cosmic) del noto librino. E a riprova del fatto che qui mica ci si inventa le cose, di Daniele Baldelli se ne è occupato ieri anche Simon Reynolds |
...And I am ready, to, (indie)rock!!! PCB, che sta per Pin Cushion Boy, che è a sua volta un progetto parallelo di Andrea Doria, ha appena pubblicato su Mantra un 12” intitolato Deep Into My Sound che è il mio pezzo di vinile preferito della settimana, e magari fra cinque minuti sarà anche il vostro (in genere succede appena l’indie-subconscio riconosce il riconoscibilissimo sample delle Elastica che campionano i Wire...). Qui una versione in bassissimissima fedeltà, giusto per avere un'idea di cosa si tratta.
(PS: apprezzerei molto che almeno il 50% più uno dei lettori di questo blogghetto cogliesse la citazione del titolo...) |
Immagino che il fatto di aver modulato un urletto all’atto dell’apertura del mini-cofanetto degli Stereolab, scoprendo che dentro - oltre ai tre cd e al dvd regolamentari (che poi: ancora non mi capacito che tutto ’sto bendiddio costi solo ventun euri, quotazione di Disfunzioni Musicali stamattina a Roma) - c’erano anche gli adesivi, insomma, immagino che aver modulato l’urletto faccia di me una specie di miserabile feticista.
Poco male, il dvd varrebbe da solo pure il doppio della spesa: i videclip (visti poco o nulla in tv), splendidamente poveristici, sembrano tutti un mash-up di La decima vittima di Petri e un dietro le quinte di Star Trek, e lo sguardo da pesci in barile sfoggiato dai Nostri in occasioni delle due esibizioni televisive qui incluse (The Word su Channel 4 e Later With Jools Holland sulla BBC) è bello e snob e talmente indie che al cospetto Belle & Sebastian quasi sembrerebbero i Queen.
Con l’occasione annuncio ufficialmente di aver fatto pace con gli Stereolab: che ho molto amato, in passato, ma che da un certo punto in avanti ho avvertito tragicamente inadeguati a rappresentare la contemporaneità. Come se il trucco di congelare il tempo usando quei linguaggi che erano serviti trent’anni prima a immaginare il Futuro avesse smesso di funzionare, il futuro si fosse di colpo scongelato e fosse apparso in tutta la sua inquietante assenza di prospettive. Come se la loro nostalgia statutaria per un “futuro ideale” (in luogo di un più consueto passato ideale) si fosse rivelata per quello che era: nostalgia, appunto, e dunque immobilismo, “coazione ad attendere”. (E aggiungeteci che da un lato tutto il versante “pop” delle loro intuizioni era ormai caduto nelle mani di feroci banalizzatori alla Stereo Total, dall’altro era crollata una delle pareti che teneva in piedi il loro allure, cioè il fatto che nessuno o quasi, di noi che li adoravamo, si era mai preso la briga di ascoltare sul serio i Can: una volta fatto, capisci molte cose).
Il loro è stato il no future più definitivo che si sia mai visto, perchè mascherato da futuro e da entusiasmo per il futuro stesso, e proprio per questo ciò che affascina dell’economico (ed ergonomico) cofanotto è il suo essere quasi una sorta di statua, quasi un monito al fatto che il tempo non lo si inganna e non lo si può sconfiggere. |
Diggei Chiavetta Io vorrei essere moderno e riuscire con molta serenità ad affermare che un dj la cui valigia dei dischi consiste in quattro memory card ha la stessa dignità di un dj la cui valigia dei dischi consiste in una valigia dei dischi. Solo che non ci riesco. Proprio non ci riesco. |
«Wherever they are now, I hope there’s hot chicks in purple wigs» Probabilmente già saprete (la notizia è ampiamente circolata nel weekend, mentre questo blogghetto era in weekend referendario senza computer al seguito) che Ed Bishop e Michael Billington - due dei tre attori principali della serie televisiva U.F.O., dove erano rispettivamente il comandante Straker e il colonnello Paul Foster - sono morti a distanza di poche ore uno dall’altro la settimana scorsa [amanti delle teorie cospirazioniste, mettendoci anche Anne Bancroft fanno TRE attori il cui cognome inizi con la “b” morti la settimana scorsa...].
Sull’hard disc non trovo traccia dell’articolo scritto una decina di anni fa per Rumore - a corollario di un’intervista a Frank Black dove si parlò per il 90% di teorie cospirazioniste legate agli ufo - nel quale si tentava una fantasiosa lettura politico-jungiana di U.F.O. (gli ufo come pulsioni provenienti dallo spazio profondo dell’inconscio, la S.H.A.D.O. come il super-io, Straker come anticipazione dell’Inghilterra thatcheriana). Ho invece trovato la versione uncut dell’intervista fatta circa un anno fa a Gabrielle Drake, sorella di Nick Drake ma soprattutto tenente Gay Ellis, ovvero una delle “ragazze con i capelli viola” di Base Luna...
(Al cui proposito: la frase che da il titolo al post è uno dei geniali comment alla notizia della scomparsa di Bishop & Billington apparsi su Metafilter) |
Heavenly Sunday Social Per varie e disparate ragioni - tra cui spiccano smemoratezza e (talvolta) senso del ridicolo - solo una ragionata selezione delle serate del gestore in veste di dj vengono segnalate qui sul blogghetto. Ecco, stavolta ad esempio ne vale la pena: domenica, cioè dopodomani, se siete dalle parti di Genova, dalle 19 in poi (probabilmente fino a mezzanotte), il gestore del blogghetto - in trasferta elettorale nella sua città natale - suona i dischi nella meravigliosa terrazza che c’è dietro la pista di pattinaggio al Porto Antico. Ciò è bello perchè egli potrà suonare anche cose non necessariamente ballabili, ad esempio il raro 12” originale di Making Flippy Floppy dei Talking Heads o Ventura Highway degli America. O i Led Zeppelin (di cui il gestore ultimamente recupera Good Times Bad Times). E parte tutto il posto merita davvero. Ah, ovviamente ingresso libero, belin... |
A proposito, i White Stripes Get Behind Me Satan [voto: 4,5/5] Per capirci qualcosa bisognerebbe stare, alla John Malkovich, dentro la testa di Jack White. Là dove i neuroni sotto pressione hanno concepito quest’album, il più rischioso di tutti quelli venuti prima, quello che doveva dimostrare al mondo che dopo Elephant i White Stripes potevano fare ancora un ulteriore passo avanti. In che direzione era tutto da vedere: intanto il pezzo che apre il disco, Blue Orchid, lo ascolti e dopo due secondi realizzi che sembra un pezzo dei Daft Punk. Minimale, robotico, aggressivo: un riff di chitarra rugginosa ripetuto per due minuti e trentasette, la batteria che è appena un clock (ma quando parte sembra la batteria di un gruppo afro-funk), Jack che pare Robert Plant. E a questo punto tutto torna: il minimalismo, il profilo basso, il fatto di averlo registrato in due settimane («recorded in Detroit, mixed in Memphis»). La teoria che i White Stripes fossero una sorta di Kraftwerk del 2000 (il rifarsi ad una tradizione folk/operaia vissuta come eroica, il rigore costruttivista, la radicale scelta cromatica negli abiti...) è superata dagli eventi: i White Stripes sono i nuovi Daft Punk, molto più avanzati e stilosi di quelli vecchi. Più che la prosecuzione di Elephant e della sua scommessa di prendere il dna hillbilly-blues facendone moneta corrente, Get Behind Me Satan è il gemello riuscito di Human After All: un album “povero”, fatto esattamente come lo si sarebbe fatto trentacinque anni fa, con gli stessi strumenti e con la stessa attitudine, e che però esce più moderno del più moderno dei dischi di frontiera usciti stamattina. Come ci riusciranno? Sono loro, ecco come. Sono quelli che - ben prima di Seven Nation Army, ben prima del successo di massa - hanno affrontato il main-stage di Reading, loro due da soli, chitarra e batteria, uscendone trionfatori. Sono un mondo a parte, le convenzioni di spazio, tempo, materia e velocità per loro è come se valessero un po’ meno che per gli altri. Scrivono la miglior cosa pop dai tempi di Burt Bacharach (Forever For Her) e contemporaneamente una non-canzone come The Nurse (lenta, quasi art-pop europeo con quella chitarra che pare una Kawasaki imballata). Incollano blues, shuffle, oggettistica beat e trenta secondi in cui Meg riassume cinquant’anni di girl-pop (Passive Manipulation). Senza mai essere nè ostentati né pretenziosi: alla fine il vero miracolo è questo. (da: Rolling Stone, giugno 2005) |
Heaven holds a place for those who pray Tutta la letteratura attorno alla morticina mi ha fatto tornare in mente questa curiosa versione, sinistramente in tema - fra l’altro - con l’evento luttuoso... |
Terrazze romane Non ci sono mai stato di persona (perchè quando a Roma ci abitavo loro non c’erano ancora), ma la leggenda dei “mini-rave sul tetto di Portonaccio” è ovviamente arrivata fino a qua. Domenica prossima (12 giugno) - e poi per tutte le domeniche di giugno e luglio - si ricomincia. Trovate tutto sull’apposito sito, dove c’è anche la radio online e dove si può scaricare, quale gentile cadeau, la compilation di elettronica super-minimal-casalinga Superselecta: Abbuffet!. Particolarmente consigliato: U Are di Romantic Pianella (che suona come Arman Van Helden dopo un pomeriggio passato a bere té freddo parlando daaá Roma)... |
A day in the life of È un nuovo reality? È un remake di Kramer contro Kramer? È la nuova pubblicità del Nescafé? No, è il video di Disco Infiltrator... |
A way of life/2 In omaggio al tour che inizia oggi ed agli amici che vi ci si recano, ma anche per tutti gli altri, la controversa versione di Dream Baby Dream dei Suicide di cui si dibatteva un paio di post fa, dal concerto dello scorso 15 maggio a Cleveland. Il dibattito ora si sposta su: Springsteen è dunque l’anello di congiunzione tra Tom Waits e i Suicide? E per finire con le celebrazioni (da domani ci si torna ad occupare di click’n’cut norvegese), altri stili di vita springsteeniani anche in cima all’aggiornato colonnino di sinistra. |
Allevi? no, Alavi Mentre la società civile impazzisce per Giovanni Allevi, qui più modernamente si esce di testa per The End di Patrick Alavi. Come dire: gli Air epoca Moon Safari prodotti da un Bangalter sotto effetto di cannabis. Qui ci dovrebbe essere un RealAudio, altrimenti provate direttamente sul suo sito |
(Per dovere di cronaca: stessa onoreficenza anche per Fred Bongusto e Peppino Di Capri. E Francesco De Gregori. E Fiorella Mannoia. E Angelo Branduardi. E Roberto Benigni. E una riga di altri. Fred Ventura e Benny Benassi anche quest'anno ancora niente, invece) |
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