Golia & Melchiorre: un Bugo, anzi due
 

di: Fabio De Luca




Un album doppio è qualcosa che di ’sti tempi uno ci pensa due volte a farglielo fare persino a un Ligabue. A Bugo però si. Perchè Bugo è uno che gli daresti anche il portafoglio, tanto è disarmantemente diretto e non "posato". Che poi lui in questo ruolo di "unico, vero e sincero" non è nemmeno che ci si trovi tanto a suo agio: "non difendo nulla", dice, "nessun modo di essere. Anzi, alle volte mi viene il mal di testa. Quando penso: oddio, e se poi prendono per una posa il fatto di essere schietto?". Ma tant’è. Tanto poi la gente - se vuole - malpensa lo stesso. Ed ecco dunque lo spingardesco cantautore/bluesman che per anni ci siamo divertiti a crocifiggere (ma più per scherzo che per altro) alla somiglianza con una famoso one-man band folktronico statunitense teorico del lo-fi (quattro lettere, la prima è una "B") alle prese con un’opera in due volumi intitolata Golia & Melchiorre, suddivisa in una parte acustica registrata in casa (La Gioia di Melchiorre) ed una elettrica/elettronica registrata fuori (Arriva Golia). Dentro quest’ultima trovate il più geniale pezzo italiano dai tempi di Il cielo in una stanza (Il sintetizzatore: un capolavoro) e il consueto folle bughesco mondo di parole in libertà...

I tuoi discografici li hai messo di fronte al fatto compiuto? Cioè sei arrivato con due dischi invece di uno e hai detto: "questo è"?

No, il disco acustico l’avevo già finito a maggio del 2003, registrandolo a casa con due microfoni, voce e chitarra. Gliel’ho semplicemente portato a far sentire quand’era già finito, non volevo imporre nulla. Loro si sono preoccupati: ma non tanto perchè era un disco troppo difficile. Credo che la loro paura sia soprattutto che io mi ritiri troppo in me stesso, e probabilmente hanno ragione. Poi nel frattempo ho cominciato a lavorare al secondo disco, quello elettrico, e lì si è cominciato a pensare di poter far uscire un doppio.

In tutto ciò Roberto Vernetti a che punto della lavorazione è arrivato?

Me l’hanno proposto alla Universal quando stavo già registrando il disco elettrico. Anzi, praticamente avevo già finito di registrarlo. Erano convinti che potesse servire a dare una spinta in avanti a quello che avevo fatto, e forse un po’ erano anche preoccupati del fatto che il produttore con il quale stavo lavorarando in studio era un ragazzo di 23 anni che non aveva mai prodotto un disco in vita sua. Lui sta in questo stranissimo gruppo rap che incide per la Burp, i Uochi Toki. Vernetti comunque ha fatto un grande lavoro! Il disco suona esattamente come volevo che suonasse, un po’ pieno di sporcherie: ombre, schifezze... Gli ha dato quel sapore un po’ fighetto che volevo comunque dargli.

Fighetto??!!??

Si, a me piacciono i contrasti. Come la posa da fotomodella che ho in copertina. Volevo che chi vede la copertina pensi che sono impazzito, che sono diventato una boy band, che seguo la moda... Lo so che a qualche fan darà fastidio, ma a ma piace anche dare fastidio: alla fine è un gioco, bisogna capire questo. Secondo me il tocco fighetto che gli ha dato Vernetti è esattamente quello che da carattere al disco.

"Fighetto" è un concetto tipicamente milanese che ha molto a che fare con una certa sforzata attitudine alla felicità ad ogni costo che sembrerebbe invece agli antipodi del tuo mondo. Certo: poi pure tu però intitoli il disco acustico con un gioco di parole ispirato ad uno degli stradoni più tristi di tutta Milano e forse del mondo intero...

Via Melchiorre Gioia... ci ho abitato. Lo studio dove ho registrato l’album acustico era proprio lì. Milano la conosco da sei anni, e mi ha sempre attratto. Dico sempre di andar via, ma poi ci rimango. Se c’è qualcosa di milanese nel disco non è una cosa ragionata. Non c’è nessun forzare la mano in nessuna direzione, nè trise nè felice. Diciamo che nei due dischi c’è l’uno e c’è l’altro, ed è giusto che sia così, perchè il fatto che io debba per forza essere quello che si diverte sempre è anche quello uno stereotipo. Io vengo preso sempre per uno che scherza, ma un pezzo come Cosa Fai Stasera non è per niente divertente: ho immaginato questa storia d’amore a distanza, con lui che immagna cosa stia facendo lei, e non c’è niente da scherzare.

Cioè ti senti costretto dentro un personaggio che non ti rappresenta più al 100%?

Non è che mi sento costretto, è solo che spesso per semplicità fa più comodo cagare soltanto il Bugo che ride e tralasciare l’altro. Non che mi pesi essere visto come quello sempre allegro, sempre divertente, sempre buffone: il fatto è che chiunque - potendo scegliere - preferisce ridere anzichè soffrire, e dunque piace il fatto che Bugo sia uno che quando suona ride. Se però una sera per qualunque ragone sono cupo e il concerto mi esce più scuro del solito, io lo vedo che tra il pubblico c’è qualcuno a cui questo da fastidio...

Con il nuovo album acustico dovranno farsene una ragione...

Ma lo sanno, lo sanno già. Chi conosceva Sentimento Westernato lo sa che c’è sempre un po’ di malinconia in quello che faccio. Il blues nero ce l’ho dentro da sempre. È una di quelle cose dalle quali non puoi prescindere. E’ come De Andrè: un uomo al porto, un uomo al fiume... immagini talmente forti che non puoi non esserne schiacciato. E poi io con l’elettonica ci gioco, faccio il rap, ma alla fine "dentro" sono un cantautore.

Quindi la parola "cantautore" non ti fa paura.

No, per nulla. Lo sono, sono un cantautore, sono anche un bluesman a modo mio, sarei pazzo a nasconderlo. Anzi, sono pure uno che quando suona le cose acustiche non sopporta il brusio in sala, e lo dico pure, e per questo che sto antipatico a qualcuno. Qualche volta dico: "dai, lasciatemi questa mezz’ora per tirare fuori la tristezza che ho dentro, e poi torniamo a divertirci con i pezzi veloci". "Eh ma Bugo, noi siamo venuti qui per divertirci", e lo so che hanno ragione, magari sono ragazzi di vent’anni, ero anch’io così a vent’anni, facevo fatica a sentire i cantautori.

E adesso?

Di anni ne ho trenta, quasi trentuno. E mi rendo conto che è più forte di me: quando registro finisce che uno stacco blues ce lo infilo sempre, anche se in mezzo al resto magari nemmeno lo si nota.

Parlando di cantautori, Il Sintetizzatore ricorda pazzescamente Rino Gaetano...

Me lo hanno già detto! Specialmente nelo stacco chitarra-voce, "finalmente un grido universale...". Io in realtà di Rino Gaetano conoscevo solo Gianna: è un mio amico che poi mi ha fatto sentire le sue canzoni. Non so, è veramente un caso se ci assomigliamo: forse è solo che abbiamo un tiro vocale molto simile quando urliamo, ma credo che i paragoni finiscano lì. Però questa cosa mi piace, perchè mi immagino Rino Gaetano in studio oggi alle prese con i sintetizzatori...

(da: Rumore, giugno 2005)