Arctic Monkeys: come internet trasformò un cartone animato in realtà
 

di: Fabio De Luca




A mettersi attorno ad un tavolo con il compito di inventare da zero dei "nuovi Oasis" per il 2006 il risultato non sarebbe stato perfetto come sono perfetti gli Arctic Monkeys. Perfetti già solo a guardarli: un fumetto, un manga misteriosamente uscito dalla pagina e diventato 3D. C’è Alex, voce e chitarra, il bello e riservato che però tiene d’occhio tutto; c’è Jamie, il chitarrista bello e ancora più taciturno di Alex. C’è Matt, il batterista, che nell’economia d’immagine del gruppo è quello "strano", quello che si massaggia nervosamente le nocche delle dita, che ride e parla un sacco. E poi c’è Andy, il bassista cicciottello, in apparenza pacioccone ma in realtà bastardo e hooligano (come conferma chi ci ha giocato insieme un’amichevole di calcio e si è ritrovato con un ginocchio semi-fratturato...). Hanno meno di vent’anni a testa, e nel giro di sei mesi sono passati dalla sala prove a casa loro, a Sheffield, alle 3.000 e più persone che cantavano in coro le loro canzoni all’Astoria di Londra, lo scorso ottobre, pochi giorni prima che il singolo I Bet You Look Good On The Dancefloor entrasse direttamente alla numero uno della classifica inglese (11.000 copie vendute nel solo giorno della pubblicazione, 150.000 nelle quattro settimane successive). Un incontenibile effetto-valanga.

"Gli ultimi sei mesi sono solo la punta dell’iceberg, quello che tutti conoscono" é quanto ha da dire al riguardo il riservato Alex. Infatti per loro la storia ha inizio il Natale del 2002, quando Alex e Matt - amici sin dai tempi delle scuole elementari - chiedono e ottengono in regalo una chitarra ciascuno. Il resto del racconto è persino banale: giovane band si impegna, e grazie al duro lavoro ce la fa ad emergere dall’anonimato. Non ci fosse un interessante elemento di modernità a rendere la storia degli Arctic Monkeys unica. L’elemento che fa la differenza in questo caso si chiama internet: appena la band debutta con i primi concerti, ecco spuntare il sito internet dove gli mp3 dei loro pezzi sono in libero download, insieme ai testi delle canzoni ed al calendario delle date. Complice la segnalazione di un paio di blog musicali inglesi il nome della band comincia a girare, col risultato che ad ogni nuovo concerto Alex e gli altri vedono sempre più gente sotto il palco, e - incredibile! - gente che conosce a memoria le loro canzoni. Il tutto molto prima di avere un disco fuori, molto prima che l’industria si accorgesse di loro. Qualcuno ha parlato di una ben orchestrata operazione di marketing, ma in realtà questo è solo il vecchio passaparola aggiornato all’era della fibra ottica. "È incredibile che tutti si stupiscano" ragiona Matt, "ma per noi è stata una cosa naturale: tutti noi andiamo in rete, abbiamo amici che hanno dei blog. Non siamo assolutamente dei nerd da computer, ma la rete fa parte del nostro mondo".

E’ una storia molto simile a quella che all’altro capo dell’Oceano ha fatto emergere, con gli stessi tempi e negli stessi modi, i newyorkesi Clap Your Hands Say Yeah: la classica routine del rock’n’roll, implementata dal turbo dato da internet. Gli Arctic Monkeys l’hanno cavalcata al meglio, e a pochi giorni dall’uscita dell’atteso album (titolo che è tutto un programma: Whatever People Say I Am, That’s What I’m Not, "qualunque cosa la gente dica di me, io non lo sono") le leggende sul loro conto si sprecano. Pare che persino Robbie Williams abbia accennato il ritornello di I Bet You Look Good On The Dancefloor in una sua apparizione televisiva, tempo fa. I ragazzi non sembrano per nulla sconvolti, però. Commentano il recente tour in Giappone dicendo che la cosa più strana è che lì ""rock" lo pronunciano "lock"" (che in inglese significa lucchetto, cosa che sembra divertire particolarmente l’hooligano Andy). Ma il successo avrà cambiato le loro vite, almeno in termini di rapporti con le ragazze? Uno pensa: diamine, in fondo hanno vent’anni, ne approfitterano della fama piovuta tra capo e collo? Macchè. Il riservato Alex parla per tutti. "Ehm, a dire il vero siamo tutti fidanzati. E torniamo a Sheffield ogni volta che possiamo...". All’antica insomma. Ma impareranno.

(da: La Repubblica XL, febbraio 2006)