The Hours: Damien Hirst ha fondato una band (oppure forse no)
 

di: Fabio De Luca




Sarebbe bellissimo poter scrivere a caratteri cubitali che "Damien Hirst ha formato una rock’n’roll band". Sarebbe bellissimo e neanche poi così campato in aria, se si pensa che un po’ tutta la Young British Art - di cui Hirst è il principino regnante - ha almeno una buona metà delle sue sensibilissime e febbrilmente agitate radici ben piantate in quella specie di universo speculare della tradizione e della società inglese che fu il punk. Perché oltre che un bel grumo di sputi e rock’n’roll il punk è stato - soprattutto a Londra - anche roba di scuole d’arte, di ragazzetti affamati d’attenzione che imparavano il gusto del paradosso e della provocazione dalle internazionali lettrista e situazionista. E già c’era, pure lì - courtesy il testone sempre in movimento del Malcolm McLaren - la consapevolezza che per potersi dire davvero riuscita una burla doveva portare anche dei bei soldini (facili, possibilmente) nelle tasche di chi la burla l’aveva architettata. "Cash from chaos" come si diceva allora, soldi dal caos. Fast forward di una quindicina d’anni: l’arte contemporanea inglese dei primi anni Novanta è esattamente "cash from chaos". Damien Hirst diventa ricco e famoso immergendo il cadavere uno squalo tigre (ed altri animali assortiti) dentro vasche di formaldeide. Tracey Emin espone una tenda da campeggio dentro la quale sono appesi dei biglietti con i nomi di tutte le persone con cui ha dormito nel corso della sua vita. Cose così, cose da punk.

Sarebbe dunque - e qui torniamo all’inizio - bellissimo e perfettamente coerente poter scrivere che Damien Hirst ha fondato una rock’n’roll band. E - ehi! - in realtà l’ha fatto veramente, qualche anno fa. Una specie di sub-gruppo indie-pub chiamato Fat Les, insieme al bassista dei Blur, Alex James. Anche se di tutta l’operazione quello di cui resterà traccia nella storia è probabilmente solo la circostanza da cui l’idea dei Fat Les è nata: ovvero Damien Hirst che dirige il videoclip per l’inno beota dei Blur Country House. Ed eccoci ad oggi: circola la voce, come si diceva, che Damien Hirst ha (di nuovo) una sua band, e che stavolta è una cosa seria. Ma è solo una voce: alimentata da un’articolo pubblicato dalla rivista inglese Dazed & Confused nel quale Hirst è intervistato insieme a una band inglese chiamata The Hours. The Hours in realtà sono un duo: Antony Genn e Martin Slattery. Entrambi hanno fatto parte dei Mescaleros di Joe Strummer, e Slattery è anche stato un membro dei Black Grape, la breve e non brillantissima incarnazione post-Happy Mondays di Shaun Ryder. Legendo la sintetica intervista di D&C viene fuori qual’è il ruolo di Hirst nell’operazione: una sorta di supervisore/mentore/finanziatore del progetto. Scrive D&C che Hirst "li ha seguiti nelle registrazioni, forse con la speranza che prima o poi gli lascino impugnare un microfono", e che alla base di tutto c’era (com’era prevedibile) il desiderio di produrre musica al di fuori dei canali consueti - e moribondi - della discografia ufficiale.

Il risultato? Ce ne sono già dei brevi saggi online, nel sito ufficiale della band (www.thehoursmusic.com). Brevi frammenti di canzoni che ricordano vagamente il punk emotivo e melodico di una band come gli Husker Du. O almeno: si presume che siano frutto di quelle session. In realtà il sito sembra fermo all’aprile 2005, e comunque il nome "Damien Hirst" associato a quello di "The Hours" non viene fuori nemmeno a cercarlo col lanternino di Google. Ma forse anche questo è parte di una strategia obliqua. In realtà sembra proprio una specie di regola generale della band non fornire alcuna informazione rilevante su di sé. Ad esempio: sempre nel sito, nella classica pagina riservata alla bio, c’è un modulo da compilare con quelle che secondo chi legge potrebbero essere le note biografiche ideali della band. Si intuisce che la band ha già un cd all’attivo, e che il titolo del cd è Our Sadness Will Save Us ("la nostra tristezza ci salverà": grande titolo). Poi si allude ad un nuovo cd, il cui titolo è "attualmente in discussione". Non si capisce se sia o meno quello in cui è coinvolto anche Hirst, ma anche qui lo spettatore o chi passasse di là per caso è invitato a dare una suo opinone in merito: i due titoli in ballottaggio sono Investigate the Noise e Phil’s Dingle Berries. In realtà, a pensarci bene, c’è qualcosa che non funziona: questi The Hours sembrano residenti negli Stati Uniti, non in Inghilterra. E poi sono un quartetto, non un duo. E non ci sono riferimenti biografici nel sito, ok, ma l’unico nome che compare ogni tanto è quello di un certo "Roger" (né Antony né Martin, quindi). Oddio, il link al sito lo si è trovato nelle pagine online dell’edizione 2006 del festival texano Six By South West, dove The Hours (quelli di Hirst, Genn e Slattery) erano annunciati. Però dopo un paio di giorni The Hours sono scomparsi dal cartellone. Probabilmente non ci sono gli estremi per aprire un’indagine alla Carlo Lucarelli, ma per poter dire che partendo dai The Hours siamo finiti nel caos questo sicuramente sì. Perfetto: era quello che si voleva dimostrare. Se adesso da questa folle spirale di ragionamenti sul nulla ci si riuscirà anche a tirare fuori dei soldi vorrà dire che era vero quello che dicevano i punk: "cash from chaos". E se Damien Hirst avesse veramente messo in piedi una band, probabilmente vorrebbe che i giornali ne parlassero con articoli privi di senso come questo che avete appena letto. Quindi, missione compiuta comunque.

(da: Hot, aprile 2006)