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  (Re)Light My Fire: ce ne frega ancora qualcosa dei Doors?
 

di: Fabio De Luca




Un cofanetto contenente dodici cd, contenenti a loro volta l’intera opera di una band, qualsiasi canzone mai registrata pi una pletora di inediti, video di esibizioni televisive d’epoca e qualsiasi extra vi possa venire in mente. uno di quei concetti che gi solo a pensarlo uno sente come un peso allo stomaco. Eppure questo oggetto esiste, l’ha pubblicato lo scorso novembre la Rhino Records: si intitola Perception, ed il confanetto - probabilmente "definitivo" - sui Doors, realizzato in occasione del quarantesimo anniversario dell’uscita del loro primo disco (The Doors, pubblicato il 4 gennaio 1967)

Un oggetto pesante come una pietra tombale, che poi la miglior metafora a cui uno possa pensare per definire i Doors. Mai stati al Pre Lachaise (il cimitero monumentale di Parigi)? Visitare la tomba di Jim Morrison - e l davanti raccogliersi in meditazione, aggiungendo il proprio messaggio alle due o tre ere geologiche di graffiti e bigliettini che la ricoprono - stata l’esperienza "rock" fondante per almeno due generazioni: puro spleen da gita scolastica, tipo - oggi - i lucchetti su ponte Milvio omaggio al polpettone prepuberale 3 metri sopra il cielo. Ecco, diciamole subito tutte le cose cattive, cos poi possiamo passare a quelle gentili: la vera tragedia che un buon 50% del lascito, dell’eredit spirituale dei Doors, sta proprio in quella pietra tombale e nella processione di vecchi freak in salamoia ed adolescenti in botta ormonale. L al Pre Lachaise oltre alla salma di Jim Morrison (che poi nemmeno si sa se morto veramente: uno dei migliori filoni di leggenda rockmetropolitana riguarda proprio i suoi avvistamenti, vivo, in Sud America, nell’Oregon o nel New Jersey) tumulata anche la versione canonicizzata dei Doors, quella pi emotiva, superificiale, quella buona per vendere le t-shirt e i chilum per il fumo. E qui arriviamo all’altra met della tragedia: ossia che poche cose al mondo sono invecchiate male come il frullatone di Freud/Nietzche/Huxley, poeti maledetti e invaghimento per i nativi americani che ha rappresentato il cuore profondo della poetica dei Doors. Persino i lustrini del Bowie periodo Ziggy Stardust sono invecchiati meglio (e ce ne vuole). Il pi supercelebre dei momenti hard dei Doors - il finale di The End, quello dove Morrison metteva in scena il suo provocatorio cartoon edipico con le parole "father, I want to kill you / mother, I want to f*** you" - allora cre scandalo, ma era talmente consapevole della propria teatralit "colta" che oggi non solo non fa pi effetto, ma non smuove, non evoca, non dice nulla pi del suo esercizio di trasgressione.

In questo senso (provocazione sopra le righe, ambizioni "poetiche", facile tracciabilit delle fonti d’ispirazione) i Doors sono realmente il gruppo "liceale" per antonomasia, e il posto che compete loro nell’iconografia dunque, giustamente, il logo "DOORS", proprio quello del primo disco, vergato con la penna biro su decine di centinaia di migliaia di zaini scolastici, accanto a "forza Juve" ed alle croci celtiche (s, a quell’et si tende a fare un po’ di confusione tra i simboli). Al confronto, la meno ambiziosa opera dei Beach Boys o degli Stooges (giusto per dirne due che divisero il medesimo intervallo spazio temporale dei Doors, ma a voler essere impietosi si potrebbero aggiungere pure i Velvet Underground) supera molto meglio il salto di quattro decenni. Pur fatta la tara all’ingenuit, una God Only Knows (Beach Boys, 1966) ha una qualit universale che la rende perfettamente congrua anche oggi. Non cos i barocchismi dei Doors. Eppure sugli zainetti oggi c’ scritto The Doors, mica Beach Boys, mica Velvet Underground. Vorr ben dire qualcosa: ad esempio che - per quanto possa dare fastidio a chi si bulla di possedere un gusto pi ricercato - i Doors qualcosa hanno toccato e ancora toccano, in termini di immaginario collettivo. Nonostante il loro essere barocchi, ampollosi, "imparati" di psicologia e letteratura da primo anno di college. Anzi, forse proprio grazie a quello. Tipo Vasco Rossi, avete presente?

Il problema che non c’ scampo. Uno dice: per lo meno dopo la morte di Jim Morrison altri danni in termini di barocchismi e cattivo gusto non se ne potranno fare, no? Macch. Sembra esserci un sinistro magnetismo, o una predisposizione genetica, nei Doors, per tutto ci che riguarda l’esagerazione portata agli estremi. Il biopic di Oliver Stone del 1991 - nel pur apprezzabile tentativo di trasformare la loro vicenda in una storia "adulta" - riesce solo a confezionare un fumettone televisivo. E il colpo di grazia la demenziale decisione di due dei Doors superstiti di riformare la band nel 2002, con Ian Astbury dei Cult nel ruolo di cantante: un’idiozia prima ancora che un sacrilegio. Una roba talmente insensata che, giustamente, il paio di world-tour intitolati al progetto "Doors Of The 21st Century" sono stati accolti con la medesima indifferenza che avrebbe suscitato la pi dozzinale delle cover band. Ci detto - tutto ci detto - rimarrebbe ancora la musica. Che invece era inventiva, altroch. E aveva (quella s) un groove che ancora oggi facile riconoscere. Giacch siamo qui a celebrare il quarantennale del primo album, citeremo soltanto il pezzo che lo apriva: Break On Through. A cui John Densmore volle aggiungere un sottile - quasi invisibile - ritmo bossa nova ispirato dai dischi di Stan Getz e Joao Gilberto che ascoltava (insieme a Ray Manzarek, il tastierista) sulla spiaggia di Venice. Se vi capitato di ascoltare il remix (non autorizzato e non ufficiale) che ne ha fatto Richard Dorfmeister nel 2005, avrete sentito come tutto ci che ha fatto non stato altro che lasciare emergere quella naturale vena bossa nova che gi esisteva nella versione originale. Beh, questo il miglior modo per celebrare i 40 anni dei Doors. Meglio questo di qualsiasi gita al cimitero monumentale di Parigi.

(da: Hot, marzo 2007)

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