Von Bondies: Detroit, botte e rock’n’roll
 

di: Fabio De Luca

Pur se non ve ne ne frega nulla della musica rock, ma avete un computer, una connessione internet ed una minima attitudine a farvi la vostra rassegna stampa online quotidiana, ci sono ottime probabilità che la vostra esistenza si sia incrociata con quella dei Von Bondies attorno alla metà dello scorso dicembre. Nei giorni immediatamente precedenti il Natale era davvero difficile non imbattersi nell’immagine di un uomo conciato tipo Cocciolone ai tempi della Guerra nel Golfo: un occhio pesto, labbro tumefatto, grumi di sangue rappreso un po’ dovunque sulla faccia. Uno spettacolo da stringere il cuore. Bene: quell’uomo era, ed è, Jason Stollsteimer, il cantante dei Von Bondies. Ed a conciarlo così è stato uno dei personaggi all’apparenza più pacifici del pianeta terra: Jack White dei White Stripes. Il perchè e il percome e tutte le ragioni, le aggravanti e le attenuanti da una parte e dall’altra sono state ormai ampiamente dibattute fuori e dentro dalle aule di tribunale, specie sulle pagine dei giornali, specie quelli inglesi. Giusto per amore di cronaca: teatro del fattaccio è stata una specie di tavola calda con uso di concert-hall, The Sgt.Pepperoni’s [sic!] Magic Stick, a Detroit. La sera del fattaccio sul palco c’era una band locale, i Blanche, che presentava il suo nuovo album dal (profetico) titolo If We Can’t Trust The Doctors. In platea si poteva riconoscere tutta la crema della conventicola garage-rock locale, inclusi Stollsteimer e White. I due si conoscono, eccome se si conoscono. Sono pure amici: White nel 2000 (non era ancora la star che è oggi, ma era comunque un piccolo nume tutelare della scena cittadina) ha co-prodotto l’esordio dei Von Bondies, Lack Of Communication, e l’anno dopo si è pure portato la band di Stollsteimer ad aprire il tour europeo degli Stripes. Poi, si sa, uno è diventato quello che è diventato, l’altro è rimasto un local hero, che per inciso non ci sarebbe nemmeno nulla di male, ma vaglielo a spiegare quando in gioco entrano ripicche, gelosie e piccole invidie da bar di paese. Torniamo dunque al dicembre 2003, The Sgt.Pepperoni’s Magic Stick: Stollsteimer sostiene che White l’abbia attaccato "...senza alcun preavviso, e senza che io abbia fatto nulla", a testa bassa, da vero infame. White ribatte via comunicato stampa di essere stato provocato e messo in mezzo, e che dunque si è difeso "come avrebbe fatto qualunque persona normale in analoghe circostanze". Un Rocco e i suoi fratelli con i poster degli Stooges sullo sfondo. La conventicola detroitiana se la ride sotto i baffi. Qualcuno tira fuori un precedente del dicembre 2002 (mai ufficializzato per mancanza di testimoni) in cui Stollsteimer si sarebbe presentato nel cuore della notte a casa di White e - pure lì - White l’avrebbe gonfiato di botte. Altri ammettono a mezza voce con gli inviati della stampa musicale inglese che, si, vabbè le questioni in sospeso sul disco di esordio (c’è chi ha ripescato interviste del 2002 in cui Stollsteimer rinfaccia a White di non aver fatto un buon lavoro...), ma qui c’è dell’altro. Storie degne di Novella 2000. In altre parole: White ha avuto una relazione con Marcie Bolen dei Von Bondies, e terminato l’idillio sarebbe finita anche la sua benevolenza verso i Bondies. Da qui certe poco diplomatiche dichiarazioni come quelle secondo cui i Bondies sarebbero "l’organo malato della scena di Detroit", il conseguente (comprensibile) fastidio di Stollsteimer, le sue dichiarazioni in risposta, e come ciliegina sulla torta il fatto di sangue del Magic Stick.

Se state pensando che non se ne può più di questo asilo infantile in salsa garage-rock, ok: è vero, avete ragione. Prima di lasciare definitivamente Jack e Jason al loro litigioso destino c’è però un piccolo ma fondamentale dettaglio che va sottolineato: chi ci ha rimesso più di tutti da questa storia è - contrariamente alle apparenze - Stollsteimer. Non solo infatti si è preso un sacco di botte e sta ancora lì a leccarsi le ferite, ma tutta la pubblicità ricevuta dalla scazzottata di Natale rischia di trasformare i Von Bondies in un fenomeno da baraccone senza che nessuno abbia avuto tempo o voglia di occuparsi della loro musica. Per un gruppo nella delicata posizione dei Von Bondies - al debutto su una major, in procinto di essere oggetto di una campagna di marketing che li trasformerà nell’evento rock del 2004 - sottolineare le proprie radici "reali" è importante quasi quanto le pagine pubbicitarie sull’NME. Basta un secondo per trasformarsi in "fenomeno" (ne sanno qualcosa i Jet, tanto per non fare nomi), quando invece per sopravvivere all’usura c’è bisogno di credibilità, tanta credibilità: credibilità del tipo a prova di polemica. E il fatto che - al contrario - adesso tutto il discorso sui Bondies ruoti attorno ad un pettegolezzo evidentemente non aiuta. Certo: "Ascoltate il disco, veniteci a vedere in concerto" dice Stollsteimer a chi gli fa notare l’impasse. "Vedrete se non c’è sostanza dietro il nostro nome". Ma il punto è un altro: che dietro Pawn Shoppe Heart ci sia della sostanza nessuno l’ha mai messo in discussione. Il disco è difendibile oltre qualsiasi ragionevole dubbio, è tutto quello che ci si aspetta dal rock’n’roll nel 2004: suonare antico senza sembrare congelato in una bolla atemporale, ammiccare senza che diventi una recita scolastica. Il problema sta da un’altra parte, e Stollsteimer lo sa bene. "Siamo una band che ha costruito la propria credibilità sera dopo sera", dice. "E anche adesso, dobbiamo continuare a ragionare come una band il cui consenso ancora cresce concerto dopo concerto". L’episodio di dicembre, invece, ha accellerato vertiginosamente i tempi, forzando la marcia di avvicinamento al pubblico di massa ed associandoli - ma nel peggior modo possibile, quasi come i Bondies fossero i loro antagonisti - alla band rock che meglio di qualunque altra era riuscita a fare il salto dal garage alle prime pagine dei giornali. Dalla scazzottata del Magic Stick i White Stripes ne escono a testa alta; i Von Bondies un po’ meno.

Stollsteimer dal canto suo un po’ fa la vittima e un po’ lo sbruffone: "mi sto riprendendo", dice, "sono una pellaccia!". E il disco nuovo secondo lui - al di là di qualunque polemica con Jack White che aveva prodotto il primo - è nettamente superiore al precedente. "All’inizio non c’era differenza tra come suonavamo su disco e come suonavamo dal vivo", spiega. "Certo: eravamo molto garage e spontanei, molto retró, ma non puoi registrare un disco caricando semplicemente la chitarra di effetti come faresti sul palco. Tutte le recensioni immancabilmente dicevano "oh, dovreste vedere i Von Bondies suonare dal vivo!", che era un po’ un modo gentile per dire che il disco, invece, faceva schifo... Anche se io difenderei Lack Of Communication fino alla morte: ci abbiamo messo tre giorni a registrarlo, è stato praticamente registrato dal vivo, incluse le voci, una canzone dopo l’altra. La differenza con Pawn Shoppe Heart è che il primo disco erano quattro amici che decidono di fare un disco: questo nuovo sono quattro persone che sono arrivate ad avere un loro suono riconoscibile e sono capaci di trasferirlo su un disco". Registrato a Sausalito, vicino a San Francisco, in un periodo di tempo sufficientemente lungo perchè i quattro Bondies facessero in tempo ad acclimatarsi in un ambiente così differente dalla loro Detroit, Pawn Shoppe Heart è stato prodotto da Jerry Harrison dei Talking Heads - anche se nella specifica circostanza gioverebbe forse maggiormente ricordarlo come "Jerry Harrison dei Modern Lovers di Johnatan Ritchman" (un miliardo di anni fa: quando uno scrivere canzoni delicato e quasi folk incontrava il garage e il rock’n’roll). La scelta di Harrison ha una sua obliqua logica, considerando che interrogato sui suoi amori musicali e su con chi gli piacerebbe collaborare Stollsteimer se ne esce con un laconico "tutte le persone con cui vorrei lavorare sono morte" (in dettaglio: "L’ultimo era Screaming Jay Hawkins, che è morto un paio di anni fa. Ah, no, ci sarebbe Eric Burdon degli Animals, lui è un grande. E poi i Sonics, una mia passione da sempre").

Stollsteimer fa davvero ridere, alle volte. Come quando racconta del giorno in cui Seymour Stein, boss della Sire, ha deciso di farli firmare. "Suonavamo ad Amserdam" racconta, "insieme ai Datsuns. Loro aprivano, e c’era un sacco di discografici venuti a sentirli, perchè stavano per firmare con la V2 e l’interesse attorno a loro era enorme. Finito il loro concerto tutti i discografici si sono fiondati in camerino dietro al gruppo. Nessuno è rimasto a sentirci suonare, nessuno tranne Seymour Stein, che subito dopo si è presentato con un contratto pronto per essere firmato. Ehi, lui è la persona che ha messo sotto contratto i Ramones, è uno il cui lavoro è riconoscere il talento quando se lo trova davanti!". Un altro paradosso sul quale Stollsteimer ama soffermarsi è come i Von Bondies siano stati "scoperti" ad Amsterdam, e non invece a Detroit. "Nessuno ha mai firmato un contratto a Detroit. Se sei di New York, di Los Angeles o di Londra non te ne rendi conto: pensi che Detroit sia un posto come gli altri. Ma non è così! Detroit fa spavento: ci saranno due bar in tutto. Quando sento la gente dire "New York è così noiosa in questo periodo" io...io penso che a vivere in certi posti la gente diventa come un bambino viziato. Detroit non è una città rock’n’roll, al massimo è una città rock. C’è una differenza tra rock e rock’n’roll: rock sono i Kiss, rock’n’roll sono i Von Bondies. Il rock è musica per le masse, il rock’n’roll è per chi si sente cool. E comunque vivere in un posto come Detroit ti insegna la filosofia giusta con cui prendere la vita. Impari che nulla è per sempre, che ci saranno sempre nuove scene e nuovi gruppi, che la tua band non sarà mail "la più grande del mondo". Potrà esserlo per un po’, per un anno o due, ma non di più. Tranne un paio di eccezioni - i Cramps, i Radiohead, i Pixies... - non esistono gruppi che ascoltati vent’anni dopo non sembrino ridicoli".

(da: Rumore, marzo 2004)