Money Mark: lo spirito delle persone si infonde nelle macchine
 

di: Fabio De Luca

"I was born in the Sixties" concede, con un crackle della linea telefonica ed una mezza risata, l’enigmatico ex-membro aggiunto dei Beastie Boys alla domanda pettegola ("may I ask you how old are you?") fatta più che altro per cercare di contestualizzare generazionalmente un personaggio che, altrimenti, lascia ben pochi appigli per essere contestualizzato. Narra la leggenda che "Money" Mark Ramos Nishita entrò nella famiglia dei Beastie Boys per puro caso: faceva il carpentiere, in quel momento della sua vita, e la sua ditta lo mandò a casa di Adam Horowitz per costruire alcuni scaffali per i dischi. Immaginiamo il curioso momento in cui la conversazione tra i due si spostò dagli scaffali al loro contenuto. E come brillarono di simpatia gli occhi di Horowitz al sentirgli raccontare di vecchi organi hammond rattoppati nel retrobottega della falegnameria, ed altre storie del genere. Per qualche ragione, però, Money Mark è sempre stato, appunto, un "membro aggiunto" dei Beastie Boys. E viene il sospetto che sia stato più che altro lui stesso a non voler mai il riconoscimento dell’unione di fatto. Nondimeno, chiedere lumi in proposito è fiato sprecato. "I Beastie Boys? Uh, siamo amici, sono in tutti loro dischi da Check Your Head in avanti. Il mio batterista è nella nuova band di Adam Horowitz, BS2000. Io ho suonato nel disco da solo di Mike D. Insomma, ci teniamo in contatto". Diplomaticamente, non molto di più. E nemmeno una parola sulla dipartita dell’etichetta-progetto Grand Royal, se non che si tratta ovviamente di "una grande perdita, sono molto triste per loro: probabilmente non c’era altra soluzione, altrimenti ci avrebbero provato". L’altra domanda pettegola ("perchè i tuoi dischi non sono mai usciti per Grand Royal se eravate così amici con i Beastie Boys?!?") rimane sul foglio di carta e non attraverserà mai l’Oceano. Perchè vien da pensare che - idem come sopra - sia stato lui a non voler più di tanti legami con gli amici newyorkesi. Un solitario da film sulla metropoli americana. Il primo a cui i condomini pensano se nella notte si sente una porta che sbatte o un vetro che si rompe.



Parlandogli viene da pensare anche un’altra cosa: che lui è il classico personaggio di cui fra cinque minuti tutti si saranno dimenticati, e che verrà riscoperto nel 2020 con l’onore e i tappeti rossi che oggi riserviamo, ad esempio, a un David Axelrod. Fatte le debite distinzioni, si capisce. Perchè, anche tralasciando il nuovo Change Is Coming (dignitoso ma non indispensabile compendio di esotismi bluesy-funk) Money Mark ha lasciato ai posteri un paio di operine davvero succose. Snocciolate senza fretta nell’arco di circa sette anni: "sembra sempre che ci metta un sacco a completare un disco, ma la verità è che lavoro sempre a molti progetti contemporaneamente. Mentre registravo Change Is Coming ho lavorato con Yoko Ono, ho scritto una canzone per l’album Supernatural di Santana". Ulp! E com’è lavorare con una leggenda della musica pop? "Anche i Beastie Boys sono leggende della musica pop". Touché... "Comunque c’era questo demo che avevamo fatto insieme ai Dust Brothers, un pezzo pensato proprio per Santana: loro hanno tutti questi agganci con la discografia, sai, e sono riusciti a farglielo avere. Così una mattina alle tre suona il telefono a casa mia, e dall’altra parte c’è questa voce che dice "hello, sono Carlos Santana e sto registrando la tua canzone"". Difficile avere a che fare con il mondo del mainstream? "Credo di essere un essere umano che si adatta alle situazioni". E la totale assenza di voce nel nuovo disco, è una scelta precisa? "Non ci sono vocals ma ci sono musicisti. In passato ho lavorato quasi sempre da solo, stavolta invece ho voluto provare a lavorare con altre persone. Vedere come lo spirito delle persone con cui lavoravo si infondeva nelle macchine con le quali loro ed io lavoravamo". Che è poi il segreto di tutti i migliori momenti di Money Mark (su tutti: lo splendido blues Sometimes You Gonna Make It All Alone sul Third Version EP del 1996), usare macchine semplici e lasciare che una strana deepness si impadronisca di loro. Non è un caso se Steve Jobs in persona (il fondatore della Apple Computers) abbia scelto le note della title-track dal precedente Push The Button per uscire sul palco della convention in Tokyo nella quale presentava al mondo in nuovo PowerBook Titanium, e successivamente anche per la campagna televisiva statunitense. La profondità della macchina, come dire. Chissà se gli hanno almeno mandato un Titanium in regalo. "A dire il vero no", conclude Mark, "ma mi hanno pagato abbastanza per potermi comprare tutti i Titanium che voglio...".

(da: Rumore, dicembre 2001)