White Stripes: i Kraftwerk del 2000?
 

di: Fabio De Luca





"Perchè proprio Elephant? cos’ha Elephant in più rispetto ai precedenti album dei White Stripes?". I fan della prima ora del duo di Detroit non l’hanno presa sportivamente, la faccenda del successo. E fino a prova contraria di successo si tratta: in Inghilterra, nell’aprile 2003, Elephant scalza dalla vetta delle classifiche di vendita i re mida perbenini del punk Linkin Park, e di colpo la domanda dei fan di cui sopra diventa tutt’altro che oziosa. È vero che la formula di Elephant - blues e garage-rock ridotti all’osso e uniti da una feroce attitudine alla sottrazione - è la stessa dei tre album che lo hanno preceduto, ma le ragioni ci sono, eccome. A cominciare da quell’incredibile giro di chitarra-che-sembra-un-basso che apre il singolo Seven Nation Army, diventato pure coro da stadio e qui da noi risuonato perfino nella casa del Grande Fratello. Continuando con l’impeccabile stile geometrico negli abiti e nel look: un incubo di Mondrian, quanto di più vicino al rigore costruttivista dei Kraftwerk si sia mai visto nel pop (c’era chi all’epoca di The Man Machine interpretò quello dei Kraftwerk come una forma di "folk": bene, qui il cerchio si chiude).

Ma facciamo un passo indietro: i White Stripes nascono a Detroit, sono due, Jack White e Meg White, fratello e sorella, rispettivamente voce/chitarra e batteria. Anni fa nientemeno che l’austero Time tirò fuori una storia secondo cui Jack e Meg non sarebbero fratello e sorella come dichiarano ma (ex-)marito e moglie. Qualcuno su Intenet esibì pure il presunto certificato di matrimonio: i diretti interessati non hanno mai confermato né smentito. I White Stripes sono "solo" in due anche dal vivo, anche quando affrontano una folla oceanica come quella del festival di Reading nel 2002. In qualunque occasione tu li possa vedere saranno sempre imperturbabili e persino un filo scocciati.

I White Stripes pubblicano il primo album nel 1999, e non perdono occasione (Jack in particolare) di magnificare il blues delle origini contrapposto all’"immoralità" del pop di oggi. Prima di diventare musicista a tempo pieno Jack White faceva l’apprendista tappezziere nel quartiere spagnolo di Detroit, e i biografi raccontano come fosse solito nascondere - teeenero! - dei bigliettini con delle piccole poesie all’interno dei divani che riparava. Oggi, vantaggi del successo, Jack è fidanzato con l’attrice Renèe Zwelleger ed ha pure avuto una parte neanche tanto marginale (e che gli stava a pennello: faceva il cowboy cantastorie) nel polpettone Ritorno a Cold Mountain di Anthony Minghella. E i White Stripes - con quella quasi inconsapevole attitudine funk che li contraddistingue - sono alla testa di un piccolo nucleo di band che sta traghettando il pubblico fino a ieri appassionato dell’elettronica da club di nuovo tra le braccia del rock (esattamente come sei/sette anni fa Fatboy Slim e i Chemical Brothers traghettarono il pubblico del rock verso i rave).

E’ la nuova rivoluzione rock, che sogna il futuro guardandosi indietro: The Strokes da New York riprendono la tradizione decadente e romantica di Lou Reed e Television; i Von Bondies da Detroit sono la reincarnazione di una qualsiasi band garage-rock del 1966; The Hives dalla Svezia hanno le migliori giacche viste da anni su un palcoscenico; The Libertines (già ribattezzati "nuovi Clash") portano avanti la tradizione del rock inglese di strada, mentre i Franz Ferdinand ci mettono quel tocco di intellettualità con il quale non si sbaglia mai. A tutti loro, grazie di esistere.

(da: Rolling Stone: i 50 momenti rock, dicembre 2004)




(Pssst. Ehi! Cercavi il libro definitivo sulla vita e le opere dei White Stripes? magari in italiano?!? eccolo...)