David Holmes: una vita per il cinema
 

di: Fabio De Luca




Potrebbe tranquillamente fare l’attore. Tra l’altro una naturale somiglianza con l’ex testa di ponte del brat-pack statunitense Kiefer Sutherland già ce l’ha. E non è nemmeno escluso che non decida di farlo, un giorno o l’altro. Ma David Holmes è soprattutto un appassionato di musica. Un dj innanzitutto, poi autore di dischi techno molto dilatati e "cinematografici"; quindi, da qualche anno, autore di colonne sonore prediletto da Steven Soderbergh e George Clooney. Sue le musiche di Out Of Sight e Ocean’s Eleven: l’ex mod irlandese è ormai di casa a Los Angeles, ma inutile dire che sotto sotto non è poi così tanto cambiato. L’unico nanosecondo in cui il cotè hollywoodiano prende il sopravvento nella mezz’ora di conversazione è quando dice "ho chiamato George per dirgli..." e il George in questione - intuisci un attimo dopo - è George Clooney (che dirigerà e interpreterà Confessions Of A Dangerous Mind, nuovo blockbuster di prossima realizzazione di cui Holmes curerà ovviamente la colonna sonora). E più che di suites all’Hilton e ricevimenti su Sunset Stripe i suoi occhi brillano quando ti racconta di come, per la registrazione di Ocean’s Eleven, abbia lavorato con il sassofonista di Sly Stone (Steve Tavaglione) ed un altro bel po’ di turnisti del vecchio funk classico, "gente che ti lascia a bocca aperta per la sua bravura". Da qualche settimana è nei negozi un suo nuovo mix-album - Come Get It, I Got It - dove le creazioni originali del suo nuovo progetto Free Association si confondono con oscure perle psycho-soul...


In un certo senso tutto è cominciato da quell’Essential Mix che hai pubblicato circa quattro anni fa. Tu eri un dj techno, ma tutt’a un tratto ti sei messo a suonare oscuri pezzi soul e r’n’b che nessuno conosceva, e che spesso non erano poi nemmeno così ballabili...

E’ una cosa... è una cosa che è venuta dal cuore. Non era per fare qualcosa di cool, nè tantomeno per stupire gli altri djs. L’unica vera motivazione era il far conoscere della musica che reputavo eccezionale ad un pubblico più vasto. In particolare quell’Essential Mix, essendo nato da un set di due ore fatto per una trasmissione radiofonica, non era vincolato sterramente a "far ballare" la gente, anche se ovviamente il programma della BBC all’interno del quale è andato in onda era un programma dance. Quindi mi sono concentrato di più su musica che la gente potesse provare piacere ad ascoltare: magari anche musica che non avesse mai sentito prima, perchè no? So che può suonare come il classico stereotipo da dj, ma l’idea era veramente quella di portare la gente lungo un "viaggio" lungo due ore. A dirti il vero non è che mi sia soffermato troppo ad analizzare quello che stavo facendo mentre preparavo quell’Essential Mix: per me è stata una cosa estremamente spontanea, su cui poi in molti evidentemente hanno riflettuto.

Quindi non era una presa di posizione "polemica" nei confronti della musica dance di quel momento?

Ad essere onesto... si e no. In effetti in quel momento la musica dance che circolava non è che mi ispirasse particolarmente, non la trovavo eccitante, non muoveva nessuna delle mie corde. Il vantaggio è che ho sempre ascoltato generi diversissimi di musica, e questo adesso tornava a mio vantaggio, capisci cosa voglio dire?

Perfettamente.

Quello che ho fatto è stato semplicemente seguire il mio istinto, il mio cuore, e cercare con molta onestà di essere un artista. Spesso si fa fatica a considerare il dj un artista, soprattutto perchè ci sono in giro molti djs mediocri. Per me è stata un questione di onestà, soprattutto verso me stesso: ero in una posizione vantaggiosa, avrei potuto continuare a girare il mondo suonando techno come stavo facendo, e continuare a fare un sacco di soldi. Ho scelto di fare qualcosa di diverso, ciò che sentivo di dover fare, ed è stata una scelta estrema, per certi versi.

Infatti: ci saranno state delle situazioni surreali, immagino. Circolano racconti di promoter che ti bookavano per un club techno e tu che ti presentavi solo con una valigetta di sette pollici northern soul...

E’ vero, è vero: è realmente successo. La cosa bella è che - ok, certe volte è stato un disastro totale, con la gente che fischiava e tirava monetine - ma altre volte invece è stato un insperato successo, e comunque c’era sempre una reazione da parte della gente, cosa che non si era più abituati a vedere nei club da un sacco di tempo.

Certo che, al di là della bellezza del gesto "punk", arrivare in un club techno con una valigia di northern soul è un po’ da bastardi...

Ma loro lo sapevano. Io mi sono comportato molto onestamente: ogni volta che qualche promoter o qualche locale mi chiamava per un booking, io specificavo che in quel momento suonavo altre cose, o che per lo meno non suonavo solo techno...

In quel momento una canzone come California Soul di Marlena Shaw è diventata una sorta di "marchio di fabbrica" dei tuoi dj-set e del tuo stile...

Si, capita ancora adesso che la gente me la chieda. Ma, vedi, California Soul è esattamente emblematica di quello che intendevo fare allora con la musica. Da sempre chi suonava rare-grooves ha avuto questo atteggiamento difensivo, per cui se scoprivano un vecchio disco di valore volevano possederlo soltanto loro: per me era l’esatto contrario, la mia intenzione era di portare delle gemme nascoste come Californa Soul ad essere conosciute dal maggior numero di persone, perchè... hey, perchè ne valeva la pena, no? California Soul è una canzone splendida, ed è giusto che più gente possibile possa ascoltarla. Ci sono un sacco di ragazzi che non hanno i soldi per collezionare gli originali del northern-soul, ma non per questo devono essere tagliati fuori.

Tra l’altro questa era esattamente la musica che ascoltavi quando eri un ragazzino, giusto?

Si, questa è la musica con cui sono cresciuto. Ero un mod, a Belfast, un mod hardcore...

Ti sei trovato in mezzo a scazzottate?

Oh, non puoi capire quante volte... Anche se era la musica che mi interessava più di tutto: avevo anche messo su una fanzine di musica mod, Psychotic Reaction...

E’ vero che hai iniziato a fare il dj nel più comune dei modi: andavi sempre in un club, una sera il dj non si è presentato e il padrone del posto ti ha chiesto di prendere il suo posto, e poi è andata così bene che hai continuato...

Si, anche perchè in quel posto - a differenza di quanto succede oggi nei club - i dischi erano già lì, e il dj si portava solo queli due o tre pezzi rari o strani che aveva solo lui. Io avevo una buona conoscenza dei dischi ed anche una collezione mia, dunque mi sono trovato bene da subito.

Quanti anni avevi?

Quindici.

Quanti ne hai adesso?

Trentatre.

Un’altra leggenda che ti riguarda risale alle origini dell’house music, metà anni Ottanta: si tramanda che in quel momento tua madre per ragioni di lavoro andasse spesso a Chicago, e che tu le chiedessi di portarti dei dischi, e alla fine lei aveva cominciato a conoscere tutti i migliori negozietti in cui si smerciava la prima house, e ogni volta tornava da te con delle white-label pazzesche...

Non è del tutto vero... cioè, si, lei andava a Chicago perchè una delle mie sorella abitava là, e lei ogni tanto andava a trovarla, e in effetti una o due volte l’ho chiamata mentre era a Chicago per chiederle di portarmi dei dischi, e tutte le volte è tornata con una quarantina di white-labels che qui erano completamente sconosciute... fantastico, no?

Beh, soprattutto un buon modo per risolvere il contrasto tra due diverse generazioni...

Oh, su quello non c’erano davvero problemi. Sono stato il più giovane di dieci tra fratelli e sorelle, e dunque prima di me mia madre aveva già visto praticamente qualunque tipo di ribellione adolescenziale o sottocultura alternativa... Credo che il fatto che facessi il dj ed ascoltassi house-music non potesse davvero stupirla più di quanto aveva visto fino ad allora.

Hai fatto pace con la dance-music rispetto a quattro anni fa? Ci sono in giro cose che ti piacciono, oggi?

C’è molta musica interessante in giro, oggi, e credo che buona parte del merito sia da attribuire al revival degli anni Ottanta che stiamo attraversando. Sto sentendo molte cose ispirate ai primi New Order o all’electro delle origini, e devo dire che mi piacciono. Gli anni Ottanta sono stati il momento in cui molte persone - me incluso - hanno cominciato ad interessarsi alla musica dance, e la dance in quel momento era piena di energia, di motivazione, ed è un qualcosa che evidentemente arriva fino ad oggi.

Fra l’altro era un tipo di dance basata sulle "canzoni" molto più che sul suono puro e semplice.

Si, ed è esattamente quello che oggi trovi nei dischi della International Deejay Gigolo, ad esempio. Tra l’altro, c’è il disco di questa band italiana... Jolly Music?

Porca miseria, certo: Jolly Music da Roma!

Il loro disco è un perfetto esempio di questo, assolutamente brillante. Me l’ha fatto conoscere Andrew Weatherall, lui ha questo negozio di dischi on-line e gli passano per le mani una quantità incredibile di dischi strani e interessanti.

Ho letto in un intervista che ti piacciono anche questi The Rapture di New York...

Li conosci?

Ho trovato solo un 12" a Londra, ma sembrano pazzeschi: la voce di un James White giovane su basi techno-funky... Li hai mai visti dal vivo?

No, ma tutti quelli che li hanno visti dicono che siano impressionanti. Li ho conosciuti perchè i tipi che li producono, Tim Goldsworthy e James Murphy, avevano lavorato con me anni fa a Bow Down To The Sign [Tim Goldsworthy è stato anche co-fondatore insieme a James Lavelle degli U.N.K.L.E.: ndr]. C’è un grosso hype attorno a loro, al momento.

Riguardo invece il progetto Free Association: è al 100% basato su campionamenti come sembra ad ascoltare le tracce su Come Get It?

In realtà no, cioè... le tracce su Come Get It in effetti si, lo sono. Ma stiamo sviluppando il progetto per partire sempre più da musica totalmente originale. Il prossimo 11 maggio partirò per Los Angeles dove registreremo con lo stesso team di musicisti con i quali abbiamo lavorato alla colonna sonora di Ocean’s Eleven: mi interessa molto provare a far interagire in studio dei fiati veri, delle tastiere vere con le tecniche di registrazione software che ho sempre utilizzato io per comporre musica.

Hai già idea di quello che potrebbe venirne fuori?

In parte si, credo ci siano delle grandi potenzialità in questo progetto.

La cosa strana ascoltando Come Get It senza seguire la tracklist del cd è che è quasi impossibile distinguere le tracce originali composte da te dai rare groove che hai tirato fuori dal tuo archivio di vecchi dischi...

Questa era esattamente l’intenzione. La cosa strana è che in origine su Come Get It non era previsto ci dovessero essere pezzi scritti da me: il progetto Free Association, in effetti, è nato per riempire i buchi di Come Get It. All’inizio doveva essere un mix-album tipo l’Essential Selection di quattro anni fa, ma tutto interamente di vecchio soul psichedelico ed r’n’b. Ho tirato giù una tracklist di cento pezzi che avrei voluto inserire, ma di ottantaquattro di quei pezzi la casa discografica non è riuscita - nemmeno dopo un anno di lavoro - a risalire a che fosse il detentore dei diritti per la pubblicazione. Quindi ci siamo trovati con un album che da doppio è diventato singolo, e per di più pieno solo per due terzi rispetto a quello che avevamo in testa... ed è stato a questo punto che abbiamo pensato al progetto Free Association, recuperando dei demo da uno-due minuti a cui stavamo lavorando, ed utilizzandoli come collante tra le diverse tracce. In realtà un po’ mi dispiace aver dovuto dire che c’ero io dietro il progetto Free Association, perchè mi divertiva l’idea di certi collezionisti di rare-grooves che - anche se già avevano tutti i pezzi contenuti nell’album - sarebbero impazziti perchè i pezzi di Free Association non stavano da nessuna parte...

Sei tu da solo dietro il nome Free Association?

No, sono io insieme a Stephen Hilton.

L’ultima domanda: prima di Ocean’s Eleven, prima di Out Of Sight, come è successo che la tua strada si incrociasse con quella di Hollywood?

Ho sempre espresso, in tutte le occasioni possibili, il mio profondo desiderio di poter lavorare a delle musiche da film. E questo sin dall’inizio, sin da quando lavoravo ai miei dischi. Tutti i miei dischi sono stati, per certi versi, dei dischi con una forte componente cinematografica. Anni fa ho lavorato alla colonna sonora di un film per la televisione irlandese, che è stato uno schifo, ma mi è servito per imparare le basi dell’interazione tra musica ed immagini. Poi ho fatto la colonna sonora di un film intitolato Resurrection Man per Polygram Films. Quindi, poco dopo l’uscita del mio album Let’s Get Killed, delle persone di una compagnia cinematografica di Los Angeles che avevano sentito il disco hanno deciso di contattarmi per la colonna sonora di Rainy Day: Invece è successo che un’altra delle priorità cui stavano lavorando in quel momento fosse Out Of Sight, e che il regista del film Steven Soderbergh dopo aver sentito da loro Let’s Get Killed abbia espressamente chiesto di lavorare insieme a me per la colonna sonora... E’ stato a quel punto che tutto il lavoro fatto fino ad allora ha avuto un senso: quando ho accettato l’incarico per Out Of Sight era realmente "pronto", mi sentivo perfettamente in grado di affrontarlo. E lavorare ad Out Of Sight mi ha insegnato altre cose e reso più sicuro, così che quando - anni dopo - ho sentito del progetto Ocean’s Eleven ho chiamato Steven Soderbergh e gli ho detto "Steven, voglio fare Ocean’s Eleven", e lui ha risposto "stavo appunto pensando a te per il film".

Quindi la morale è?

La morale è "se non chiedi, non avrai mai niente"...

(da: Rumore, maggio 2002)