Art Brut: "abbiamo formato una band"
 

di: Fabio De Luca




Al Plastic sarà più o meno l’una di notte. E’ venerdì sera, e come tutti i venerdì sera da ormai più di un anno, al grido di "London Loves" il Plastic diventa una sorta di pacifica colonia londinese in terra italiana. La frase "non sembra nemmeno di stare a Milano" - per definizione pronunciata dai residenti nel capoluogo lombardo con tono di sollievo misto a soddisfazione - presenta in questo caso una sfumatura di reale e tangibile incredulità ai propri occhi. Non sembra veramente di stare a Milano. E non è solamente una questione di abbigliamento: piuttosto, è come se per qualche repentina mutazione genetica persino la morfologia degli avventori del venerdì si modellasse su quella dei tipi umani che si incontrano negli indie-club londinesi. Perchè ok le Fred Perry e ok le giacchine di pelle tipo Oxfam, ma di mascelle venticinquenni così spigolose, e di epidermidi femminili così sapientemente decorate da efelidi, in giro per via Della Spiga e Buenos Aires non è che abitualmente se ne vedano molte, no? Ok, irrisolto il mistero di dove si nasconda il pubblico di "London Loves" nelle altre sei sere della settimana, veniamo alla musica. Stasera la band ospite sono gli Art Brut da South London. Sono giovani e - almeno su disco - sembrano di gran lunga i migliori di tutta l’ondata neo-britpop dell’ultimo anno e mezzo. Anzi: a dire il vero, su disco non sembrano neanche particolarmente inglesi. Le radici sembrano più nella New York appena precedente l’esplosione ’77-punk, in quel suono scarno, rudimentale e capace di generare canzoni veloci e memorabili come furono ad esempio quelle dei Voidoids di Richard Hell (l’uomo al quale - si dice - Malcolm McLaren "rubò" l’idea attorno alla cui matrice costruì poi i Sex Pistols).

Che la radice newyorkese fosse un abbaglio lo si capisce un secondo esatto dopo che gli Art Brut sono saliti sul palco. Lo si capisce per due ottime ragioni: perché due di loro sembrano appena usciti dai Green Day (e nessuno il cui look somiglia anche solo lontanamente a quello dei Green Day potrà mai condividere la sublime, severa asciuttezza dei Voidoids di Richard Hell), e perché la prima cosa che attaccano appena saliti sul palco è Back In Black degli AC/DC. Che è un inizio "ironico", cerrrrto, tongue in cheek come dicono gli inglesi. Però, ugualmente: nessuno che inizi un concerto con Back In Black potrà mai... etc etc etc. Eddie Argos - il cantante, famoso per dichiarare nelle interviste "io non so cantare" - è cicciottello, ha gli occhi fissi e spiritati di uno che vuole convincerci di essersi fatto chissà quale droga (quando al massimo avrà ingoiato due Aulin e una pinta di troppo), veste con la ricercatezza domenicale di un agricoltore del primo dopoguerra e, realmente, non sa cantare. Però se la cava. Ha una voce "parlata" e curiosamente gutturale che ben si sposa con la sua aria ansiogena e gli occhi sbarrati. Dopo l’ironico inzio attaccano con il loro singolo, Formed A Band, quello che apre anche l’album Bang Bang Rock & Roll. Più che un semplice singolo, in realtà, un vero e proprio manifesto: "abbiamo formato una band/guardateci/abbiamo formato una band". Sarà la cosa che ripeteranno più volte anche durante il concerto: "uscite, formate delle band". Chissà quanto per posa e quanto per reale condivisione dell’attitudine DIY. E va comunque detto che, di tutta l’ultima generazione di band inglesi, gli Art Brut sono gli unici che a sentirli ti fanno realmente venir voglia di prendere una chitarra, telefonare a due amici e - appunto - formare una band.

A proposito: e nel loro caso com’è andata? Beh, innanzitutto c’era lo spiritato Argos che a Bournemouth (Sud dell’Inghilterra) aveva formato una prima band, The Art Goblins, influenzata dal rock gotico e da - incredibile ma vero - Jonathan Richman. Trasferito a Londra in cerca di maggior fortuna, Argos gira per feste e negozi di dischi come avesse il corpo ricoperto di carta moschicida. La tecnica funziona: un bel po’ di tipi strani gli rimangono appiccicati addosso ed entrano nella band. Che poi la formazione degli Art Brut sia una nozione particolarmente fluida (già diverse sono state le sostituzioni dall’inizio, e da quando hanno suonato a Milano ai primi di ottobre pare ci siano stati già altri cambiamenti) è ovviamente un altro discorso. La cosa che conta per Argos è il risultato finale. Il modo in cui mesi fa descrisse al quotidiano inglese The Guardian di una sua visita al Van Gogh Museum di Amsterdam probabilmente la dice lunga anche su ciò che lui vuole dalla propria band (e anche dell’amore per Jonathan Richman, uno dei cui pezzi più celebri si intitola proprio Vincent Van Gogh): "Adoro il modo in cui Van Gogh mette l’espressione prima della tecnica. Penso sia grandioso da qualunque parte lo si guardi. Van Gogh è il più grande di tutti i tempi". A differenza di Van Gogh, però, il sogno che ha messo in moto tutto quanto per Argos è quello di finire a Top Of The Pops. Sogno non ancora realizzato, ma chissà. E invece: il fatto che sia Formed A Band degli Art Brut che Do You Want To dei Franz Ferdinand presentino un qualche grado di parentela con My Sharona dei Knack (al punto che uno potrebbe scambiare le rispettive linee vocali con le basi strumentali) dovrebbe forse suggerirci qualcosa circa il momento storico che stiamo vivendo o almeno su quanto la storia si sta avvitando su sé stessa? (Ok, ok, basta con ’ste cazzate: formiamo una band e finita lì).

(da: Hot, dicembre 2005)




Art Brut
Bang Bang Rock’n’Roll
(Fierce Panda/Goodfellas)
voto: 4,5/5

"Il mio fratellino ha appena scoperto il rock’n’roll" cantano gli Art Brut da South London, subito dopo il singolo nel quale dichiarano programmaticamente "abbiamo formato una band". E tanto basta, si direbbe. Abbastanza ovvio che non di esercizi di memoria si parla, qui, nè di categorie del quieto ragionare di musica, ma di incredule repentine intuizioni, di immediatezza bruciante contro la quale non c’è cura se non il farsi consumare. Abbiamo scoperto il rock’n’roll, abbiamo formato una band, eccoci qui: punto. E adesso, mentre noi ci si mette bravi & belli a ragionare su come ogni singolo minuto dei trentadue che dura Bang Bang Rock & Roll sembri una sublime variazione sul tema di Love Comes In Spurts (Richard Hell & The Voidoids, New York 1976), gli Art Brut nel frattempo sono già lontani, hanno già rimorchiato due o tre ragazze, hanno già fatto cinque o sei concerti e magari si sono già sciolti. E noi ancora qui a parlare, a scrivere. Se un merito hanno gli Art Brut rispetto alla media delle band del nuovo-britpop è che fanno realmente venir voglia di mandare a quel paese le chiacchiere e formare una band con il basso, la chitarra, la batteria e finita lì. Chissà: magari davvero non è mai troppo tardi. [Fabio De Luca]

(da: La Repubblica XL, ottobre 2005)