A way of life Pare che Bruce Springsteen - sì, quel Bruce Springsteen - chiuda i concerti dell’attuale tour acustico, quello che passa anche per l'Italia tra una decina di giorni, con una cover di Dream Baby Dream dei Suicide. |
Episodio II: l’attacco dei cloni Dopo una lunga, lunga notte che pareva uscita dalla facciata B di Hatful Of Hollow, stamattina apro la posta e trovo la seguente mail di Cris: «...ieri sono stato alla presentazione di Trax ai Magazzini. Ho visto un tipo che ti assomigliava come una goccia d'acqua, allora l'ho fermato e gli ho chiesto se eri tu, ma lui ha detto di non essere te. Poi l'ho visto sul palco con gli altri giornalisti e diggei. Sei sicuro che non eri tu?»
Ecco, dopo l’omonimo mi ci mancava solo il sosia... Tra l'altro, non più tardi di tre giorni fa, mi hanno detto che sono “una goccia d'acqua” con il direttore marketing dell'IED.
UPDATE! Oggi, sempre da Cris: «Forse ho capito con chi ti ho confuso: Giancarlo Mosconi, responsabile pr e stampa dei Magazzini Generali! Con gli occhiali a montatura spessa e in penombra sembravi proprio tu. Poi ho trovato anche una foto di Filippo Manetti, il direttore Marketing dello IED...». Vabbé: Mosconi, Manetti... io stasera vado ai Magazzini, che c’è Tiga e c’è anche De Gennaro. Arrivo tardi perchè prima vado al Plastic che ci sono i Departure* (*misconosciuta band inglese esordiente che ha fatto un disco molto noioso, ma secondo me diventano famosi). Se ci siete anche voi magari facciamo un confronto all’americana e stabiliamo una volta per tutti chi assomiglia a chi... |
“Tranquilla signora Bingenheimer, suo figlio sta bene” Mica per altro: Rodney Bingenheimer è il classico soggetto da “coccodrillo di internet”, uno di quei nomi (sul genere di Greg Shaw, per dire) che se li leggi su qualche blog americano, tipo Metafilter, vuol dire che due o tre giorni fa, neanche il giorno stesso, hanno lasciato questa valle di lacrime. Invece Rodney Bingenheimer è vivo e sta bene, e tra un attimo vi si dice anche qual’è la notizia che lo ha riportato alla ribalta. Prima però un po’ di Wikipedia de noantri: così, tanto per contestualizzare. Rodney Bingenheimer è una sorta di anello di congiunzione (anche fisiognomico) tra Lester Bangs e John Peel. A metà anni Settanta ha iniziato un radio-show (ancora oggi in onda) su KROQ di Los Angeles, Rodney On The Roq, dove hanno avuto il loro primo airplay statunitense un sacco di band europee punk e new-wave e dove hanno debuttato praticamente tutte le band californiane poi divenute famose durante il paisley revival di metà anni Ottanta (un nome su tutti: le supergnocche Bangles), oltre a tutta la punkeria californiana di Circle Jerk, Agent Orange etc. Qualche mese fa negli Usa è addirittura uscito un film che racconta la sua storia. E molti, molti, molti anni fa, quando ero ancora troppo giovane per cogliere l’importanza del personaggio, credo anche di averlo conosciuto, a un Independent Music Meeting di Firenze. Dico “credo” perchè ero sicuro di averlo conosciuto, però poi - tempo fa - parlando con persone che bazzicavano l’IMM in quegli stessi anni è venuto fuori che nessuno si ricordava di una visita di Rodney Bingenheimer, quindi probabilmente A) qualche mitomane americano mi ha menato per il naso, oppure B) mi hanno presentato qualche misconosciuto dj radiofonico californiano e io col mio inglese fresco di liceo mi sono creduto che fosse Bingenheimer.
Comunque: la notizia è che un gruppo di entusiasti sta cercando di far assegnare anche a Rodney Bingenheimer una “stella” sulla famosa Walk Of Fame di Hollywood. A quanto pare il comitato che presiede l’assegnazione delle stelle sulla Walk Of Fame sarebbe anche d’accordo a inserire Rodney, il problema è che stella e relativa cerimonia d’insediamento costano 15.000 dollari. Gli entusiasti di cui sopra fanno sapere che «it is not imperative for you to contribute», però, certo, sarebbe molto apprezzato. C’è tempo fino al 31 maggio, e se per caso la cifra non venisse raggiunta tutti i soldi raccolti verranno comunque conservati per riprovarci il prossimo anno...
(Segnalazione trovata, di tutti i posti al mondo, sulla pagina delle news del sito di Boyd Rice/Nøn...) |
Scuola Radio Elettra Tralasciando gli ovvi problemi di Siae, se un dj-blogger (uno a caso) nonchè Mac-user volesse trasmettere in streaming Real Audio una propria serata live, un cavetto stereo che esce dal mixer ed entra nel computer insomma, che cosa - partendo proprio da zero, cioè dai software da caricare sul computer, spazi in rete a cui appoggiarsi, etc. - dovrebbe fare?
(ok, bisogna che il locale abbia una connessione internet veloce, fin lì ci ero arrivato anch’io...) |
“between Vic and Jean-Luc Godard...” Essendo gonzo - ma sfortunatamente non nell’accezione resa celebre da Hunter S. Thompson - sono arrivato al concerto dei Nouvelle Vague quando sopra alle teste del gentile pubblico semiadolescente stava ormai galleggiando Love Will Tear Us Apart. Che dopo aver letto il fon-da-men-ta-le pezzo di Sean O’Hagan sul Guardian di tre giorni fa («Most great songs attain a life of their own once released into the world, but Love Will Tear Us Apart is the exception to the rule: it belongs exclusively to Joy Division and to Ian Curtis, even if he could not ultimately carry its weight.»: ne ha parlato anche Polaroid ieri) era un po’ come iscriversi al partito socialista la mattina dopo l’inizio di mani pulite. Ma comunque.
Perdute dunque le versioni inedite di Human Fly dei Cramps e Bizarre Love Triangle dei New Order, più tutto il cucuzzaro che invece già si conosceva dal disco; sentita una curiosa Bela Lugosi Is Dead dei Bauhaus (che contrariamente all’abituale modus operandi nouvellevagueiano non cancellava l’originaria venatura dark ma, anzi, la cavalcava fino in fondo) e una Just Can’t Get Enough che tentava forse di essere brechtiana/Dresden Dolls, ma l’effetto era quello di certi vecchi sketch di Raimondo Vianello epoca Tante Scuse. Ma sopratutto: sentita una Dance With Me che ha generato nel capanello degli ottuagenari - capitanati dal sottoscritto e dal papa laico cascinotto Fred Ventura - una specie di tombola della memoria per ricordarsi chi mai l’avesse cantata in originale, e chi diceva i Danse Society e chi diceva i Lotus Eaters e chi diceva «cazzo, ce l’ho sulla punta della lingua», finchè un giro di gùgòl più tardi non è venuto fuori che invece erano i Lords Of The New Church - coro di «ah!» via sms - rendendo così evidente una volta di più la profonda, viscerale, insostituibile natura di “gioco di società” dell’esperienza-Nouvelle Vague.
Poi, che fossero assai meno rifiniti e slurpatini rispetto al disco a me non è dispiaciuto. Temevo in realtà il contrario, visto che al di là della curiosità iniziale e del gioco di società, la formula “vecchia filologia new wave in chiave bossanova” è in realtà un implacabile - per quanto pittoresco - schiacciasassi. Invece quel po’ che ho sentito era talmente poveristico, talmente sputacchiante la glassa elettronica, talmente improbabili le due sciampiste vocalist - ancorchè in un’ottica j’adore le genre français decisamente materassabili, quella alla sinistra del palco per lo meno - da essere più simpatico che preoccupante. Qualora abitiate a Roma, Bologna o Torino, potrete toccare con mano di qui al weekend.
UPDATE: per gentile concessione di Sant’Limewire (mica per altro: il mio vinile originale abita in una casa a qualche centinaio di chilometri da qui) ecco l’originale di Dance With Me dei Lords Of The New Church, in tutto il suo - oggi forse incomprensibile - splendore di “risposta dark ai Duran Duran”. Quel sax verso la fine del pezzo oggi glielo si accartoccerebbe a mo’ di lattina della Pepsi, ma allora (1983, se non ricordo male) faceva molto “international” e “saper vivere”... |
Give me a call when you’re gonna update your f***ing blog Qualche aggiornamento nella colonna di sinistra e un molto primaverile (quasi pre-estivo) dj-set in quella di destra, giusto perchè non si pensi che qui si sta con le mani in mano. |
We didn’t call it “blog” at that time/7 Primo Maggio. Piovuto per tutta l'esatta durata del concerto (dalle quattro del pomeriggio alle undici e mezza di sera). Conosciuto Jim Kerr dei Simple Minds: è bassino ed ha un gusto nel vestire che è difficile non definire pessimo (scarpe e pantaloni di un colore come ci avesse spalmato sopra un’intera scatola di marron glace e poi ci avesse fatto pisciare il gatto). Però sembra simpatico, oltre che ormai realmente al di là di tutte le palle sull'essere o meno una star. Certo, fa un po’ effetto pensare che questo è l’uomo che cantava Love Song e Boys From Brazil («champagne, desert shores...»). Ma in fondo, no?, era tanto tempo fa. Nella pausa tecnica della diretta, attorno alle 20, messo i dischi di fronte ad una platea di quasi quattrocentomila persone urlanti e bagnate, che però sembravano divertirsi. Che ci fosse una platea davanti l’ho realizzato solo quando ho sollevato quasi per caso la testa dopo aver mixato i Run Dmc con Here comes the hotstepper; troppo concentrato su quello che stavo facendo per essere stupefatto, però una bella sensazione. Spettacolo radiofonico carino anche se meno bello dell’inarrivabile edizione dello scorso anno, e sopratutto ci siamo divertiti. Dopo il bailamme andati tutti come da tradizione del post-diretta del primo maggio a casa del Pranello per la consueta cena “in cui si dice cosa si sarebbe potuto fare meglio”. Rivisto me stesso in tv in una replica notturna dei concerti del pomeriggio. Rivisti gli altri che rivedevano sé stessi nella medesima replica notturna. Andato a dormire tardissimo e stanchissimo (ma di umore non pessimo). (venerdì 1 maggio 1998)
[Uhmm, quindi oggi fanno sette anni esatti che “conosco” Jim Kerr... ma a parte questo, il presente frammento di blog prima che lo si chiamasse blog lo si è ritirato fuori soprattutto perchè qualcuno non lo si è mai ringraziato abbastanza (e pure la sua signora) per le consuete cene post-piazza in via Cutilia...] |
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