Coldcut: "é imprevedible quello che succede quando il suono incontra la vita"
 

di: Fabio De Luca




Manca poco più di una settimana a Natale, e a Londra è una bellissima ed insolitamente calda giornata di sole. Solo che anziché godersela Matt Black - uno dei due Coldcut, evidentemente quello più propenso a rovinarsi la vita ed a rovinarla a quanti gli stanno attorno - guarda il cielo con apprensione e conclude che, più o meno, la fine è vicina. "Non è normale, questo tempo in questa stagione", dice: "è quello che gli americani chiamano SNAFU". Cioè "Situation Normal All Fucked Up", cioè situazione normale andata a quel paese. Matt Black sospira, ed a guardarlo capisci perchè vent’anni fa ha scelto come pseudonimo "Matt Black", che all’epoca era il colore più alla moda di tutti, il "nero totale", assolutamente senza riflessi e senza sfumature, con cui venivano fatte le copertine delle agende Filofax e le impugnature dei rasoi Braun. Un colore che comunicava personalità ma che al tempo stesso si mimetizzava perfettamente nell’ambiente urbano. Se si vuole questo è esattamente il risultato auspicato da Black e dal suo socio Johnatan More quando, una dozzina di anni fa, affascinati da certi filmetti e cartoon provenienti dal Giappone fondarono l’etichetta poi passata alla storia con il nome di Ninja Tune. Nata al seguito dell’ondata trip-hop e poi esplosa nei mille rivoli incandescenti del "future sound of jazz", Ninja Tune giocava con la nozione di "invisibilità" ai radar dell’industria musicale come con quella di agilità e pericolosità: esattamente come i guerrieri ninja alla cui estetica si ispirava. Quando decisero di crearla (con la più classica delle motivazioni: avere il controllo totale sulla musica che producevano) Matt e Johnatan erano in realtà dentro quella fase in cui la gente normale decide di smettere. Ex-stelle del pop con un paio di numeri uno in classifica, ex-protagonisti della prima scena musicale "house" londinese, ex-innovatori della musica del Ventesimo Secolo.

"That was a journey into sound, ah ah ah!" scherza Matt Black facendo il verso al campionamento che li ha resi celebri, quello che apriva il remix di Paid In Full di Eric B & Rakim (1987), un remix che ormai tutti considerano l’archetipo della nozione moderna di remix (dentro c’era anche quel frammento che avrebbe poi lanciato, qui in Occidente, la cantante yemenita Ofra Haza). Nello stesso periodo i Coldcut finivano primi in classifica con People Hold On (alla voce Lisa Stansfield) e Doctorin’ The House (alla voce Yazz), e prima ancora c’erano stati un paio di 12" di puro cut-and-paste anarcoide che anticipavano la nozione di "campionamento" in un epoca in cui la consuetudine era il tasto "pause" del registratore a cassetta e l’Akai un miracolo ancora di là da venire. Da allora ad oggi - lo scorso gennaio è uscito un nuovo album intitolato Sound Mirrors, bellissimo, con un tocco quasi "beatlesiano" in alcune delle canzoni - i Coldcut hanno prodotto album di concitata sperimentazione ritmica ed hanno lavorato, creando anche software specifici come il celebre VJAMM, al rapporto che lega audio ed immagine. "Il suono contiene già in sé l’immagine" dice Matt, "le forme d’onda ad esempio sono già un’installazione visuale bellissima". Nozione, quella di relazione tra suono e immagine, che implicitamente ritorna anche nel titolo del nuovo album. Al cui proposito: il "mirrors" andrà inteso come un sostantivo ("specchi sonori") o come un verbo ("il suono riflette")? "E’ indifferente" risponde Matt: "però se fosse un verbo la frase completa potrebbe essere "il suono riflette la vita". Perchè gli esseri umani già sono per natura unità multimediali, hanno gli occhi e le orecchie. Però il suono rimane la parte più importante. Il bambino prima di nascere basa il suo rapporto col mondo esterno sui suoni che percepisce, quindi il suono viene prima, già da allora".

Matt cita il suo socio Jonathan che in un’intervista il giorno prima diceva che spingersi in avanti nel campo della musica elettronica è come la lunghezza delle minigonne: c’è un limite all’innovazione, c’è una lunghezza raggiunta la quale non puoi accorciare ancora, non puoi inventarti nulla di nuovo. "Però una salvezza c’è: e la salvezza sta nel fatto che ogni nuova generazione reinterpreterà tutto quello che è successo fino a quel momento e lo farà con mezzi tecnologici sempre più avanzati, e così creerà qualcosa di sempre nuovo. Il principio magari rimarrà lo stesso, quello del cut’n’paste, cioè trovare dei frammenti significativi e metterli insieme all’interno di una sorta di "cornice", ma la creazione sarà un atto sempre più puro perchè la tecnologia libererà chi lavora dalle preoccupazioni irrilevanti. Ne parlavo tempo fa con Brian Eno: lui anni fa ad un certo momento era quasi arrivato al punto di smettere di fare musica, perchè fare le cose che voleva fare richiedevano una velocità di esecuzione da parte delle macchine che allora non era disponibile. Erano gli anni in cui le macchine si inchiodavano continuamente, in cui ricominciare tutto daccapo dopo un crash di sistema era la norma, e qualche volta capitava di chiedersi quale fosse il senso di lavorare da soli anzichè con una band se poi per fare le stesse cose ci impiegavi il quintuplo del tempo... Ma erano altri tempi: chi comincia oggi a lavorare con l’audio digitale può fare realmente tutto quello che vuole, senza limiti".

Un luminoso futuro tecnologico, insomma. Eppure quello che stupisce di più in Matt è l’amore che quest’uomo nutre per la manipolazione del suono in quanto "suono": qualcosa che ricorda la passione di certi antichi artigiani del legno, o del bronzo... Lui sorride: "è vero, amo il suono" dice. "E’ imprevedibile quello che può succedere quando il suono incontra la vita. Ad esempio: prima dell’avvento dei radar, nel Sud dell’Inghilterra c’era un’installazione militare, un gigantesco orecchio di cemento che doveva servire a "sentire" il suono degli aerei da bombardamento in arrivo. In realtà non ha mai funzionato granchè come strumento militare: nella maggior parte dei casi tutto ciò che sentiva era il rumore delle coppiette che facevano l’amore sulla spiaggia... Te l’ho detto, il suono è imprevedibile".

(da: Hot, marzo 2006)




Coldcut
Sound Mirrors
(Ninja Tune/Family Affair)
voto: 4,5/5

Se esiste un gruppo al quale sarebbe doveroso erigere un monumento, o almeno madare dei fiori, questi sono i Coldcut. Che già facevano cose notevoli con i campionatori quando i campionatori erano poco più che registratori a cassette, e (quasi) vent’anni dopo ancora riescono a strappare un sorriso e un "oh" di meraviglia. L’enfasi guerrigliera della dance degli esordi - come i faticosi excursus ritmico-intellettuali degli anni di mezzo - sono scomparsi per lasciare spazio ad una quieta liricità che spazia dal folk alle forme più d’avanguardia dell’r’n’b contemporaneo. Meglio così. Qua e là affiora pure una (misteriosa) qualità beatlesiana che non dispiace affatto. [Fabio De Luca]

(da: La Repubblica XL, gennaio 2006)