Discocaine: viaggio al termine del nightclubbing
 

di: Fabio De Luca




Ascolti il documentario sull’Estate dell’Amore londinese del 1988 trasmesso il mese scorso da BBC Radio2 e ti viene il magone. Ti viene per davvero, a sentire quelle storie di pillole, acid-house e amore cosmico che era come si fosse vinta la Coppa del Mondo ogni singolo sabato sera che Dio mandava in terra. Beata ingenuità, certo, ma il magone rimane. Perchè poi pensi che qui da noi, pur con tutta la nostra imponente rete di infrastrutture dedicate al clubbing (seconda forse solo a Londra e ad Ibiza), "la discoteca" è stata sempre un’altra cosa. Anche nei momenti migliori, anche quando non c’era la crisi. Non che qui non ci si sia divertiti, per carità: ma quello spirito leggero, quell’attitudine rock’n’roll al divertimento per il divertimento (e non per l’essere benvestiti, benpettinati, benaccompagnati, benmacchinati), quello spirito quaggiù non è mai arrivato. Nossignori. Poi, in quegli stessi giorni, ti capita per le mani un agile librino: un Oscar Mondadori, di quelli che te li leggi in un pomeriggio o in una serata. Te lo consiglia - o per meglio dire te lo sconsiglia, allarmato dal polverone mediatico che inevitabilmente avrebbe portato con sé - un conoscente pierre d’alto lignaggio, uno di quelli con il potere di metterti in lista in qualunque privé di qualunque locale da Milano a Milano Marittima e ritorno. Si intitola Discocaine (e già capisci l’allarmismo): l’ha scritto Tatiana Carelli, che per quasi nove anni della sua vita ha sbarcato il lunario facendo - fra le altre cose - la "cubista", pagandocisi pure gli studi in Filosofia Teoretica. Discocaine è il suo viaggio al termine della notte: quattro weekend qualsiasi di ordinario cubismo e conseguente girovagare per strade e autostrade italiane, destinazione le megadiscoteche della provincia profonda. Nessun filo conduttore che non sia quello dei pensieri - talvolta lucidi, talvolta stonati - della voce narrante, o della galleria di tipi umani e sub-umani incontrati lungo il percorso. Nulla che già non si conoscesse grazie alla produzione letteraria santacrocesca, giusto per dirne una. Ma qui il risultato è ancora più disperatamente - sia pure involontariamente - neorealista, quasi pasoliniano. Ed è subito Medioevo, sotto la superficie glitter. Peggio: è subito Lucignolo, Tg4, Al Posto Tuo. Ti sembra quasi di sentire lo scalpiccio delle troupe venute a documentare "la notte degli eccessi" dei "nostri ragazzi".

E ti dispiace, perchè già sai - anche senza essere un rabdomante - che la maggior parte delle analisi sul libro si fermeranno allo scandaletto di superficie, al Trainspotting de noantri. Alle strisce di coca lunghe come la A12, al sesso vario ed eventuale consumato nei camerini, ai ragazzi-cubo strafatti di nardolone e anabolizzanti. Mentre la cosa interessante invece è un’altra. La cosa interessante è come nel libro il mondo scintillante del nightclubbing scorra parallelo ad una sorta di sottotesto di rassegnata "disperazione" che sembra non risparmiare nessuno (organizzatori, pierre, cubiste, pubblico...), anche se in pochi tra i diretti interessati sembrano esserne consapevoli. Potrà piacere o non piacere, Discocaine, ma di certo racconta l’esperienza nostrana del clubbing nello stesso modo in cui chiunque tra noi - almeno una volta nella vita, in un momento di rassegnata lucidità - l’ha vista. Cioè una roba dai tratti barocchi, quasi da videogioco Dungeon & Dragons. Un mondo statico a dispetto della sua ipercinesi, "vecchio" nonostante il continuo ricambio del suo giovanissimo pubblico, attaccato con le unghie e i denti al peggio degli anni Ottanta. Un mondo nel quale si gioca tutti ad essere Rich In Paradise, ricchi in paradiso, come guarda caso diceva una lontana hit di early-house italiana, e nel quale sembra non si riesca mai semplicemente ad andare "a ballare", ma sia sempre una questione di apparire, di dimostrare qualcosa.

Il superamento (sia pure solo per gioco) della stratificazione sociale messo in scena dall’acid-house, nel clubbing italiano non è mai arrivato. Al contrario, qui le differenze di censo, casta e conto in banca sono da sempre alla base dei rapporti di potere che regolano l’accesso ai "tavoli" o ai famosi privé. Risultato, in discoteca ci vai soprattutto per desiderare, per guardare: i macchinoni nel parcheggio, i vip al di là della velvet rope, le ragazze che non te la daranno mai, le cubiste. In questo senso l’esperienza è molto, molto "televisiva" (e il cerchio si chiude). Come ci fosse sempre uno schermo di plexiglas tra te e le cose belle che il mondo della notte di mette davanti, come una qualsiasi vecchia puntata di Non è la Rai. Un’esperienza frustrante come poche. Il che poi spiega in parte la tensione palpabile - e non necessariamente erotica - pronta a trasformarsi in litigio, battibecco per futili motivi, rissa con intervento militarizzato dei buttafuori. Di certo apparire costa fatica. E in questo senso quella sensazione come di "fatica" che emerge da ogni singola pagina del libro ha pure una sua ragione di essere. La droga alla fine è giusto un anestetico, una medicina omeopatica per evitarti di stare peggio (mica quella fonte di gioia pazzesca che era in Trainspotting, tanto per dire). Piaccia o non piaccia - noi in tutta onestà preferivamo i raccontini storditelli e autoironici dell’antologia Disco Biscuits di qualche anno fa, ma diverso era appunto l’humus in cui quei raccontini nascevano - Discocaine è una salutare full-immersion nel Paese Reale della Notte. Quello di cui - persi nella celebrazione dei propri miti alla Jeff Mills - spesso ci si scorda. A leggerlo se non altro ti ricordi subito perchè la Summer Of Love in Italia non c’è mai stata. Nè ci sarà mai.

(da: Hot, luglio 2004)