Estate 2006: m’illumino di "minimal"
 

di: Fabio De Luca




Leggiamo sulle autorevoli pagine di "Mixmag" il pronostico secondo cui la minimal-techno sarà "il suono dell’estate 2006". Benissimo. Pur essendo tutti noi - qui a "Hot" - vecchiazze che hanno visto più di una moda nascere e morire sul dancefloor, non stentiamo a crederlo. Davvero. Che la minimal techno fosse il suono del momento noi, anzi, lo dicevamo già dallo scorso autunno, dopo aver visto le scene degne di un concerto di Vasco Rossi che hanno accolto la venuta ai Magazzini Generali di Milano - lo scorso novembre - di quello che con ogni probabilità è l’ambasciatore primo oltre che il più noto profeta in terra del verbo minimal: Anders Trentemøller. Non è stata solo la pura questione numerica (nel senso che c’era una folla da non riuscire a respirare): era proprio il tipo di partecipazione, di reazione, a stupire. Il fatto che a centinaia saettassero i telefonini a immortalare il faccione rotondo (e fino a cinque minuti prima ignoto ai più) di Trentemøller; che a decine cercassero di spingersi fin sù in cabina dischi per chiedere al prosciuttone danese un autografo, o consegnargli un cdR con le proprie ultime tracce fresche di masterizzazione; che - in definitiva - a decine di centinaia saltassero e ballassero, giù in platea, e urlassero ad ogni nuovo intubarsi o rarefarsi del tappetone minimalista disegnato dal produttore col nome che evoca un materasso di gommapiuma.

Ciò detto, che la minimal techno sia il suono del momento rimane in realtà un mistero abbastanza buffo. Fino a mica tanto tempo fa - diciamo sei/otto mesi, diciamo fino a poco prima del trionfo milanese di Trentemøller - pronunciare le parole "minimal" e "techno" all’interno della stessa frase uno intendeva una cosa e una sola: uno stile molto ricercato e molto rarefatto, oltre che assai circoscritto in termini di pubblico e di gradimento. Minimal-techno era la pura e incontaminata roccaforte che si opponeva alla facile grancassa ed ai prevedibili giri di synth della trance "progressive", al qualunquismo postmodernista dell’"electroclash". Roba da ristretti circoli di conoisseurs, insomma: non certo da big room, non certo da Ibiza. Già Richie Hawtin - che pure dello stile minimal è il padre putativo se uno ce n’è, se non altro per meriti di anzianità - per alcuni non era "esattamente" minimal-techno perché "no, sai, è troppo veloce per essere minimal". Cos’è cambiato oggi? Esattamente nulla. Semplicemente è successo che negli ultimi mesi il mercato del clubbing ha (come ormai è la regola) stagnato, che trascinare la cosa dell’electro e della contaminazione tra rock e techno ancora per una stagione pareva impossibile anche ai più spregiudicati pierre ibiztechi, e dunque mancava la parola magica, il termine circondato di "buzz" su cui costruire uno straccio di stagionale fenomeno.

Ecco, appena in tempo per l’estate la parola magica è arrivata: "minimal-techno". Anche perché era già lì, pronta per essere usata. Pure i furbetti della redazioncina di "Mixmag", che adesso gridano alla novità, in realtà i salmi del minimal li hanno già ampiamente cantati lo scorso autunno, e proprio in terra di Ibiza. Magnificando (giustamente) l’impeccabile estate 2005 del DC10. Volendo però provare a rifletterci un secondo: che l’ultima moda del clubbing sia in realtà una cosa vecchia di almeno cinque anni (non so voi, ma io il mio primo disco di Ellen Allien l’ho comprato nel 2001) è qualcosa che in effetti la dice lunga sulla crisi d’ispirazione - e di reale ricambio stilistico - del settore tutto quanto. Ci si rivolge alla minimal-techno come alla più semplice e indolore delle soluzioni di marketing, in cerca di un cambiamento che in realtà nessuno vuole veramente. Perché alla fine la minimal - anche per la sua naturale propensione ad essere sfondo anziché figura (come teorizzava già una quindicina di anni fa il musicologo Philip Tagg) - è un minimal comune deniminatore che è facile applicare a qualunque situazione. Quanti diggeietti da cd masterizzato o da chiavetta USB adesso diranno di suonare "minimal"? Quanto manca perché "mah, suono minimal techno" diventi il nuovo "mah, suono tech-house" di qualche anno fa? Intanto la resistenza alla minimal-techno già si organizza. "Di Trentemøller ho solo il remix di Sharon Phillips" dice ad esempio Borut degli Scuola Furano, uno dei migliori e più creativi dj dell’ultima generazione italiana, "e sono convinto che appena cambierà il vento molti di ’sti eroi minimal-techno-acid non rimarrà neanche l’ombra. Personalmente spero che accada al più presto possibile. Abbasso la cassa, W i giri di basso...".

Non tutto è negativo, intendiamoci, e non tutto il minimal viene per nuocere. Certo, c’è un sacco di fuffa, ma questo è sempre successo con qualunque stile o genere (un giorno scriverò un lungo articolo sugli orrori "big beat" che riposano in cima allo scaffale più alto della soffitta di casa mia). Per contro, complice una nu-skool decisamente meno intransigente e rarefatta della generazione precedente (perché figlia un po’ pure di tutte le sante ibridazioni electro alla Tiga/Soulwax/Tomas Andersson), la migliore minimal-techno dell’estate 2006 è anche una bella prova di contaminazione con le avanguardie storiche di Detroit e Chicago e con la lettura che di quei suoni si è data in zone geografiche tradizionalmente non centrali per il clubbing. Volete un’interpretazione tentatively politica del fenomeno? Eccola: non si sa com’è, ma l’asse della minimal-techno sembra passare soprattutto per il centro America. Di lì sono originari i cileni Ricardo Villalobos (ormai naturalizzato svizzero) e Luciano (naturalizzato tedesco), e pure il nome nuovo dell’etichetta Kompakt, Gui Boratto. Poi - ok - le cose realmente innovative e di rottura - o se non innovative almeno creative nel rielaborare il già esistente - vanno ricercate altrove. Dove? Ad esempio nella Parigi che brucia non solo per gli studenti in piazza e gli immigrati delle periferie, ma anche per la post-techno apocalittica di gente come Justice, Para One e sebastiAn. Ma questo è un altro discorso e un altro articolo. Che leggeremo su "Mixmag" il prossimo autunno, probabilmente.

(da: Hot, maggio 2006)