World wide clubbing: prima viaggiare, poi ballare
 

di: Fabio De Luca




Viaggiare per ballare. Turismo da dancefloor. Voli charter pieni di ravers. Non occorre essere un’agenzia di viaggio per sapere che questa è da sempre una realtà. Anzi: meglio lasciar fuori le agenzie. Chi ha fatto o fa il turista da dancefloor è più spesso un turista "alternativo", fai-da-te, che viaggia ai margini del sistema economico delle vacanze organizzate. Questo è evidente se pensiamo ad Ibiza, che nei mesi estivi è la destinazione preferita del turismo da dancefloor, dove gruppi di diciottenni inglesi squattrinati affittano un monolocale in sei e per una settimana mangiano solo crackers e sottilette pur di potersi pagare l’ingresso al Manumission, al DC 10 o a qualsiasi altro dei club che fanno sognare. Ma vale anche per molti tra quanti partono alla ricerca dell’esperienza definitiva della propria vita di clubber ai "full moon party" di Goa o ai "white party" di Bali... Vacanze in cui il rave diventa il momento centrale della trasferta, e nei casi più fortunati (pochi, ma se ne conoscono) un’esperienza spirituale di "condivisione" con gli altri raver paragonabile ad una illuminazione religiosa. Per sapere la spiaggia giusta e il weekend giusto - oltre a un occhio al calendario per vedere quando c’è la luna piena (non sembra, ma aiuta!) - ci si affida al passaparola di chi c’è già stato o alle decine di siti internet dei singoli organizzatori di party. Molti forniscono anche link ad agenzie specializzate nel prenotare camere d’albergo e bungalow, e quasi tutti insistono molto sulle basilari regole di sicurezza e convivenza (occhio a farvi beccare con droghe: le carceri Thailandesi non sono il posto più amichevole del mondo; occhio a ballare a piedi nudi sulla spiaggia, potreste ferirvi con un coccio di bottiglia...) a riprova del fatto che sotto la scorza fricchettona c’è in realtà una mentalità imprenditoriale e turistica ormai consolidata.

La cosa strana, a pensarci bene, è che nessuno ancora abbia pensato a fare del turismo da dancefloor un business serio. Se incrociamo su Google "clubbing + travel agency" i primi cinque risultati sono tutti di agenzie di viaggio che lavorano su Vilnius, San Pietroburgo e la Lituania (di cui magnificano legreat clubbing opportunities. Purtroppo la foto che illustra il tutto è quella di un anziano signore vestito da astronauta che tiene in braccio un anziano signore vestito da Pantera Rosa: non esattamente una great clubbing opportunity, tutto sommato...). Incrociando invece "clubbing + tourism" i primi due risultati a saltare fuori sono due pagine intitolate "IbizaChallenge 2001 - clubbing holidays". E magari sarà un caso, ma il fatto che siano pagine datate 2001 la dice lunga su come lo spartiacque della crisi abbia creato qualche piccolo problema anche al luogo in cui l’associazione tra vacanza e clubbing era la cosa più naturale del mondo. Se i locali chiudono, se i distributori discografici falliscono, se l’industria dell’intrattenimento notturno dichiara - a partire dall’Inghilterra due anni fa, ma ormai ce ne siamo accorti anche in Italia - lo stato di crisi permanente, se insomma in generale tira una brutta aria, è normale che anche la nozione di viaggiare per raggiungere una meta di clubbing venga ridimensionata. Certo: Ibiza per il momento è ancora al sicuro, anche se sarà interessante analizzare i dati dell’affluenza nell’estate 2005. Così pure Aya Napa, l’"Ibiza di Cipro" (con l’R’n’B al posto della house) che pure non ha avuto l’esplosione in cui caldamente sperava un paio di anni fa, ma questo potrebbe paradossalmente essere la sua fortuna, trasformandola in un resort per clubber dall’elevato potere d’acquisto, disposti a spendere un po’ di più pur di avere accesso ad un luogo cool ed esclusivo.

Tutto ciò porterà - o forse sta già portando - a selezionare con molta cura i club che valgono veramente un viaggio, e rispetto al passato a preferire luoghi "minori" e dunque meno costosi. Magari non necessariamente le great clubbing opportunities di Vilnius e San Pietroburgo di cui si diceva sopra (per quanto: ad averci i rubli e le conoscenze, a Mosca si vocifera di una scena clubbing che per edonismo e sfrenatezza rivaleggia con la New York del 1976) ma la direzione è quella. Allo stesso modo in cui il lato "positivo" della crisi è il reset che opera sull’esistente, uccidendo ciò che è cresciuto oltre misura e permettendo all’underground più motivato di emergere ed avere una chance, così la congiuntura attuale sembrerebbe favorire luoghi e "dimensioni" più piccole, più concentrate e - in definitiva - più a misura d’utente. Il Nord Europa ad esempio: Oslo (con il celebre Skansen), oppure Bergen, Reykjavík... Senza contare una nuova possibile frontiera del turismo da club che potrebbe partire proprio dalla presa di coscienza della crisi. Chiamiamola "archeologia del clubbing": ovvero andare alla ricerca di quei luoghi - in molti casi ormai chiusi, o riconvertiti, o riportati alla loro originale destinazione d’uso - dove nel passato si è scritta la Storia del nightclubbing. Blocchetto d’indirizzi alla mano, la destinazione ideale è ovviamente New York. Cosa ne è stato del leggendario Studio 54? (254 West 54th Street) E della location originale del Loft di David Mancuso? (647 Broadway, a Nord di Houston Street) E della chiesa sconsacrata dove aprì The Sanctuary? (407 West 43rd Street, a Manhattan) Avranno chiamato una squadra di esorcisti e l’avranno ri-consacrata, oppure sarà un triste localino privé per coppie di scambisti? Senza dimenticare ovviamente il Paradise Garage (84 King Street, West SoHo), aperto nel 1977 negli spazi - lo dice il nome stesso - di un ex-garage, e chiuso nel settembre del 1987 in seguito alle complesse operazioni di speculazione immobiliare che stavano ridisegnando Manhattan. Lo stesso tipo di speculazione che anche oggi è la peggiore minaccia sulla testa di molti club newyorkesi (è notizia recente che lo storico CBGB’s sulla Bowery rischia la chiusura dopo aver ricevuto notifica del raddoppio dell’affitto). Adesso, ironia del destino, il Paradise Garage è di nuovo un garage. Pare che i tipi che ci lavorano si siano rassegnati, ormai, ad un quotidiano pellegrinaggio di persone che entrano (a piedi), si guardano in giro per qualche secondo, sospirano e poi - muti e silenziosi come sono entrati - se ne vanno.

(da: Hot, marzo 2005)