Miss Violetta Beauregarde: ultra-Violetta!
 

di: Fabio De Luca




Cielo grigio sù, foglie gialle giù. Solo che non è una canzone: è il mondo appena scendi dal treno alla stazione di Alessandria. Non che il mondo che ti eri lasciato alle spalle salendo sul treno a Milano Centrale fosse molto meno grigio sù e giallo giù. E’ che qui c’è qualcosa che sa di servizio militare, come una gigantesca caserma a cielo aperto. O un gigantesco mobilificio, o un hard-discount del lampadario, di quelli che punteggiano la campagna lungo la dorsale della A21. Comunque: la giornata è iniziata con un sms della persona che si sta andando a intervistare, sms che diceva: "Ho letto la tua recensione sul mio concerto.da qualsiasi parte la guardi non riesco a trovarla denigratoria,anche se immagino l’intento fosse quello.resta solo un interrogativo,perchè sprecare quattro pagine per me?". Risposta: "confermo che dal vivo sembri un gatto con gli incubi. Però secondo me hai delle storie interessanti da raccontare". Nel caso vi siate persi le puntate precedenti, nel numero ultimo scorso di Rumore c’era questo articolo su Le Tigre all’interno del quale si dava conto anche del concerto di Miss Violetta Beauregarde - che ha aperto per Le Tigre al Rainbow di Milano - usando termini quali "il peggior incubo del vostro gatto", "Nick Cave a 45 giri con sotto una cover-band glitches di John Zorn" e "la si farebbe volenteri a pezzi".
Il che ci riporta alle ore 13.45 di un mercoledì di novembre: che c’è il cielo grigio sú e le foglie gialle giù l’abbiamo già detto. La persona che sto andando a intervistare sta arrivando in bicicletta. La guardo mentre mi passa davanti accostandosi al marciapiede della stazione. Lei restituisce uno sguardo che nel linguaggio internazionale degli sguardi equivale più o meno a "che cazzo vuoi?". Evidentemente non ho la faccia che la persona che sto andando a intervistare si aspettava avesse un intervistatore di Rumore (il che non è necessariamente una brutta cosa, forse). Faccio cinque passi lungo la scia della bici in fase di frenata. Secondo me lei mi sente arrivare e già pregusta di mandare laddove è d’uopo mandarlo il molestatore alessandrino che-solo-perchè-c’ho-il-piercing-si-crede-di-potermi-abbordare. O magari non è vero niente, e sono solo io che esagero. Chissà. In ogni caso lei c’avrà pure il piercing, ma io c’ho l’effetto sorpresa: conosco la sua identità segreta. "Violetta-Aiki, suppongo". Non che il fatto di essermi qualificato cambi molto le cose, però mi guadagna quello che in termine tecnico si chiamerebbe "squadrare da capo a piedi". Ma a quel punto la grande sceneggiatura del film in cui tutti siamo protagonisti prevede che il suo telefonino squilli, e che lei risponda. "Si, sono Aiki. No, guarda, come ti ho già detto non mi interessa. Davvero. Grazie". Un nanosecondo di pausa. Poi dice: "E’ la seconda volta che mi chiamano per invitarmi al programma di Gad Lerner, in televisione. Venerdì c’è una puntata sul tema "come cambia la sessualità nei tempi di internet", non ho neanche capito bene, ma non ho la minima intenzione di andarci. So solo che c’è ospite anche Giuliano Ferrara". Come direbbe qualcuno: sticazzi.

Cose che forse non sapete di Violetta (e di cui potreste forse anche fare a meno in quanto irrileventi al fine di comprenderne la personalità artistica, ma già che ci siamo ve le si dice): è cresciuta nella campagna poco fuori Bergamo; sua mamma è nata a meno di cento di metri da dove è stato girato il film L’albero degli zoccoli; ai tempi delle scuole superiori era amichetta del cuore con Roberta dei futuri Verdena, insieme alla quale fondò anche una band, le Porno Nuns; si è trasferita dalla campagna fuori Bergamo alla campagna poco fuori Alessandria circa due anni fa, per seguire il suo fidanzato con il quale al momento non sta più insieme ma non è escluso che tornino insieme in futuro. Cose che invece probabilmente già sapete di Violetta: dopo aver suonato in diversi gruppi punk ed elettro-punk (ultimo in ordine di tempo le Uhu’s) da poco più di un anno ha un progetto "solitario" di elettro-punk radicale chiamato Miss Violetta Beauregarde con il quale ha inciso un album dal titolo Evidentemente non abito a San Francisco, nel quale in un pezzo alla voce c’è anche la ex-cantante delle Bratmobile, Alison Wolfe. Ha un blog, sottotitolo temporaneo "quanti indie-rockers ci vogliono per avvitare una lampadina?", 6/700 contatti al giorno, nel quale fornisce una sua personale visione del mondo molto più arguta e profonda di quanto potrebbe sembrare fermandosi alla sola polemica o al solo uso delle parole come fossero la clava dei Flintstones. Nota tecnica: ha eliminato i commenti non perchè non le vada di interagire con il mondo dei navigatori lì fuori, ma "perchè poi comincerebbe la processione degli anonimi che scrivono stronzate nella speranza di ferirmi, come già succede nei forum. Non ho niente contro chi mi insulta, e stanno freschi se sperano di ferirmi così, ma mi stanno sul cazzo quelli che lo fanno nascondendosi. Io non mi nascondo, e non permetto a nessuno di farlo". In altre parole: se le scrivete alla mail quasi sicuramente vi risponde. Se invece spargete il vostro seme nei forum, lo fate a vostro rischio e pericolo.
Infine: con il nome di Aiki posa spesso in deshabbillè per il sito soft-porn californiano Suicide Girls, dedicato al lato gotico e punk della bellezza femminile (non è esattamente e non è solo così, ma questo punto ve lo si spiega meglio dopo). Ovviamente siamo in Italia, e dunque quest’ultimo è l’aspetto su cui alla fine i media battono di più. Cosa che manda in bestia Violetta, che non ci tiene assolutamente a passare per una Moana Pozzi dell’indie-rock. Tempo fa, ad un gestore di locale che per un concerto dei Tributo a Luigi Galvani - collettivo estemporaneo composto da Violetta, dagli amici Uochi Toki e dai Pr0-stat - aveva preparato una locandina con una foto di Aiki naked zanzata in rete (giustificazone del gestore: "così viene più gente"), Violetta e gli altri hanno combinato uno scherzetto degno di nota. Sono saliti sul palco e si sono limitati a suonare, una dopo l’altra, le tracce dei rispettivi cd. Suonarle dal cd, cioè. Senza neanche fare il playback. Il gestore si è incazzato tantissimo. "Capisco l’interesse anche morboso che ci può essere per le mie foto su Suicide Girls", dice Violetta, "ma non accetto che il discorso su SG prevalga sul resto, quasi che fare musica fosse un dettaglio marginale. No: per me suonare è la cosa più importante, quella su cui passo più tempo". Parlando con Violetta si capisce presto anche qual’è il fil rouge che unisce le diverse cose che fa, oltre che le diverse identità. Il bandolo della matassa - o se preferite l’attitudine che muove Violetta - è nel mondo da cui arriva, che è poi il mondo dell’hardcore punk. "L’hardcore punk l’ho scoperto da una cassetta che mi aveva fatto un cugino, sulla quale c’erano Dead Kennedys, Black Flag, Devo e Pil. Vabbè, Devo e Pil non erano proprio hardcore punk. A quel cugino devo anche il primo concerto della mia vita: i Primus a Bologna nel 1992. Siamo scappati di casa per vederli. Cioè, più o meno: abbiamo detto ai rispettivi genitori che passavamo la notte a casa dell’altro, e invece siamo andati a Bologna. In quel periodo ho cominciato a frequentare i circuiti del DIY, i concerti. Ricordo anche un concerto dei Green Day al Bloom di Mezzago, nel 1994, che ci saranno state cento persone se va bene... Ascoltavo il vecchio punk: Ramones, Germs, Dead Boys, Crime... Non i Sex Pistols, loro non mi sono mai piaciuti. E poi sentivo i gruppi su Lookout, Sympathy For The Record Industry, Rip-Off, Estrus, Kill Rockstars... Ma era soprattutto la cultura DIY ad affascinarmi, il fatto che ci si sbattesse per organizzarsi da soli le cose, per promuovere una scena che per la totalità dei giornali e delle radio nemmeno esisteva. Per questo adesso odio tutti quelli che si professano indie ma in realtà si attaccano come una zecca sulle spalle della cultura DIY".


Ma non si puo’ mettere una bandiera sulla cultura DIY: DIY è una metodologia che può essere applicata a differenti livelli e con esiti diversissimi a seconda dei casi...

No, DIY è una filosofia: poi in concreto è vero che chiunque a qualunque livello può professare il DIY, ma BISOGNA fare delle distinzioni sugli intenti. Qui stiamo parlando di gente che sfrutta i canali già esistenti, ad esempio per distribuire i propri dischi, o per fare concerti. No: se non condividi fino in fondo la filosofia di base di un certo circuito credo che dovresti essere tanto onesto da farti da parte. Magari inventarti tu un tuo circuito, ma non appoggiarti a qualcosa di cui non condividi i valori solo perchè ti fa comodo. Questo per quanto riguarda chi certa musica la fa, poi c’è il discorso di chi certa musica la consuma...

Le famose "fighe di marmo" di cui spesso scrivi.

Le fighe di marmo le sento a pelle, cioè mi stanno sul cazzo a pelle. E’ gente - indifferentemente maschi e femmine: i maschi in genere li riconosci dai cazzo di capelli a scodella - che passa ore a fare disquisizioni sulla scarpa o sulla spilletta da mettersi.

Più o meno come nei circuiti harcore punk si passano ore a disquisire se tizio ha tradito o no la causa firmando con una major...

Se permetti c’è una differenza! Stiamo parlando di sostanza. Al Rainbow quando sono salita sul palco e mi sono vista quella parata di ragazze vestite tutte di quel finto anni Ottanta - perchè non hanno nemmeno il coraggio di vestire il vero anni Ottanta, perchè se fossero coerenti si vestirebbero come delle coriste degli Wham, e invece non sono coerenti neanche in quello! - non ce l’ho fatta. Sapevo che dicendo quello che ho detto, "questo non è il Plastic e dunque voi siete fuori posto", avrei sparato nel mucchio, ma non potevo mettermi a fare distinzioni: "alcuni di voi lì in platea sono dei fighetti modaioli che non c’entrano niente con ciò che io rappresento, altri invece no". Il paradosso è che io per prima mi sentivo fuori posto, in quel momento, ma se qualcuno si è sentito chiamato in causa da quanto ho detto - io credo - essenzialmente vuol dire che lui ha la coda di paglia...


La cosa più banale che si possa dire sul conto di Violetta è che ci vuole comuque del fegato per fare quello che fa. Perchè fare quello che fa e dire quello che dice certo non aiuta a farsi degli amici in giro (anche se "alla serata del Rainbow ho venduto cd per duecento Euro, dunque non devo essere poi stata così sul cazzo a tutti!"). Il disco è un muro del suono che in almeno un paio di casi non dispiacerà nemmeno a qualche quarantenne che in gioventù bazzicava l’industrial giapponese tipo Merzbow. Ma è un muro: se non hai gli strumenti per decodificarlo, e quindi superarlo, non c’è modo di vedere cosa c’è dall’altra parte. L’altra cosa banale da dire è che a parlarci insieme Violetta è un po’ meno un planetoide lontano dall’orbita terrestre rispetto a quanto sembra a leggerla o a vederla su un palco. Traduzione: è assai meno minacciosa e attaccabrighe. Anche se lei su questa cosa non è mica tanto d’accordo, cioè sul fatto di essere così diversa tra com’è sul palcoscenico della vita e com’è sul palcoscenico del Rainbow (o del Covo, o di qualunque altro posto). Nel senso che - dice lei - è attaccabrighe anche nella vita, o più che attaccabrighe "rompiballe, despota, piantagrane". Le band in cui suonava, dice sempre lei, si sono sciolte essenzialmente perchè lei ha grosse difficoltà di relazione "con la razza umana". "Ho l’ego delle dimensioni di uno stegosauro", dice. "E poi detesto essere fraintesa, mi sento sempre in dovere di premettere un sacco di disclaimer alle cose che dico". Il che spiega anche il rifiuto ad andare, ad esempio, in televisione. "La tv è poco controllabile, è l’esatto contrario del DIY: non sai mai in che contesto sarai, quanto tempo avrai per esporre la tua posizione". Nessun desiderio di fare apostolato presso un pubblico diverso da quello dei circuiti indie, dunque? "No, perchè specialmente quando si parla di sesso il contesto è quasi sempre sensazionalistico, alla Lucignolo". E l’idea che magari in un paesino sperduto in mezzo alla campagna una ragazzina di quindici anni ti veda in tv e grazie a te scopra la sua vocazione punk? "Bellissimo. Ma non è la mia missione".

E’ evidente che sommando algebricamente la spendibilità indie, l’indubbio talento nello scrivere e il coté Suicide Girls, il risultato è che siamo di fronte ad un personaggio che potenzialmente potrebbe mandare a casa tutti i Silvestrin ed i Coppola d’Italia (a proposito: si segnala la traccia numero sette del cd, Sesso illustrato per Silvestrin. Pare che il diretto interessato abbia inviato mail per chiedere chiarimenti). Potenzialmente: se solo non avesse quel retaggio hardcore punk che punta in tutt’altra direzione. "Io non voglio essere un personaggio" dice Violetta, "ma sono anche consapevole che sia quasi inevitabile essere vista così. E’ qualcosa su cui non ho il controllo. Però io sono a posto con me stessa: so quali sono i miei valori e ciò che voglio raggiungere. Ho le idee chiare sugli obiettivi". In questo senso la "durezza" della superficie di Violetta è forse - oltre che esercizio di stile - anche una sorta di barriera elettromagnetica contro le ingerenze del mondo esterno. "Alle volte mi viene da pensare che tutto il polverone attorno a me, soprattuto in rete, è esagerato. La conseguenza è che la gente viene ai miei concerti aspettandosi chissà cosa". Tipo? "Aspettandosi che tiri fuori le tette, principalmente. O forse che ammazzi qualcuno, chissà. E allora poi mi incazzo e finisce che dico cose come quelle che ho detto al Rainbow". Però ti fa gioco, o no? "Mica tanto. Magari vendo cento copie in più del cd, ma diventa sempre più difficile fare in modo che la gente si concentri su quello che mi sta più a cuore: la musica, o quello che scrivo".


Secondo me ti sei presa una bella gatta da pelare, perchè - come avrai notato - è un bel casino essere provocatori senza cadere nello stereotipo, nella macchietta del punk fuori tempo massimo...

Lo so. E sono consapevole anche del fatto che tutto ciò che posso dire o fare di "provocatorio" è già stato detto e fatto in passato. Ma lo dico e lo faccio lo stesso, perchè il mondo a cui mi riferisco ed in cui mi muovo è comunque il mio mondo. Io parlo per me, non faccio proclami: parlo di quello che vedo, della scena che frequento, delle persone che mi trovo davanti.

Il che ci porta ai complessi rapporti tra Violetta Beauregarde e la scena "indie"...

Sai cosa? Credo di essere una presenza salutare all’interno della scena indie italiana. E non salutare come può essere salutare un calcio nelle palle. Parlo proprio di riflessione, pacata riflessione. La mia ironia è il perfetto antidoto al "vorrei ma non posso" che avvolge la scena indie italiana, al loro guardare all’estero con la disperata consapevolezza che non saranno mai così fighi come i gruppi a cui si ispirano...


Violetta invece sembra non ispirarsi ad altri se non sé stessa. Intanto - pur facendola - non ascolta musica elettronica, non l’ha mai ascoltata, le fa anzi abbastanza schifo, "tranne le Blectum From Blechdom, un duo elettro-punk femminile di San Francisco che incide per Tigerbeat 6". Ha scelto di fare musica elettronica essenzialmente perchè le permetteva di metter sù una band con l’unica persona in grado di reggere il suo dispotismo: sé stessa. "Tre anni fa, all’ennesimo scioglimento dell’ennesimo gruppetto punk fallimentare, ho cominciato a pensare se fosse possibile in quale modo fare musica da sola, senza dovermi per forza trascinare dietro un gruppo. E qui entra in scena quello che poi sarebbe diventato il mio fidanzato, ma allora ancora non lo era, che mi ha detto: io ho tutto quello che ti occorre per fare musica da sola, vieni a casa mia che ti faccio vedere. Nel giro di un mese sapevo tutto quello che c’era da sapere: ho cominciato a programmare la batteria ed a metterci insieme uno o due suoni di synth, poi via via a strutturare dei pezzi sempre più complessi. Faccio elettronica perchè uso strumenti elettronici, ma l’attitudine è quella punk: se campiono qualcosa lo campiono da gruppi harcore punk. Del resto è naturale, campionare da quello che è il tuo background: i gruppi rap campionano dal funk, io campiono dall’harcore-punk". Curiosamente, però, i primi passi di Violetta nell’elettronica risalgono addirittura agli anni Ottanta. "Anni dell’informatica grezza, Commodore 16, Commodore 64... C’era un mio cugino che all’epoca era molto addentro alla faccenda, è lui che mi ha insegnato le basi. Che poi è tutta roba che ho riscoperto negli ultimi anni, facendo musica e programmando in basic i suoni. Una cosa di una macchinosità terrificante, molto da nerd, ma hai dei risultati che non potresti avere in nessun altro modo. Perchè usare un plug-in già pronto quando puoi creare da zero il tuo suono, la tua forma d’onda?". E non solo. La strumentazione di sala di Violetta Beauregarde prevede anche: una boccia di vetro con dentro dei bulloni, microfonata e fatta passare attraverso un paio di pedali; una tastiera comperata per dieci euro da un cinese per strada; un campionatore ricavato da una vecchia segreteria telefonica. "Come sequencer uso Fruity Loops, che rispetto ad altri è limitato ma è anche molto versatile, e sto portando avanti una guerra personale contro Reason, soprattutto per l’alone di pretenziosità che lo avvolge e per il fatto che chi lo usa in genere considera Fruity Loops poco più che un giocattolo". Nessun pregiudizio verso una ragazza che fa musica elettronica? "Sotto sotto credo che molti fossero diffidenti. Perchè sono una donna e perchè c’è una diffidenza di fondo verso la musica elettronica. Però ultimamente i capita spesso che dei ragazzi mi scrivono mail chiedendomi spiegazioni sul suono, sugli strumenti che uso... La considero una piccola importante vittoria".


Chissà quanto tra loro hanno l’account su Suicide Girls. Uno se lo chiede, e la statistica farebbe pensare che siano anche in molti, visto il successo (anche economico: roba da un paio di milioni di dollari di fatturato al mese) del sito californiano. Nato nel settembre 2001, suicidegirls.com è una sorta di comunità online all’interno della quale si discute, principalmente di musica indie, e in cui una larga parte è occupata dalle foto soft-core di ragazze "della porta accanto" che - questa è la particolarità - anzichè ispirarsi alle dive della tv sono punk, dark, gotiche, la maggior parte con tatuaggi e piercing. Violetta, con il nickname Aiki, è una di loro. "Ho scoperto SG tre anni fa navigando su internet, ho deciso di compilare l’application form e mi hanno preso: fra l’altro - cosa di cui sono particolarmente orgogliosa - senza neanche un giorno di attesa!".

Scusa la domanda: perchè?!?
Mmmh, per me Suicide Girls è stato - ed è tuttora - come buttarsi in piscina per quancuno che ha paura dell’acqua. Non ho mai avuto un rapporto particolarmente facile con il mio corpo, e SG è stato parte di un lungo processo di accettazione. Suicide Girl celebra la bellezza nel senso più universale, al di fuori di qualunque stereotipo, la bellezza come espressione di sé: e non è il solito sito di donne nude. Su SG siamo libere di gestirci: siamo noi che decidiamo che tipo di photo-set fare, come vestirci, quanto svestirci... Non siamo neanche sfruttate: anzi, la cifra che ci danno per ogni photo-set è decisamente buona.

Reazioni?

La lettura qualunquista in genere è: "questa qui fa vedere le tette in internet, quindi è un’esibizionista".

Invece, figurarsi...

Non sono un’esibizionista! Per me è una cosa importante, è un mezzo di self-empowering. Qualcosa che riguarda l’autostima, la consapevolezza di sè, del proprio potere sul mondo esterno...

C’è un senso di rivalsa nel fatto di essere nuda su internet?

E’ più un senso di rivalsa verso me stessa, verso come mi vedevo. Tu dici rispetto all’establishment della bellezza? Non so: è come se ci fosse una stanza piena di Veline e Letterine, entro io in mutande, faccio una pernacchia e me ne vado! Io lo vedo così.

Ci pensi, qualche volta, che il tuo pubblico sono magari quegli stessi segaioli che lasciano commenti offensivi sui forum?

Bisogna fare una distinzione. Quelli che hanno l’account di Suicide Girls sono una cosa. Quelli di cui parli tu sono i tipi che si scaricano i set fotografici da Soulseek, e probabilmente - sì - sono gli stessi che poi lasciano insulti sui forum. Gli iscritti a SG (e le iscritte: una grande quantità sono ragazze) per quello che ho potuto vedere sono persone tranquillissime: alla fine non ti iscrivi solo per le foto, ma perchè condividi le basi della comunità. Mi è capitato di incontrare un paio di iscritti. In un paio di casi mi hanno riconosciuta, per strada... E’ stato imbarazzante, ma abbastanza divertente.

Quasi come conoscere Kathleen Hanna?

Che c’entra... Lei era il mio idolo dei sedici anni, ai tempi delle Bikini Kill. Le Tigre non mi piacciono molto, ma è stato paradossale perchè dopo il mio concerto lei, Kathleen, mi ha abbracciato e mi ha detto "finalmente un concerto punk!".

(da: Rumore, dicembre 2004)