Daft Punk: 0ne m0re t1me?
 

di: Fabio De Luca



1. THE MÊME MACHINE
Con quella pompa retorica e un po’ totalitarista che hanno solo gli incipit di certi vecchi telefilm di fantascienza ("Spazio: ultima frontiera..."), il comunicato stampa destinato a dare lumi sull’uscita del nuovo ultra-super-extra-attesissimo album dei Daft Punk, Discovery, ci notifica nella prima riga che "Daft Punk are now dead". Non sciolti o splittati. Proprio morti. Non male. Siamo a Parigi per intervistare dei morti. A saperlo andavamo direttamente al Père Lachaise.
"E’ stato un incidente" racconterà Thomas Bangalter più tardi, in un altro dei numerosi incantevoli uffici della Virgin France disseminati attorno a Place des Vosges, nel Marais. "Stavamo lavorando in studio, c’è stata questa esplosione, e loro ci hanno ricostruito come robots...". "Loro" sono evidentemente quelli della Virgin, per i quali i Daft Punk sono talmente una gallinella dalle uova d’oro da potersi permettere di accondiscendere più o meno a qualunque licenza. Spese folli per progetti di cui nessuno capisce l’utilità immediata. I Daft Punk sono un tipo totalmente nuovo di icone dello star system. Non sono la star old-skool, ovviamente, che scaglia i televisori fuori dalla finestra della camera d’albergo: al massimo può succedere che Guy-Manuel chieda di sospendere le interviste a metà mattinata perchè "ha bisogno di dormire per qualche ora". Tutti i vezzi da star dei Daft Punk, anche quelli più incomprensibili, sono considerati delle specie di indicazioni da rabdomante. Seguilo, e prima o poi troverai il filone d’oro. Anche se ti dice di scavare sotto la sabbia del deserto. Vogliono fare il video in Giappone con un accidenti di disegnatore di manga che ci sta costando come un kolossal di Francis Ford Coppola?!? (per la cronaca: Leiji Matsumoto, l’attempato autore di Captain Harlock e Galaxy Express 999) Lasciamoglielo fare. Hai visto mai, avessero capito qualcosa che noi ancora non abbiamo capito. Vogliono farsi fabbricare dagli studios hollywoodiani due mascheroni elettronici interattivi da indossare durante le interviste? Facciamoglieli fabbricare. Al limite vorrà dire che per la promozione televisiva mandiamo due fattorini col mascherone, e lasciamo a casa loro. Vogliono usare il disco di prossima uscita per mettere sù un una complessa rete di utenza che sta a metà tra Renato Soru, Napster, la Playstation e il Club di Topolino? Lasciamoli fare, per carità. Pure ’sto internèt all’inizio sembrava ’na strunzata, e adesso guarda quanti soldi girano...
Li lasciano fare perchè sono dei geni. Perchè hanno venduto un paio di solidi milioni di copie del loro esordio del 1996, Homework, un disco realizzato alla tenera età di vent’anni uno e ventuno l’altro su un equipaggiamento di studio dal quale altri avrebbero avuto difficoltà anche solo a tirar fuori una linea di basso decente. Perchè hanno commissionato dei videoclip che hanno ridato dignità e speranza alla categoria del videoclip. Perchè sono finiti al numero uno in tutto il mondo Italia inclusa con un singolo che, sulla carta, non avrebbe avuto i numeri nemmeno per arrivare al 500. Perchè persino Madonna, in Music, ha citato l’indistruttibile bassline di Da Funk, e non potendo usufruire degli originali si è comprata il Daft Punk tarocco Mirwais.



2. THEY ARE THE ROBOTS
A dirla tutta, non è che a vederli di persona si riesce immediatamente a realizzare che questi, esattamente questi, sono i due maggiori geni della dance-music attualmente viventi sul pianeta Terra. Perchè questo sono, due geni. Thomas Bangalter e Guy Manuel De Homem-Christo.
E sono qui davanti.
E sono un simil-figlio di papà condensato di tutti gli stereotipi sull’antipatia e sulla snobberia dei francesi, e un cicciabomba semi-autistico che dimostra almeno dieci anni meno dei suoi 25.
E parlandoci capisci anche perchè la loro unione funziona così bene: perchè uno è quello iruente e fighetto, quello che parla a raffica, quello che sa quali sono le mosse giuste da fare, quello che ha rimesso al mondo l’idea stessa di "disco" con il suo exploit solitario Music Sounds Better With You. L’altro è quello riflessivo, silenzioso, quello che anche quando sembra stia vegetando sta in realtà processando l’ambiente attorno a sé, e quando aprirà bocca per dire una cosa sarà per dire qualcosa di cui bisognerà per forza tenere conto.
Insieme hanno cambiato il volto della dance-music di questo pianeta.
E sono qui, fortunatamente senza gli ingombranti mascheroni robotici con i quali risponderanno agli intervistatori televisivi (buona fortuna, Adriano Celentano...) attraverso degli SMS di testo pre-programmati tramite tastiera. Giusto perchè gli va. Perchè se non gli andasse rimarrebbero in studio, a lavorare, a seguire le attività delle loro due ultra-hyped etichette discografiche. O andrebbero in giro per il mondo a mettere i dischi nel locali più alla moda. Senza mascheroni, ovviamente.

C’è stato realmente una qualche sorta di incidente nel vostro studio, qualcosa a cui vi siete per così dire "ispirati" per la storia della vostra trasformazione in robots...?

Bangalter: Uhm... non è un’informazione rilevante. E’ buffo: tutti sembrano interessati alla informazioni quando parlano con noi. Ma noi facciamo arte, non informazione. Devi prendere la storia per quella che è: fiction, fiction mescolata alla realtà... del resto tutta la fiction è sempre mescolata alla realtà. Hai presente quando si dice che ormai realtà e fiction si assomigliano talmente da rendere quasi impossibile, talvolta distinguere una dall’altra? Beh, noi cerchiamo di fare dell’entertainment che stia esattamente su quella linea di demarcazione. Nessuno al mondo è più in grado di garantirti la verità, quindi noi con la verità e la realtà ci giochiamo.

Il che significa anche scherzare con i massimi sistemi? Per certi versi One More Time era una specie di burla situazionista: un pezzo che gioca simultaneamente su un piano di estrema intelligenza ed uno di estrema stupidità, e che finisce primo in classifica in tutto il mondo...

Bangalter: One More Time era essenzialmente una canzone. Più che scherzare quello che ci interessa è creare della fiction con quello che facciamo. Non rispondere alle domande, evitare di fornire spiegazioni e informazioni... tutto questo produce fiction.

Fiction di cui avete il controllo soltanto all’inizio del processo: dopo è tutto in mano a chi scriverà e parlerà tentando di interpretare le vostre "informazioni"...

Bangalter: Potrebbe essere... (eh, eh, eh).

Non è una risposta!

Bangalter: E’ una risposta aperta. Se ti dicessi "si" sarebbe si, se ti dicessi "no" sarebbe no. Così invece tengo la nostra versione dei fatti un passo indietro rispetto alla tua domanda. Potrebbe darsi che sia d’accordo con te come invece no.

Mio Dio, dov’è la telecamera nascosta? perchè siamo su Candid Camera, vero?!? Questa non è la VERA intervista con i Daft Punk?!?

Bangalter: Eh, eh, eh... peut’être...


3. TOUR DE FRANCE
Più che una scena, a guardarla dal punto di vista dei Daft Punk quella francese (o per meglio dire: parigina) è una specie di famiglia, o di grande comune. DJ FALCON, autore la scorsa estate insieme a Thomas Bangalter del singolo Together (e un anno fa dell’Ep "con il telefonino" My Name Is Dj Falcon) nonchè regista del prossimo video I’m A Woman dei CASSIUS (a.k.a. LA FUNK MOB e MOTORBASS: in questi ultimi militava anche ETIENNE DE CRECY, boss della Solid e della cultissima Poumtchack, nonchè scopritore degli Air), è cugino di ALAN BRAXE (autore in proprio della seminale acidissima Vertigo), che insieme a Thomas Bangalter ed a BENJAMIN DIAMOND (quello del pezzo col rap in Italiano "appena arrivato a Parigi/mi ritrovo su Champs Elysées...") aveva firmato il successo di Music Sounds Better With You sotto lo pseudonimo STARDUST. Music Sounds Better With You è anche alla base del celebre litigio tra Thomas Bangalter e BOB SINCLAR (boss della Yellow, l’etichetta dove hanno debuttato KID LOCO e DIMITRI FROM PARIS e che recentemente ha aperto la sub-label Africanism), laddove il primo accusa il secondo di aver utilizzato un suo remix del celebre pezzo "aerobico" con Jane Fonda senza menzionarlo e senza corrispondergli adeguatamente congruo guiderdone. Nel tempo libero Dj Falcon gestisce insieme al cantante dei PHOENIX (quello cariiiino che cantava in Playground Love degli AIR, anche se in incognito) una piccola ma avviata azienda di produzione vinicola nel Sud della Francia. Il chitarrista dei Phoenix, invece, Laurent Brancowitz, suonava in una indie-band da liceo chiamata DARLIN’, la stessa in cui suonavano Thomas e Guy Manuel, quella che una recensione di Melody Maker definì degli stupidi straccioni, "daft punk" appunto, generando il nome che ancor oggi T e GM si portano dietro. Melody Maker ha chiuso i battenti nel gennaio di quest’anno. I Daft Punk sono al numero uno in classifica. Così, tanto per amore di statistica. E tanto per finire le liaisons degli Air, tutti e due loro agli esordi suonavano in una band chiamata Orange, nella quale militava anche ALEX GOPHER.
Ma torniamo alla nostra famiglia: spesso il venerdì sera Falcon si reca a vedere Paul detto PLAY PAUL, fratello di Guy-Manuel De Homem-Christo dei Daft Punk (ma anche dei LE KNIGHT CLUB, quando lavora in coppia con Eric Chedeville), che combatte come pugile semi-professionista, sua attività preferita quando non registra hi-NRG house sotto gli pseudonimi WE IN MUSIC (insieme a Romain, con il quale ha anche fondato l’etichetta We In Rock) o BUFFALO BUNCH. Ovviamente sia Le Knight Club che Buffalo Bunch hanno remixato i Phoenix. Mentre tutti o quasi i nomi elencati hanno inciso, stanno incidendo o incideranno qualcosa per la Roulé, l’etichetta privata di Thomas Bangalter (su cui è uscito Music Sounds Better With You), o per la Crydamoure di Guy-Manuel. Entrambe producono rigorosamente solo 12" in vinile per dj, pochissimi e selezionatissimi titoli. Sia Roulé che Crydamoure sono totalmente slegate dal contratto dei Daft Punk con la Virgin. L’unica eccezione Bangalter l’ha fatta per Music Sounds Better With You - licenziata alla Virgin alla luce delle straordinarie potenzialità planetarie del pezzo, ma con il vincolo di non concederne comunque l’inclusione in nessuna compilation (unica eccezione, ancora, per il remix di Dimitri From Paris contenuto sul volume 2 della raccolta Respect Is Burning degli amici di Respect, il club alla cui serata del 25 febbraio 1998 fu suonata per la prima volta la lacca di Music Sounds Better With You). In tutto ciò Laurent Garnier è una specie di mammasantissima cui tutti portano un rispetto papale, ma che nessuno sembra frequentare. Gli onesti mestieranti SUPERFUNK da Marsiglia sono considerati dall’undergorund (lo segnalava Etienne De Crecy in un intervista con Rossano Lo Mele rimasta inedita su Rumore) "delle autentiche merde". E MR. OIZO conta (ancora non ha finito) i soldi fatti col pupazzo giallo della Levi’s.
Nessuno parla volentieri di "french touch". Nessuno ci crede. E nessuno sembra nemmeno particolarmente informato su quello che succede nel nightclubbing parigino. Benjamin Diamond, di passaggio dall’Italia qualche tempo fa per promuovere il suo album solista Strange Attitude, diceva di aver passato troppo tempo in studio per sapere quello che stava succedendo a Parigi. Il nuovo disco dei Daft Punk invece si intitola Discovery. Discovery = Very-Disco. Capito il jeu-de-mots?


4. MUSIQUE NON-STOP
Se uno "stile" i Daft Punk e la loro galassia di attivisti e fiancheggiatori l’hanno consolidato, si tratta senza dubbio dello stile di spingere le cose fino al limite estremo, fino al punto in cui un passo oltre sarebbe "troppo". La loro maggiore peculiarità ed abilità, infatti, consiste proprio nel fermarsi esattamente un attimo prima. Pensate a One More Time, a Around The World, a Together. A tutti quei pezzi in cui è come se tutti i trucchi - i filtri, i campinamenti disco, la ripetizione dei patterns - venissero deliberatamente estesi fino al limite delle volte consentite dalla soglia di tolleranza.

Certe volte è come se voi diceste: "ok, vediamo fin dove riusciamo a spingerci prima che ci fermino!".

Bangalter: E’ un gioco con noi stessi, non con il pubblico...

Ok. E quindi...

Bangalter: Non so. Non so cosa dire...

Un lungo minuto di silenzio.
Poi Guy Manuel solleva la testa. E parla.

De Homem-Christo: Penso... uhm, penso di capire cosa vuoi dire. Non so se valga anche per noi e per il nostro lavoro, però so che la musica che mi piace è fatta da gente che fa esattamente questo: spingere le cose fino sull’orlo del limite. Il disco degli Outkast ad esempio: è evidentemente il lavoro di gente che sta al di là delle categorie. E spesso che sta al di là delle categorie fa delle cose che sembrano folli, e che però nonstante tutto funzionano...

Questo significa anche fare cose che apparentemente, sulla carta, sembrerebbero sbagliate. Come un break di un minuto e quaranta senza ritmo nel mezzo di One More Time. Come Together, che ogni volta che ripete "together-together-together..." è come se si avvicinasse sempre più al limite...

Bangalter: ...Queste sono le regole della musica dance, e a noi queste regole non piacciono.

Ma sono regole prima di tutto fisiologiche! Con un break di un minuto e quaranta la gente in pista si guarda intorno, non sa più che fare. Al dj prudono le mani per far partire il pezzo dopo, i programmatori radiofonici chiedono una versione edit...

De Homem-Christo: Uhmmm... quando suono i dischi come dj la gente non si ferma durante il break di One More Time...

Perchè nel frattempo il pezzo è diventato una hit, la gente lo riconosce proprio per la sua peculiarità! E’ come se avesse abbattuto un barriera.

Bangalter: Una regola, ha soltanto abbattuto una regola. La house music ha delle regole, e sono le regole del pop perchè oggi house-music e pop sono la stessa cosa, l’underground è diventato il nuovo mainstream. Per diventarlo ha dovuto rompere le regole del pop di ieri, e così facendo ne ha istituite di nuove. La lezione della musica house da sempre è che non ci sono regole, che si deve avere una mente aperta, che ogni nuova regola consolidata può e deve essere superata. L’unica regola valida è che "tutto si può fare purchè funzioni"...

De Homem-Christo: Il momento in cui ritorna il ritmo dopo il break: è quella la chiave di tutto...

Homework era stato registrato con mezzi quasi di fortuna. Siete sempre d’accordo sul fatto che lavorare con un equipaggiamento povero incoraggia l’uso dell’inventiva, e quindi alla fine dá risultati migliori.

Bangalter: Alla fine anche questo è stato fatto con mezzi piuttosto limitati, rispetto alla possibilità che avevamo. Ci sono vecchi sintetizzatori, vecchie chitarre... La vera ricchezza è il tempo. Meglio avere più tempo ed un po’ meno equipaggiamento. La tecnologia è un limite in sé stesso perchè puoi anche avere uno studio straordinariamente moderno e attrezzato, ma se non sai utilizzare le sue potenzialità e non ti prendi il tempo di impararle, è come se non avessi nulla.

Quanto succede "per caso" mentre siete in studio?

Bangalter: Sempre meno. Sappiamo sempre più con precisione cosa stiamo cercando, quando siamo in studio. Può ancora succedere qualcosa "per caso", ma è sempre dentro un qualcosa che stavamo ricercando intenzionalmente.

Quindi sapete sempre con precisione che cosa state cercando?

Bangalter: Hmmmm... in realtà sappiamo con precisione cosa non stiamo cercando. Il nostro è più un processo per eliminazione.

E che ne dite di Madonna che in Music copia Da Funk?

Bangalter: Tsh, non ci ha copiato...

Si, vabbé. Non avrà copiato nota per nota, ma è ovvio che l’effetto che cercava di ottenere era esattamente quello... Non so se ci avete mai pensato, ma da un certo punto di vista questo vi fa accedere di diritto allo status di classici: citati da Madonna, come foste Elvis Presley o Phil Spector...

Bangalter: Cosa posso dire... it’s flattering.

De Homem-Christo: E’ buffo. Noi all’inizio eravamo enormemente influenzati dalle sue cose anni Ottanta. Adesso è lei ad essere influenzata da noi...

(da: Rumore, marzo 2001)