EMA: (mica tanto) European Music Awards
 

di: Fabio De Luca




La morale è che forse era meglio restarsene a casa. Se l’intenzione era di capirci qualcosa, degli Mtv European Music Awards (per gli amici: EMA), era meglio restarsene a casa, davanti al televisore. Evitare Roma, l’ippodromo di Tor Di Valle, la calca dei 200mila al Colosseo per i concerti "di riscaldamento" con Cure, Elisa e Carmen Consoli, il girone infernale delle esclusivissime feste pre-EMA e post-EMA. E invece, all’ora canonica, sedersi in poltrona e accendere la tv. In tv gli EMA erano fantastici, ma fantastici davvero. Bastava guardarne anche solo pochi minuti, il pomeriggio. Sembravano le prove generali del Capodanno finale dell’umanità: sullo sfondo il Colosseo e davanti tutti i vee-jay caricati come molle, agitatissimi, tutti protesi verso quello che sarebbe successo di lì a qualche ora (cioè gli EMA in diretta dall’ippodromo di Tor Di Valle). Un senso di attesa così incombente che quasi veniva da credere a quel pettegolezzo che circolava nei giorni precedenti, quello secondo cui il terrorismo islamico avrebbe colpito, senza pietà, in EuroMTVisione, durante l’esibizione di Eminem (il rapper biondino recentemente riscopertosi pacifista e anti-Bush). Invece no. Forse il terrorismo islamico ha più senso del ridicolo di noi. O forse - più probabilmente - non ha trovato i biglietti.

Quella dei biglietti è, a proposito, un’altra storia fantastica. Hai voglia dire che gli EMA sono uno spettacolo televisivo e dunque andrebbero visti in televisione (perchè da lì, dalle gradinate di Tor Di Valle, riesci a stento a capire cosa stia succedendo sul palco). Ci sono 6.000 posti disponibili, nelle gradinate, che ovviamente non si chiamano gradinate ma "V.I.P. Area", e specie negli ultimi giorni la frenesia di acaparrarsene uno raggiunge punte assai fantasiose. A Mtv Italia raccontano, sottovoce, di surreali telefonate da parte di segretarie di sottosegretari che snocciolano a garanzia nomi che dovrebbero - nella loro visione del mondo - aprire tutte le porte, anche quelle della V.I.P. Area (citatissimo, chissà se gli sono fischiate le orecchie, "il dottor Gianni Letta"). Il solito provincialismo italiano? Nossignori. Le telefonate più memorabili arrivano invece dall’estero, dalle ambasciate di stati che sembrano usciti da un fumetto di Tin Tin, dagli enturage di popstar famose all’epoca di Dallas e Dinasty, persino della presidenza della "fondazione che si batte per riportare in Etiopia il corpo di Bob Marley".

Le si prova tutte pur di esserci, pur di non essere tagliati fuori dal cono di luce, sia pure riflessa. In questo senso l’ambientazione un po’ grottesca e forse involontariamente allusivamente sanguinaria di quest’undicesima edizione, tra il peplum e il technoide, (bighe, gladiatori che fanno ala al passaggio di Anastacia, schermi al plasma che si collegano con il Colosseo...), sembra sinistramente azzeccata. Del resto: giusto l’Antica Roma è rimasta di strettamente "European" agli EMA, visto che il 75% degli artisti in lizza - si è lamentato qualcuno - sono americani. Un’americanata, insomma. E in quanto tale traboccante di celebrità (americane). Tutte in ordine, tutte in fila una dopo l’altra per il rito del "red carpet", il tappeto rosso (in realtà una malinconica moquette ignifuga grigio fumo, ma questo in tv non lo si è visto) che le suddette celebrità calpestano quando escono dai camerini per dirigersi al backstage. Il problema, casomai, è che a meno di non essere sotto i ventun’anni o di lavorare per Mtv la metà delle celebrities sono facce assolutamente sconosciute. Passa Sarah Michelle Gellar (la Buffy ammazzavampiri dell’omonimo telefilm), e fin qui uno ci arriva. Passano gli Articolo 31, e il tracagnotto con cui stanno parlando probabilmente è Eamon (quello di Fuck It, di cui gli Articolo hanno scritto la versione italiana). Passano una quantità spropositata di rapper neri imbronciati la cui identità rimarrà per sempre un mistero (se ne segnala in particolare uno: magrolino, con un gigantesco Gesù Cristo d’oro e diamanti sopra un maglioncino rosa a losanghe. Forse è uno degli Outkast).

E passa Gwen Stefani, fragilissima nel suo look da fumetto giapponese, condotta per mano da una gigantesca guardia del corpo a cui lei si affida in una maniera così evidentemente totale che ha quasi qualcosa di erotico. Ma chi sarà invece quella bionda un po’ sciupata che tutti fotografano? (No, non è Kylie Minogue). Chi sarà quel quintetto di post-adolescenti che sembrano tutti e cinque l’attore Ben Stiller? E quei tizi vestiti come delle comparse musicali di un episodio di Happy Days? Ma soprattutto: perchè qui sul red carpet sembrano tutti quanti così tirati, frettolosi, annoiati, come ce li avessero portati a forza? L’unica eccezione sono i Duran Duran, e l’ex-metallaro riconvertito in star dei reality Ozzy Osbourne. I resuscitati, potremmo chiamarli: accomunati dal destino di chi si credeva non avrebbe mai più avuto diritto di cittadinanza su alcun tappeto rosso, e invece rieccolo. Elegantissimi, i Duran Duran sorridono a tutti, salutano tutti e Nick Rhodes (ovvero l’anello di congiunzione tra un orsetto lavatore e una popstar) arriva persino a invitarti alla festa che la Sony ha organizzato in loro onore dopo gli EMA, anche se poi non ti sa dire dove sia, la festa. E Ozzy sembra un po’ un morto che cammina, è vero, ma in mezzo a tanti zombie pallidi, fragili e imbronciati, lui per lo meno sembra divertirsi un mondo a fare lo zombie. E non è esattamente una cosa da poco.

(da: Io Donna, 4 dicembre 2004)