Joy Division: the movie
 

di: Fabio De Luca




Mettersi a fare un film sulla vita e le opere di una band come i Joy Division significa cercare grane, per almeno un paio di buone ragioni. La prima è che è proprio la "dimensione" dei Joy Division ad essere strana: sono stati una delle band più influenti della stagione a cavallo tra il punk e la new-wave, una buona fetta di chi oggi abita la parte alta delle classifiche (U2, Moby e Foo Fighters solo per citarne tre a caso) li considera un’ispirazione fondamentale ed una delle ragioni che li ha spinti a formare una band. Eppure non sono mai usciti dal loro status di "culto", non sono mai diventati realmente "famosi", non sono mai entrati nell’immaginario condiviso da tutta una generazione. La seconda è che - anche e soprattutto per le ragioni testé ricordate - i Joy Division non sono i Doors, né i Nirvana, e neanche i Sex Pistols. Non si può dare nulla per scontato sul loro conto presso il "grande pubblico", non esiste una singola loro canzone che sia conosciuta ai livelli di una Light My Fire o una Smells Like Teen Spirit, nessuna loro immagine è mai stata accolta nell’iconografia ufficialmente riconosciuta del Ventesimo Secolo alla pari del Jim Morrison coi capelli fluenti ed i pantaloni di pelle. Eppure sono una figura di culto, eppure la loro importanza si estende fino ad oggi anche al di là di chi - come gli Interpol - li cita esplicitamente (o di chi, come i nostrani Offlaga Disco Pax, li cita implicitamente cercando di riprodurre in vitro la straordinaria secchezza della produzione di Martin Hannett e il modernismo eroico del segno grafico Factory). La loro è una presenza discreta e costante, mai venuta meno mano a mano che le mode si avvicendavano e gli stili passavano e ritornavano in auge. In conclusione: le ragioni per cui i Joy Division non sono un’icona neanche lontanamente paragonabile ai Doors o ai Nirvana - e dunque non esattamente soggetto ideale per un film - sono le stesse per cui qui, tra gli appassionati, i Joy Division non li si è mai smessi di amare.

Per le stesse ragioni sale agli occhi un po’ di magone quando, come la scorsa primavera, arrivano notizie tipo quella che Love Will Tear Us Apart è stata nominata per un Brit Award nella categoria "Miglior Canzone degli ultimi 25 anni". Il premio poi l’ha vinto Angels di Robbie Williams, e va benissimo così, ottima scelta davvero. Ma "lasciate stare i Joy Division" viene da dire a chi li ama e li ha amati: e non per snobismo, non per una supposta superiorità delle loro schegge d’interiorità sofferta rispetto al pop da classifica, ma solo per evitare di vedere la loro specificità, la loro unicità (quella stessa che ha impedito ai Joy Division di diventare delle icone a tutti gli effetti, come si notava), diluita, semplificata, ridotta al minimo comun denominatore di un format tollerabile da magazine generalisti e notiziari televisivi. "La maggior parte delle canzoni assume una vita propria una volta che lasciano la penna del loro autore ed entrano nel mondo reale" scriveva lo scorso maggio Sean O’Hagan sul quotidiano inglese The Observer: "Love Will Tear Us Apart però è l’eccezione che conferma la regola, appartiene esclusivamente ai Joy Division ed a Ian Curtis, anche se alla fine nemmeno lui è riuscito a sopportarne il peso". Per questa ragione l’idea di un film sui Joy Division (ci) fa paura. Perchè è una storia che ha molto a che fare con le canzoni e molto poco con la vicenda di chi quelle canzoni ha scritto, nonostante l’atto finale - il suicidio di Ian Curtis nel maggio del 1981 - molto abbia contato, ovviamente, nel colorare tali canzoni, a posteriori, di toni ancor più oscuri e densi di presagi di quanto già non fossero all’inizio.

Rimane poi il dubbio su quale sia l’interesse in termini di marketing - viste le premesse fin qui elencate - di un film sulla vita di Ian Curtis e dei Joy Division. Le voci circolate nei mesi scorsi di una possibile candidatura di Jude Law per il ruolo principale (altri gossip meno allarmanti davano invece per certo Paddy Considine, che almeno ha il vantaggio di essere uno sconosciuto fuori dai confini del Regno Unito) sembrano più che altro - nonostante non ci sia mai stata alcuna smentita ufficiale - appartenere al regno delle leggende metropolitane. Hollywood? Molto improbabile: molto più probabile, invece, che si decida per un film a costo medio-basso destinato ad una piccola comunità di appassionati. Un po’ come 24 Hours Party People qualche anno fa, che ricostruiva a mo’ di docu-drama la storia dell’Haçienda di Manchester e della Factory Records (e incidentalmente quindi anche dei Joy Division) con un taglio talmente "dall’interno" da nascere già bello che pronto per il circuito dei DVD. Insomma, nessuno farà del film dei Joy Division un The Doors (cioè una onesta celebrazione del mito) nè un Last Days (cioè un’opera di art-cinema solo vagamente collegata con la storia reale). Si trema un po’ nell’apprendere che la base per la sceneggiatura sia stata la controversa biografia della moglie di Ian, Deborah Curtis, Touching From A Distance: che ha il vantaggio e il merito di essere una storia scritta dall’interno - senza nessuna pietà verso le miserie, molte, del carattere di Ian - ma il grave limite di essere un tentativo di "farsi giustizia", da parte della moglie maltrattata e tradita, nei confronti di anni per lei evidentemente tutt’altro che facili. Ci si conforta sapendo che il regista sarà il fotografo e videomaker Anton Corbijn, uno che i Joy Division li fotografò - come la quasi totalità di nomi che affollavano la scena new wave dei primi Ottanta - all’inizio di una carriera che in seguito lo ha visto lavorare accanto a U2, Rem, Kylie Minogue, Johnny Cash etc. Proprio Corbijn ha trovato quello che è attualmente il titolo di lavorazione, Control (una precedente scelta era stata These Days). L’uscita è a questo punto prevista nella seconda metà del 2006, mentre le ultime notizie dal set raccontano del team produttivo - che comprende tutto il nucleo storico della Factory e della band, da Tony Wilson ai New Order - lavorare d’amore e d’accordo. Non ci dovrebbero essere grosse sorprese, anche se - intervistato mesi fa dalla rivista Rumore circa chi vorrebbe fosse l’attore scelto per interpretare la parte di sé stesso giovane membro dei Joy Division - Peter Hook pare abbia risposto "Antonio Banderas"...

(da: Hot, ottobre 2005)