(think fast, fail fast, fix fast)


Yesterday's Papers

(Re)Light My Fire: ce ne frega ancora qualcosa dei Doors? (Hot)

Trentemøller, il Vasco Rossi della techno (Hot)

I ♥ Pet Shop Boys (nonostante tutto...) (Hot)

The Hours: Damien Hirst ha fondato una band (o forse no) (Hot)

SXSW: la volta all'anno che Austin diventa la capitale dell'indie mondiale
(Repubblica XL)

Bob Marley: la leggenda del santo fumatore (Io Donna)

Mile High Punk: ragionare sui Sex Pistols a 10.000 metri d'altezza (Hot)

Lacuna Coil: la cui cantante, nel caso non si fosse capito, è gnocca (Repubblica XL)

Jim Kerr: che voleva dire, esattamente, "nuovo sogno dorato"? (Io Donna)

Coldcut: "È imprevedible quello che succede quando il suono incontra la vita" (Hot)

45giri: il formato che doveva morire (Hot)

Hard-Fi: quelli che Scarlett Johansson non ha mai sentito nominare (Repubblica XL)

Incontrare Ursula Rucker e chiederle: "ma tu scrivi prima la musica o i testi?" (Hot)

Arctic Monkeys: come internet trasformò un cartone animato in realtà  (Repubblica XL)

Tiga: "la prima volta che ti chiedono un remix è come la prima volta che baci una ragazza" (Hot)

Da Brian Eno ai Franz Ferdinand: di che cosa parliamo quando parliamo di "art-rock"? (Hot)

The Strokes: “il CBGB's? che si fotta” (Repubblica XL)

Confessions On a Dancefloor: Madonna e l'ultimo capodanno dell'umanità  (Hot)

Mister Cartoon: il tatuatore più famoso del mondo e il suo ferro da stiro (Hot)

Art Brut: "abbiamo formato una band" (Hot)

Ozzy Osbourne: un vecchio zio nella casa degli orrori (Repubblica XL)

Tracey, Damien e Grayson: sai tenere un Segreto? (Io Donna)

Scuola Furano: fuga dalla scuola media (Hot)

Roisin Murphy: quella sua maglietta stretta (Rolling Stone)

Violante Placido, per gli amici Viola (Io Donna)

Joy Division, the movie: non esattamente Last Days, e nemmeno The Doors (Hot)

30 domande a... WhoMadeWho (Hot)

Allun, Offlaga, Uochi Toki e gli altri: marziani italiani (Repubblica XL)

Devendra, Sufjan, Rufus: le radici in un passato immaginario (Hot)

Sigur Ros: niente più strategia dell'oscurità , o quasi (Repubblica XL)

Arcade Fire: sette musicisti, tre funerali e un matrimonio (Repubblica XL)

C30-C60-C90: il culto del mixtape (Hot)

"Piripiri-piripiri-piripiri-pi": più famosa di Yesterday dei Beatles (Io Donna)

Tosca + The Dining Rooms: due dischi, quattro musicisti e sette bambini (Hot)

E arrivò il giorno in cui i lettori del Corriere conobbero le Coco Rosie... (Io Donna)

Tattoo You: sì, nel 2005 c'è ancora qualcuno che scrive articoli sui tatuaggi (Hot)

Springsteeniani d'Italia: il culto di Bruce (Io Donna)

From Genesis to revelation: la dj-culture scopre il prog? (Hot)

It began in Ibiza: la Summer of Love e tutto il resto (Hot)

A Grottaferrata, a sentire il nuovo album dei Subsonica, mentre loro mi guardano strano (Rolling Stone)

Joss Stone: mind the Gap, please (Io Donna)

Red Bull Music Academy: la scuola per dj più pazza del mondo (Rolling Stone)

Sk8r boi 2005: la musica che gira intorno allo skate (Hot)

Antony & The Johnsons: "volevo essere Isabella Rossellini" (Rolling Stone)

Coldplay/Guns'N'Roses: scusate il ritardo (Io Donna)

World Wide Clubbing: prima viaggiare, poi ballare (Hot)

Moby: "voglio vivere come dentro una tomba"
(Io Donna)

Discoinferno: i dieci anni che cambiarono il clubbing a NY (Rolling Stone)

Belle de Jour: "anal sex is the new black" (Io Donna)

Optimo: i biscotti per cani e il futuro del djing (Hot)

Polyphonic Spree: il meraviglioso mondo di Tim DeLaughter
(Musica di Repubblica)

Mercury Rev: in segreta migrazione (Rumore)

EMA: (mica tanto) European Music Awards (Io Donna)

White Stripes: i Kraftwerk del 2000? (Rolling Stone)

Kasabian: il Gabibbo e Charles Manson
(Musica di Repubblica)

The Cure: la vita è un lungo fascinoso imbrunire
(Rolling Stone)

Miss Violetta Beauregarde: ultra-Violetta! (Rumore)

Franz Ferdinand: il successo è una cosa che succede
(Musica di Repubblica)

Lollapalooza: Woodstock per la Generazione X
(Rolling Stone)

Io tigro, tu tigri, loro Le Tigre... (Rumore)

Duran Duran: Wild Boys vent'anni dopo
(Musica di Repubblica)

Radio Dept.: Radio Free Sweden (Rumore)

Milano-Roma-Barcellona: trans Soulwax express (Rumore)

The Libertines: "vuoi sapere che si prova ad avere nella band un potenziale Sid Vicious?"
(Musica di Repubblica)

Gabrielle Drake: Pink (Moon)base
(Rolling Stone)

Janet Jackson: e Dio creò le tette (GQ)

Discocaine: viaggio al termine del nightclubbing (Hot)

Beastie Boys: To The 5 Boroughs (Rumore)

2004: dance is (not) dead? (Rumore)

The Streets: "pensavo di essere noiosissimo, pensavo che nessuno mi capisse"
(Tutto/Rumore)

Golia & Melchiorre: un Bugo, anzi due (Rumore)

Malcolm McLaren: comprereste un'auto usata da quest'uomo? (Hot)

Do you remember the Summer of Love? (Rolling Stone)

PJ Harvey: e alla fine arriva Polly (Jean) (Rumore)

William Gibson: non tutte le predizioni devono per forza avverarsi (Tutto)

The Darkness: old Skool of Rock (Rumore)

Morrissey: un alieno a L.A. (Rolling Stone)

Von Bondies: Detroit, botte & rock'n'roll (Rumore)

Courtney Love: la fidanzata d'America (Rumore)

Coldplay: livin' la vida glamour (Rumore)

Iggy, ti presento Peaches... (Rumore)

Black Rebel Motorcycle Club: belli, neri e ribelli (Rumore)

The Rapture: punk, funk, moda & modelle (Rumore)

The Queer is Dead: trent'anni di rock non-solo-eterosessuale (Rumore)

I Maniaci Dei Dischi: il futuro è un dj a sei mani (Rumore)

La strada di Zwan: Billy Corgan e il tempo ritrovato (Rumore)

"Così Tanto Amore da Dare": in giro per Londra a caccia di Dj Falcon (Rumore)

Massive Attack: 3D, cuore di tenebra (Rumore)

Sigur Ros: "il mondo è più divertente di quel che potresti credere" (Rumore)

The Osbournes: gruppo di famiglia in un inferno (Rumore)

Last Night a DJ Saved My Life: essere dj nel 2002 (Rumore)

Primal Scream: "il problema è che noi non siamo gli Oasis" (Rumore)

David Holmes: una vita per il cinema (Rumore)

My Bloody Valentine: soffice come la neve (ma caldo dentro) (Rumore)

Stuart David: fold your book, child... (Rumore)

Chemical Brothers: è iniziato in Africa-ka-ka-ka... (Rumore)

Money Mark: lo spirito delle persone si infonde nelle macchine (Rumore)

Non solo Anniottanta: il lato oscuro dell'Eighties-revival (Rumore)

Solex: ovvero Beck con le mestruazioni (Rumore)

Starsailor: "purezza" è la parola chiave (Rumore)

Lamb: l'opposto dell'amore non è l'odio, ma la paura (Rumore)

Verdena: paura & disgusto dalle parti di Bergamo (Rumore)

Quando incontri Bjork e poi parenti e amici ti chiedono: "ma com'è lei veramente?" (Rumore)

Copia Icona: Thora Birch e il congelamento di Kate Moss (Rumore)

The rhythm, the traxx, the Basement, the Jaxx... (Rumore)

Radiohead: "odiare la musica è pericoloso" (Rumore)

Damon & Jamie: Gorillaz nella nebbiaz (Rumore)

Tool: i Radiohead del post-metal (Rumore)

Depeche Mode: l'heavy metal dello spazio interiore (Rumore)

Soft Cell: quest'ultima notte a Sodoma (Rumore)

Die Moulinettes: brevi amori a Jesolo e Bibione (Rumore)

Future Pilot AKA: Wild Thing dei Troggs è l'equivalente pop dell'uomo delle caverne (Rumore)

Daft Punk: 0ne m0re t1me? (Rumore)

Kings Of Convenience: un mondo di canzoni ideali (Rumore)

Riot Grrrls 2001: girls just want to have fun? (Rumore)

La Crus & Avion Travel: i nuovi tradizionalisti (Rumore)

Me and Alan McGee: le etichette che hanno fatto la storia, da Rough Trade alla Creation (Rumore)

Giuliano Palma & The Bluebeaters: it's a wonderful, wonderful life (Rumore)

Il giorno che Roni Size mi mandò (quasi) a quel paese (Rumore)

Mtv (de)Generation: vogliono trasformarci in Arancia Meccanica, ma noi siamo più veloci (Rumore)

Belle & Sebastian: "talvolta al mattino mi sveglio e mi sento Andy Warhol" (Rumore)

Yoshinori Sunahara: il non-luogo dell'anima (Rumore)

Londra: 333 italiani
("D" di Repubblica)

Mr.Oizo: l'uomo che muove il pupazzo (Rumore)

Nine Inch Nails (e Marylin Manson): speranza e vaselina (Rumore)

Stupiti & Confusi: apologia (o quasi) di Chloe Sevigny (Rumore)

Mò Wax: non necessariamente trip-hop
(Dance Music Magazine)

Pop Life!: dai Beatles ai Boo Radleys passando per i Sex Pistols (Rockstar)

“Generazione M”: i ragazzi con la spina nel fianco (Rumore)

 

Weblog Commenting by HaloScan.com

Thursday, April 28, 2005

Qualcuno ha sciolto dell’LSD nelle fontanelle dell’acqua della discografia italiana?
Non ci si spiega - altrimenti - un comunicato come questo, diffuso oggi via mail, che riporto di seguito nella sua integrità senza toccare nemmeno una virgola:

«Mighty Rearranger il nuovo album di Robert Plant sarà pubblicato domani, venerdì 29 aprile 2005.
Mighty Rearranger è una summa artistica per uno degli artisti più innovativi e ricchi di talento della musica contemporanea, una leggenda del rock: l'album si è sviluppato organicamente, dalla gioiosa, anarchica sperimentazione musicale. È un tour de force che si arricchisce di tutte quelle influenze musicali esplorate in 35 anni di sperimentazione e le usa come trampolino per lanciare un suono di ritrovato rock.
Plant è stato affiancato nella composizione ed esecuzione di questo album dai The Strange Sensation che lavorano con lui dal 2001.»


Non so: a momenti il mio passagio preferito è quello dove si dice che l’album «si è sviluppato organicamente, dalla gioiosa, anarchica sperimentazione musicale». Ma anche dove si parla del tour de force che si arrichisce non è male.

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Wednesday, April 27, 2005

Introducing: the complete Endtroducing

In uscita a giugno la versione del (quasi) decennale. E ad agosto a quanto pare esce addirittura il libro (magari verrà rivelato se è veramente Alan Sorrenti quello campionato nella traccia finale del disco!).

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Friday, April 22, 2005

On the road again (versione dei Rockets, ça va sans dire)
In occasione del ponte per il 25 aprile Weekendance torna sulla strada con la valigia dei dischi, come ai vecchi tempi. Qualora lo vogliate e nel caso siate in zona, eccovi le indicazioni sul dove, cosa e perchè. Lo stile è quello consueto, electro-ecletto. Nel caso fatevi riconoscere: io sarò quello abbracciato a Teri Hatcher.

sabato 23 aprile: Macerata, Fun-Fany @ CSA Sisma, via Alfieri 8. Ore 19.00: cocktail di presentazione delle ultime 20 copie ancora esistenti in Italia del libro Mamma mamma, voglio fare il dj, segue dibattito. Ore 22.30 till late: dancefloor. Hosting: la cricca maceratese di Loser. Ingresso a offerta libera.

domenica 24 aprile: Torino, Body Rock @ BarCode, c.so San Martino 2 (zona P.ta Susa). Ore 23.30 till late. Hosting: il mio dj electro preferito al mondo. Ingresso gratuito.

UPDATE/01: Macerata bruciò. Macerata capitale del clubbing europeo. FunFany presidente.
UPDATE/02: Anche Torino bruci(cchi)ò. Nonostante la pioggia. Valletta come Nerone.

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Wednesday, April 20, 2005

Destiny’s Child, che nel 2020 faranno un video ispirato a Desperate Housewives
Quello nuovo che c’è in giro adesso, intanto, è la cosa più necrofila vista in tv da molto, molto, molto tempo a questa parte.
[e il nuovo dei Daft Punk, Technology, che esce tra qualche settimana, è brutto, fastidioso e ricicla - malamente - un’idea molto simile a No Money Down di Lou Reed]

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White Stripes are playing at my house

Non dirò che aver ascoltato, l’altroieri pomeriggio, il nuovo dei White Stripes sia stata una di quelle esperienze che aprono la mente al punto da farti intuire gli scenari prossimi venturi in una maniera così lucida che il domani ti sembra quasi già oggi. No. Dirò solo che molto ho gongolato, perchè per una volta posso affermare senza tema di smentita che «ve l’avevo detto io», e aggiungere pure l’orrida postilla «in tempi non sospetti». La documentazione qui, ma soprattutto qui (novembre 2003: quanto fico sono?!?). Insomma: la teoria buona è che i White Stripes sono i nuovi Daft Punk. Di più, è come un gioco ad incastro: si può finalmente capire Human After All soltanto dopo aver ascoltato Get Behind Me Satan. E realizzare a quel punto che HAA era un fake, come quelli che vengono postati sui P2P per intasare i download illegali, e invece Get Behind Me Satan è la cosa vera.

Del resto, limitatamente (per ora) al singolo Blue Orchid il dubbio era già venuto anche a qualcun altro (soltanto che a Delio il pezzo non è piaciuto, a me sta facendo letteralmente uscire di testa). E il resto dell’album? Non è tutto così. Il trademark hillibilly-blues c’è sempre, ma il livello di scrittura di almeno un paio di pezzi è elevatissimo. E soprattutto è incredibile come un disco così povero e sotto-prodotto suoni invece ricco e brillante. Pre-analisi track-by-track ne sono in realtà già uscite un paio (qui ad esempio c’è quella di The Modern Age), ma mi sembrava ugualmente divertente trascrivere qui di seguito, senza aggiunte né correzioni, gli appunti presi su ogni singola traccia durante l’ascolto...

Blue Orchid: DPunk with Led Zeppelin on top

The Nurse: una lenta canzone pop. Pure stupida (tipo: The Promise You Made dei Cock Robin), con sotto una Honda con problemi d’accensione e lo xilofono dei Depeche Mode (Keep The Balance Right?). A un certo punto arriva pure una chitarra che non centra nulla ma che ci sta bene. Art-pop europeo: Blume degli Einsturzende Neubauten.

My Doorbell: puro Led Zeppelin. Sotto, un loop che sembra il vicino di casa che appende un quadro alla parete nel silenzio elettrostatico di un pomeriggio d’agosto. Sul finire diventa quasi shuffle, quasi 60s. I Kinks che coverizzano Dead Leaves & the Dirty Ground.

Forever For Her: bluesy 60s pop. Potrebbero essere i Troggs. anche Burt Bacharach. Forse il miglior pezzo mai scritto dai WS.

Little Ghost: country. Un possibile outtake da quell’orrendo polpettone western dove Zwelleger aveva imbucato Jack. (titolo? ritorno a rockmountain?)

The Denial Twist: un po’ come My Doorbell, arrangiamento molto secco.

White Moon: blues lento

Instinct Blues: blues alla Screamin’Jay Hawkins.

Passive Manipulation: come un pezzo minore delle Ronettes, superstupidissimo, brevissimo (30 sec?). Cantato da Meg. Geniale.

Take, Take, Take: tipico WS.

As Ugly As I Seem: potrebbe essere Bowie tra post-glam e pre-Berlino (check), strano, uno strano tamburello a scandirlo. Chitarra acustica, molto bello l’arrangiamento.

Red Rain: xilofono & slide-guitar, poi entrano chitarra e batteria e diventa Led Zep.

I’m Lonely: piano.

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Sunday, April 17, 2005

Nobody's getting any kick, it's the saddest night out in the Design Week

Che dirvi. Beh, ad esempio che tutto quello che si desiderava più ardentemente succedesse durante il concerto degli LCD Soundsystem è poi, ieri sera, successo. Che sono un band pazzesca, e che l’algebra Can + Talking Heads + Suicide con la quale si è per comodità disbrigata la loro pratica catastale è sí vera, ma dal vivo diventa uno show grasso, grosso, con i giri di basso che li senti nella milza, i drones del mini moog che ti mangiano le orecchie, e i tamburelli e le congas e le cowbells che manco l’orchestra di Xavier Cugat: in una parola, “rock’n’roll”. Che tutte le belle teorie circa il «lavoro sulla memoria (discografica)» e conoscenza del passato che dovrebbe farci comprendere meglio il presente, di cui pure qui sul blogghetto spesso si è dibattuto, sbiadiscono al cospetto di uno show così saldo, compatto, diretto, unico nel suo genere pur nella solita confondente molteplicità di possibili riferimenti. Che a questo proposito: sono newyorkesi e gli viene di diritto, ok, ma a sentire il 90% delle linee di chitarra ci sarebbe una volta di più ragione di edificare una statua a grandezza naturale in oro e avorio a Tom Verlaine, e una in scala più piccola anche a James Chance (titolo alternativo per questo post: “give James a Chance”). Che in una bizzarra inversione di ruoli ieri sera in transenna c’erano un riga di vecchiazze che s’io fossi stato un sedicenne (anzichè una delle vecchiazze in transenna di cui sopra) li avrei molto schifati e guardati come si guarda chi è nel posto che non gli compete più da tempo. E invece in cuor suo ogni singola vecchiazza pensava che se James Murphy stava come un titano sopra quel palco e urlava con la voce strozzata dall’asma che «nobody’s coming undone, everybody here is afraid of fun» senza sembrare neanche per un istante un idiota, allora anche noi si aveva diritto di cittadinanza attaccati a quella transenna, che qualcuno provasse solo a dire qualcosa.

Il tutto, ricordiamolo, succedeva a Milano. Una città la cui attitudine poseur, fichetta, arrogante e provinciale nei confronti della vita e del vivere corrisponde perfettamente, per coincidenza, a quella dipinta nel breve testo della canzone che ha aperto lo show, Beat Connection. Dice: «Nobody’s falling in love/everybody here they need a shove/And nobody’s getting any touch/everybody think that it means so much/And nobody’s coming undone/everybody here is afraid of fun/And nobody's getting any play/It's the saddest night out in the USA.» Murphy dice di averla scritta pensando alla gente che si trova davanti quando suona a New York. Murphy, per sua fortuna, è capitato a Milano nell’unica settimana dell’anno in cui Milano - per una banale questione matematica - sembra per davvero quasi una metropoli, la sua naturale base di uffici stampa, vittimisti del fashion, palazzinari del terziario e bevitori di aperitivi messa in minoranza da un afflusso di giovani architetti, designer, studiosi di linguaggi della comunicazione provenienti da tutto il mondo. Gente realmente cosmopolita, questa, che con il semplice abitare questa città per qualche giorno le imprime un colore meno spento e provinciale del solito. James Murphy e il concerto di ieri notte continuavano ancora a ronzarmi nella testa oggi pomeriggio, girando quella specie di Brick Lane che è stata negli ultimi cinque giorni la Zona Tortona del FuoriSalone, in mezzo - appunto - a giovani architetti austriaci e gentilissime designer svedesi ed alle loro camere da letto fatte solo di sottili strisce di rafia appese al soffitto e due lampade nascoste negli angoli strategici (Complete Bedroom), o agli oggetti d’arredo domestico costruiti prendendo spunto, in maniera non banale, dal design istituzionale della metropolitana di Londra (AllZones). E forse non è un caso, forse il design è davvero the new rock’n’roll, visto che tutti e due hanno poco da inventare e principalmente elaborano variazioni minime sul già esistente, riciclano ciclicamente i grandi temi del passato ed è quasi sempre il talento nel riassemblare a fare la differenza tra un buon design ed un design mediocre. Forse è solo una coincidenza, chissà.
Domani, comunque, è un altro giorno, e si va in pellegrinaggio semi-segreto ad ascoltare il nuovo dei White Stripes.

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Saturday, April 16, 2005

Perchè Four Tet mi ha fatto (con rispetto parlando) cacare, ed altri divertenti racconti del venerdì sera

Essere folgorati da una meravigliosa rivelazione: tutto questo deferente rispetto, tutto questo farsi piccini piccini e sagomare una “o” colla boccuccia, tutta questa reverenza nei confronti del laptopista che strilla più forte, tutto questo scostarsi al suo transito: ebbene, tutto questo non mi riguarda più. Mi ha riguardato, certo. Anch’io ho speso parole dense e dolci come il miele d’acacia per spiegare (in genere a me stesso prima ancora che all’inclito lettore) quanto Four Tet e il fourtettismo siano cosa buona, giusta, fonte di salvezza e di preziosa rimessa un circolo d’energie per la musica elettronica tutta. Ma era l’altroieri: perchè ieri sera - invece - ho capito. Ho capito, nell’ordine, che:

A) Four Tet vuole essere challanging, ma sotto il profilo strettamente sonoro non è nemmeno pallidamente challanging se confrontato con i suoi omologhi vissuti tra il 1978 ed il 1982: Throbbing Gristle, Non, Cabaret Voltaire, Maurizio Bianchi, Factrix etc.etc.etc. Nei quali fra l’altro c’era una componente d’imprevedibilità (e quindi di tensione nell’aria durante i loro show) che era parte integrante del sentirsi challanged. Four Tet sarà pure estremo, radicale, intelletualmente stimolante e tutto quello che volete, ma si ha anche la netta sensazione che nulla di non previsto dal suo autore o dal suo pubblico succederà durante il concerto.

B) Four Tet ha raggiunto il proprio punto di rottura stilistico praticamente nello stesso attimo in cui è nato, sfruttando il laptop nelle sue potenzialità di 1) gestore “per frammenti” della composizione musicale e 2) di banco d’equalizzazione capace di intervenire anche nei micro-decimali della frequenza di ogni suono. Illimitato sotto il profilo della gestione dell’esistente, il laptop è in realtà molto limitato per quanto riguarda la concezione e la creazione di suoni “nuovi”. Quel limite lo si è già raggiunto un po’ di anni fa, più o meno con l’arrivo del timestretching avanzato e della jungle più astratta: da allora tutto quel che si è fatto è stato rifinire in maniera sempre più estrema e rarefatta i tagli di frequenze. Ad un orecchio “pop”, cioè non laureato all’IRCAM di Parigi, tutto questo risulta come una musica uniformemente tutta picchi e senza apparato digerente. (E non fate i furbetti dicendo «ah, ma questa è musica che flirta con l’avanguardia colta, con la classica contemporanea»: evidentemente è così, ma l’agone nel quale si gioca la partita è quello del “pop”, e dunque quello è il foro competente. E sticazzi).

C) La storia dei frammenti video a tempo con la musica ha - se possibile - rotto le palle ancor più dell’elettronica da laptop. Sono solo dei frammenti video a tempo con la musica, cacchio. Lo facevano i Coldcut quindici anni fa (con software che si erano inventati loro stessi, perchè ancora non esistevano), lo facevano i Cabaret Voltaire venticinque anni fa usando tre proiettori super8: ormai lo fanno anche all’Hollywood il sabato sera. Per quanto ancora dovremo rimanere a bocca spalancata?

D) «Sniff... sei tu che hai dei problemi, sei tu che non capisci, adesso chiamo mio cugino che conosce Stefano Isidoro Bianchi e te la fa vedere lui, ecco». Guardate: io passerei ore a scriverne - di come questa musica sia l’equivalente di provare a descrivere una partita di calcio avendo come unico strumento d’osservazione un microscopio - e addirittura giorni interi a leggerne quando chi ne scrive è gente come Simon Reynolds. Purtroppo dopo dieci minuti di Four Tet mi rompo le palle tantissimo, ma proprio tantissimo, al punto che vorrei possedere un iPod con dentro l’opera omnia dei Bee Gees, o anche solo un televisore sintonizzato su Music Farm. Del resto, il titolo di questo post annunciava che avrei spiegato perchè Four Tet mi ha fatto cacare: non che avrei spiegato se (e nel caso perchè) egli faccia cacare tout court. Missione felicemente compiuta.

I racconti del venerdì sera finiscono qui perchè voglio fare un salto a vedere gli atelier del FuoriSalone di via Tortona e poi mi viene tardi. E poi c’è di nuovo la maratona e poi ancora nella notte gli LCD. Con i punti in cui siamo rimasti in sospeso da ieri ci si risente domani. Comuque il posto dove fanno la maratona della Tdk è pazzesco: in certi momenti sembra di essere simultaneamente al Sónar di Barcellona, in gita d’istruzione con la scuola e ospiti del capitano Stubing sulla Pacific Princess. Enjoy your saturday night.

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Friday, April 15, 2005

Sorridi, sei sulla copertina di un disco electro così così

«Friday the 15th of April at 8pm Kitsuné are giving a little presentation of their projects at Ennezerotre studio In Milan (via settala 41, pretty close to central station) [oddio, «pretty close» mica tanto... NdB]
Since 2001 we have been making portraits of people we know. With their permission they feature on a few of the products we make. At 10pm at Rocket (via Pezzotti 52) there will be a screening of the 437 faces so far - you are probably one of them so if you are happy/not happy with your portrait it will be the perfect time to tell us.
At the stroke of midnight, with your participation, we will make the next Kitsuné Midnight cover live!»


Tranne la versione “alla Billy Joel” di Too Long dei Daft Punk fatta da Gonzales, credo non esista un solo 12” della francese Kitsuné che mi preoccuperei di mettere in salvo nel caso mi andasse a fuoco la casa. (No, neanche Man With Guitar di Man With Guitar; no, neanche Padre di Archigram). Però la loro estetica dada-nouvelvague-DIY non mi dispiace, e l’idea della foto di mezzanotte per la copertina della prossima compilation non sarà originalissima ma, come direbbe un sociologo, crea comunità. Dunque questo blogghetto, in piena frenesia da Settimana del Design, recheravicisi: anche se per recarvicisi entro mezzanotte dovrà mollare a metà il concerto di Four Tet alla maratona Tdk. E comunque dovrà mollare a metà anche il set fotografico della Kitsuné perchè all’una si chiudono le liste dei Magazzini Generali dove sopra suona Steve Bug, che noi però snobberemovicisi perchè nei sotteranei Luca de Gennaro mette i dischi indie-rock.

Domani su questi schermi: 1) i racconti del venerdì sera: per chi c’era e per chi invece ci sarebbe voluto essere. 2) la parte migliore dei concerti di T.Raumshmiere è la moglie di T.Raumshmiere nel backstage? 3) la gente si chiede: “di che campa la Tdk al punto da poter spendere e spandere euri per fare un festival, visto che non fa più le cassette e dei cd/dvd masterizzabili metà dei soldi li deve dare alla Siae?”.

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Il blogging spiegato a mia nonna

Di quell’inferno che è stato ieri l’evénto di Domus allo stadio San Siro (mentre verso l’una stavo scappando via senza neanche aspettare Chris Cunningham mi arrivava il seguente messaggio: «Qua allo stadio c’è Sodoma e Gomorra, è arrivata anche la Polizia») l’unica cosa che alla fine mi sento di condividere è la serie di super-poveristiche installazioni riunite sotto la sigla The Greenhouse Effect che nessuno si filava perchè erano proprio davanti il cancello d’ingresso e tutti invece correvano dentro lo stadio o su per le torri aspettandosi chissachè. Se non ho capito male le installazioni erano progetti elaborati dagli studenti di questa scuola di “design di prodotti e servizi derivati dalle tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni” chiamata Interaction Design Institute Ivrea (già scoprire che ad Ivrea c’è chi con i soldi di Telecom e Olivetti ha messo sù una scuola così è una cosa bella a sapersi). Uno di questi progetti in particolare, quello che ha ispirato il titolo di questo post, mette in relazione legami familiari e tecniche d’interazione tecnologica molto simili a quelle dei blog, e come tutti gli altri progetti elaborati dall’Institute parte dall’ipotesi di una società un po’ più informatizzata della nostra, una società nella quale appunto anche mia nonna avrebbe avuto un computer e gli skill di base per utilizzarlo. Si chiama The Family Scrapbook: nella homepage della sua autrice non è ancora riportato, quindi ricopio il testo della cartolina illustrativa che veniva distribuita ieri:

«The Family Scrapbook is an application that allows people who live away from their families to create a shared family history.
The Family Scrapbook is a shared virtual space where remote family members can store and share mementos of their personal life. The most recent entries can be seen on the forefront of different devices, giving a sense of what is happening in the lives of all family members. Over time, the scrapbook becomes a testimony of the shared life of the family.»


Ovviamente uno dirà «mbé? già abbiamo il telefono e il pranzo di Natale per renderci conto di quanto poco abbiamo da dirci con le nostre famiglie, senza bisogno anche di uno pseudo-blog», ma è proprio qui il bello del progetto: cioè da un lato la sua fiducia senza ombre nei legami e nella condivisibilità delle esperienze tra le generazioni, dall’altro il suo ricondurre i rapporti familiari a modalità quasi da primi del Novecento, quasi da (il filmato che lo illustrava ieri sera era un piccolo capolavoro!) figli emigrati che spediscono per posta le foto dei nipoti nati in America ai nonni rimasti in Calabria. A me poi piace molto anche il concetto che questi mementos condivisi vadano a costruire una sorta di tempietto familiare, o di album (meta)fotografico. Insomma, o aprite un blog a vostra nonna e le insegnate ad usarlo, oppure date una chance a The Family Scrapbook.

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Wednesday, April 13, 2005

E il 2 luglio a Milano (pare) i White Stripes...
...ma per ora le sole date confermate sono quelle di Beck:
• mercoledì 22 giugno: Ferrara (piazza Castello)
• giovedì 23 giugno: Genova (anteprima Goa Boa)

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Tuesday, April 12, 2005

Generazione M: come eravamo

In occasione della Settimana Milanese del Design (formerly known as Salone del Mobile) Weekendance.com ha deciso - viste soprattutto le numerose richieste - di rendere nuovamente disponibile, anche a chi all’epoca ancora suggeva il latte dal biberon, la striscia a fumetti sulla quale un’intera generazione formò la propria coscienza indie.

La storica striscia fu pubblicata su Rumore nel gennaio 1995, dieci anni fa esatti, e praticamente da subito divenne una specie di tormentone nell’edizione di quell’anno di Planet Rock su Radio Rai (la prima co-condotta dal sottoscritto). Eccola, nello splendore del formato .pdf, qui: dopodichè sarà archiviata, quale monito per le genrazioni future, in fondo al colonnino di sinistra. Un saluto a colui che disegnò, Mauro Marchesi, come si dice in questi casi “ovunque egli sia”.

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Saturday, April 09, 2005

Scene di lotta di classe al New Musical Express (aka: A Century Of Fakers 2005)
Il Guardian, che tutto sarà meno che un giornale conservatore, prende oggi posizione sulla questione che da un paio di settimane sta appassionando i lettori del NME. C’è questa band londinese chiamata The Others che ha fatto un singolo intitolato For The Poor il cui ritornello dice «This is for the poor/and not you rich kids». Alcuni loro fan “di buona famiglia” hanno scritto (a NME) chiedendo che, per favore, la band avesse un po’ di considerazione anche per quanti tra i loro fans avessero avuto la ventura di nascere in quartieri come Chelsea o Primrose Hill. Segue dibattito, ma la cosa più divertente di tutte è che NME - con una lucida visione del marketing che manco il Mucchio Selvaggio degli anni ruggenti - ha approfittato dell’occasione per darsi una mano di vernice lumpenproletariat prendendo a oltranza le difese degli Others e del loro essere “reali”. Con quali argomenti ce lo illustra oggi il Guardian: «With a glaring lack of insight, an NME writer argued that "great rock'n'roll has long been born out of the frustration and desperation that go hand in hand with being working class ... The best bands form because their hearts tell them they had no choice - not to provide a second option if the probable career in law falls through". This is the received wisdom - that the working classes are a thriving hotbed of noble, immaculately dressed creativity, pausing only from a life of physical toil to reinvent popular culture every eight years. However, by picking specious examples you could equally argue that the middle classes gave us Bowie, the Stones and Kate Bush, while the working classes produced Chumbawamba, Skrewdriver and Mud.»

Se ne conclude che: ritrovarsi oggi a farsi dare lezioni di marxismo-giocattolo da band che riciclano slogan e attitudini di chi combatteva contro la Thatcher a fianco dei minatori nel 1983 è quel che succede quando non si ha il coraggio (per paura di passare per vecchiazze nostalgiche) di dire “cretini” a tutti quei gruppi che si sentono fichi solo perchè hanno ricopiato uno per uno i riff dei Gang Of Four.

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Tuesday, April 05, 2005

«Come sarebbe non me l’hai data? E secondo te adesso quattro pagine su Rumore le si regala così, senza neanche una fettina di culo in cambio?»
Giusto nel caso a qualcuno di voi fosse inspiegabilmente sfuggito, nel corrente numero della rivista Zero2 è possibile leggere, in ultima pagina, il seguente scambio di battute:

Zero2: A chi l’hai data per farti fare un pezzo di 4 pagine su Rumore?

Violetta Beauregarde: Va bene il rampantismo sociale, ma darla a Fabio De Luca è francamente contro ogni dettame morale.

Ci ho lungamente riflettuto, e debbo riconoscere che mi ha colpito - oltre che favorevolmente sorpreso - apprendere che addirittura esista un “dettame morale” che impedisce a Violetta di darmela. Cioè: lei me la darebbe ma si trattiene di fronte ad un imperativo (pardon: dettame) morale? Il suo corpo brucia di passione lacerato tra il desiderio di darmela ed il dettame morale che invece, fieramente, si oppone? “Dettame morale” is the new “caro, ho mal di testa”?

Ciò detto, non oso pensare cos’ha dovuto dare Manuel Agnelli a Claudio Sorge per avere il suo faccione sulla copertina attualmente in edicola... [faccina sorridente] [faccina ammiccante] [faccina ammiccante]

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Saturday, April 02, 2005

Neil Young (parlandone da vivo)
Sembra che Neil Young sia stato operato d’urgenza, ieri, per rimuovere un aneurisma, ed abbia rischiato di lasciarci le penne. Nei comments alla notizia su M-O-D si discute del fatto che, fiuuu, meno male che non è morto, altrimenti nel bailamme di questi giorni chi se lo sarebbe filato il povero Neil? Eppure - ragionando per paradossi, è ovvio - non sarei mica così sicuro che, almeno sotto il profilo mediatico, Neil avrebbe fatto un cattivo affare a lasciarci le penne ieri. È vero: nei comments si citava il famigerato caso di Marc Bolan, morto lo stesso giorno di Elvis Presley e dunque oscurato nella sua uscita di scena dal più noto collega (che è esattamente quello che rischia di succedere in questi giorni al tapinissimo Ranieri di Monaco). Però: in tv - qui in Italia almeno - siamo da ormai due giorni in mezzo a una non-stop funeraria a reti unificate dalla quale, per ragioni di rispetto, vengono preventivamente eliminate tutte le notizie non sufficientemente listate a lutto. Gli anchormen - basta guardarli - non ce la fanno più a far melina intervistando cappellani e passando la linea ai colleghi vaticanologi spremuti come pompelmi. La notizia della morte di Neil Young (considerando che Neil Young non è Marylin Manson e nemmeno Piero Pelù, e - anzi - in quanto “vecchio”, “poeta” e “con la chitarra” è percepito dai media generalisti come automaticamente conservative, e dunque in qualche perversa maniera assimilabile pure alla weltanschauung cattolica) avrebbe offerto a tutti una boccata d’aria: la possibilità, per cinque minuti, di avere un focus d’attenzione diverso dalla veglia pre-funebre ma - al tempo stesso - perfettamente rispettoso del mood dominante. Cinque minuti moltiplicati per dieci volte al giorno per sette reti televisive fanno un’attenzione mediatica come Neil Young non ce l’ha mai avuta in tutta la sua vita.
Ciò detto, lunga vita a Neil.

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Friday, April 01, 2005


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