Joss Stone: mind the Gap, please
 

di: Fabio De Luca




In America non potevano credere ai loro occhi. "Quella ragazzetta bionda sarebbe Joss Stone?" pare abbia mormorato l’incredulo dee-jay di una stazione radio di Chicago quando se l’è trovata di fronte per la prima volta. E ciò che ha pensato immediatamente dopo - ma in quanto dee-jay beneducato ha avuto il buon cuore di non dire a voce alta - è che con addosso quei jeans coi brillantini e quel top di tessuto batik pericolosamente hippy, con quelle gote rosse e pienotte da cartoon giapponese, Joss Stone sembrava una delle tante ragazzine che ogni giorno gli telefonavano alla radio per richiedere l’ultimo singolo delle Destiny’s Child. Non fosse stato per la sua voce (e per le insistenze della casa discografica che aveva appena pubblicato il suo disco di esordio), Joss sarebbe stata cortesemente riaccompagnata alla reception. Errore imperdonabile. Oggi, un anno e mezzo più tardi, Joss Stone è il nome a cui tutti guardano: e non più soltanto - non solo, almeno - per la sua voce. È successo tutto nell’ultimo mese e mezzo, ad una velocità tale che lei per prima sarà probabilmente stupefatta. Perchè alla fine dello scorso marzo Joss era ancora "solo" uno straordinario talento soul: non esattamente una sconosciuta, visto che il suo album di esordio dello scorso anno - The Soul Sessions - aveva comunque venduto due milioni di copie, che per una ragazzina neanche diciottenne (ha compiuto diciott’anni soltanto lo scorso 11 aprile) non è un brutto risultato. Eppure sarebbe ancora poco, perchè di enfant prodige che vendono dischi alla fine ne è pieno il mondo. È di "stile" che c’è carenza: di facce e personaggi in grado di oltrepassare il punto di non ritorno, capaci di lasciare un segno che vada al di là della professione per cui sono pagati - che sia il fare dischi, film o quant’altro.

Un punto di non ritorno che Joss ha superato ad aprile, praticamente senza accorgersene, al punto che si potrebbe quasi parlare di predestinazione. Primo passo: l’edizione inglese del mensile Vogue le dedica un lungo articolo corredato da servizio fotografico. Per il suo nuovo disco Mind, Body and Soul? No, perchè a Vogue vedono in lei, in quel sorriso da brava sorellina che aiuta la mamma a sparecchiare, in quel visino disarmante nella sua freschezza (ma anche rotondetto quanto basta a ipotizzare - forse - futuri sovrappesi e relative lotte per tenerli a bada), la "ragazza qualunque" che il mondo stava aspettando. Talmente qualunque da non essere neanche particolarmente scafata in fatto di stile, con i suoi jeans e le sue t-shirt "etniche". Alla trasformazione ci pensa Vogue. Via i jeans, al rogo i tessuti batik: Joss emerge dalle pagine come una sirena dentro un torrenziale abito da mezza sera firmato Galerie Gaultier; poi avvolta in una specie di fantastico involucro di cioccolatino disegnato da Alberta Ferretti; poi ancora con indosso un molto classico abito lungo di seta crespa by Valentino, ed una sobria creazione in seta nera di Ungaro. Unico capriccio, l’aver ottenuto dalla stylist di Vogue il permesso di non indossare scarpe (permesso ottenuto dopo averle detto che lei anche quando canta non indossa mai le scarpe!). Passa qualche giorno: il mondo non si è ancora abituato alla nuova Joss Stone quando la catena d’abbigliamento statunitense Gap annuncia di averla scelta come nuova testimonial "giovane" della propria linea jeans a fianco della star di Sex & The City Sarah Jessica Parker (che contrariamente a quanto si è letto in un primo momento non è stata licenziata, ma continuerà a rappresentare Gap presso le fasce di pubblico più agé e conservatore). Ci risiamo con i jeans: ma almeno, stavolta, di marca.

E ancora non è finita, perchè - definitivamente trasformata nel "volto presentabile" della gioventù britannica - Joss viene scelta dal quotidiano The Sun come uno dei testimonial per la campagna "Rock The Vote" che dovrebbe convincere i giovani inglesi a recarsi in massa alle urne il prossimo 5 maggio. Scelta impeccabile, visto che quest’anno lei stessa voterà per la prima volta. Il rischio adesso è solo uno: dimenticarsi la vera ragione per cui, in origine, ci si era accorti dell’esistenza di Joss Stone, cioè la sua voce. Voce che fra l’altro pare fatta apposta per evocare il più trito dei cliché, quello di un’esistenza straziata dall’alcool, dalle sigarette senza filtro e sopratutto da amori molto, molto infelici. Immediati i tentativi di tracciare paralleli con le biografie di Janis Joplin, Nina Simone, Billie Holiday. Ma il paragone non regge: Joss nasce da una buona famiglia della provincia inglese. Niente infanzia disadattata, niente povertà. Men che mai adesso che - con un fatturato annuo di 5 milioni di sterline - Joss è ufficiamente entrata al quattordicesimo posto nella superclassifica dei contribuenti più ricchi secondo il fisco inglese (per la cronaca: David e Victoria Beckham sono al secondo con 75 milioni di sterline, Chris Martin dei Coldplay al quarto con 10 milioni). Alcool e cuori infranti, almeno? Niente da fare: Joss dichiara di non aver quasi mai toccato alcool in vita sua, e di essere "ancora troppo giovane" per aver avuto occasione di farsi spezzare il cuore come si conviene ad una cantante blues...

Chi adesso se la ride più di tutti è però Steve Greenberg: l’uomo che aveva capito tutto quando per il resto del mondo Joss Stone era ancora solo un’impacciata dodicenne con una madre un po’ sadica ed un po’ esibizionista che la iscrisse ad uno show televisivo della BBC - Junior Star For a Night, una sorta di Piccoli Fans locale - dove Joss sbaragliò la concorrenza dei coetanei cantando On The Radio di Donna Summer. Era il 1999: due anni dopo una registrazione di quello show finisce nelle mani di Greenberg, e ovviamente ognuno è libero di pensare il peggio di un discografico che ritiene parte del suo mestiere di discografico il visionare videocassette di show televisivi per bambini, ma il punto è che Greenberg vede "qualcosa", e quel qualcosa lo convince a mettere sotto contratto Joss Stone. Il resto è storia recente. E il commento di Joss sul suo stesso successo è forse il miglior sottotitolo: "non so se davvero mi merito tanta attenzione: in fondo tutto ciò che faccio è cantare dentro un microfono". Beata innocenza.

(da: Io Donna, 30 aprile 2005)