Duran Duran: Wild Boys vent’anni dopo
 

di: Fabio De Luca




BERLINO. "Siamo contenti, contentissimi. Contenti come non lo eravamo da anni!" esordisce con voce baritonale e appena un po’ affettata l’uomo biondo vestito di una elegante (ma non eccessivamente appariscente) giacca che potrebbe essere Prada. Si chiama Nick Rhodes, ed è perfettamente umano tranne che per una lieve ombra scura che circonda i suoi occhi. E sarà pure autosuggestione, sarà pure l’effetto delle luci soffuse, ma la prima cosa che ti viene da pensare è che quell’ombra sia come una traccia indelebile del passato di quest’uomo. Come se l’abuso di mascara negli anni d’oro gli avesse lasciato in eredità una specie di mascherina naturale, tipo panda, tipo Banda Bassotti. Accanto a lui, aristocraticamente stravaccato in poltrona, un altro biondo il cui nome, in altri tempi, riempiva l’aria delle hall negli hotel di lusso e negli studi televisivi, in genere sibilato in coro tre ottave più in alto del normale ("Siiiiiimooon!"), in genere accompagnato da scene d’innamoramento di massa che neanche i Beatles nel 1965. Vent’anni dopo Siiiiiimooon è leggermente sovrappeso, ma certo non orrendamente buzzicone come vorrebbero le malelingue. Anche lui, come il suo socio, si dichiara "contentissimo!" di essere qui, contentissimo all’idea di cominciare un nuovo tour, contentissimo del disco in uscita.

Occorrerà farsene una ragione: i Duran Duran sono tornati. Non che fossero mai andati via: si erano semplicemente limitati, per un decennio abbondante, a fare dei dischi mediocri ed a cavalcare occasionalmente la tigre di pelouche della nostalgia e del revival. Stavolta però la cosa sembra seria: stavolta sono tornati nella formazione "originale", quella dei primi tre dischi, quella che stilò pagine memorabili quali Rio, Hungry Like The Wolf, Planet Earth, New Moon On Monday e Save a Prayer (solo per fermarsi alle più famose). E il disco nuovo, Astronaut, non è affatto male, anzi.
Simon Le Bon, Nick Rhodes, John Taylor, Andy Taylor e Roger Taylor. Che nessuno li avesse dimenticati anche durante gli anni bui è un dato di fatto: è bastato che pubblicassero un nuovo singolo, (Reach up for the) Sunrise, ed eccoli direttamente alla numero due dei dischi più venduti in Italia. È vero che con l’Italia i Duran Duran hanno da sempre avuto un rapporto particolare. Anzi: a volerla dire tutta, in Italia tra l’85 e l’87 i Duran Duran sono stati una cosa talmente esagerata, onnivora e totalizzante da rendere impossibile - anche a posteriori - valutarli con obiettività. Nel ricordo di chi quegli anni li ha vissuti i Duran Duran sono tutt’uno con le impossibili bluse Naj Oleari di cui si vestivano le fan, con Wild Boys sigla del "paninaro" a Drive In, con quel folle Sanremo 1985 in cui Simon si esibì con un piede ingessato (la leggenda tramanda che se lo procurò calandosi da una finestra cercando di sfuggire alle ire di un marito geloso), con la Milano barocca e già compiutamente "da bere" che fa da sfondo a quello strano caso di pulp adolescenziale che fu Sposerò Simon Le Bon (libro e successivamente film). Ed è vero che i paninari di allora adesso avranno ormai moglie e figli, mutui da pagare o forse già pagati (in fondo son passati vent’anni), ma è anche vero che certi imprinting sono duri da cancellare, non te li togli più di dosso. Meglio provare a scherzarci sopra, allora. Leggere per credere il blog collettivo Ualbois!, che da qualche mese esorcizza, con una sorta di quotidiana sedutta collettiva online, gli spettri affettivi, musicali ed estetici della generazione "duraniana" che adesso ha trent’anni o poco più. Tanto "l’Italia è il paese nel quale mi diverte di più essere riconosciuto per strada" dice Simon. "Ancora oggi il calore che ci date voi in Italia non ha eguali da nessuna altra parte".

L’atmosfera che circonda il vostro nuovo disco è quella di una sorta di "nuovo inizio": è così?

Nick. Si, credo si riesca a sentire, ascoltandolo. La ragione che ci ha spinto a registrarlo era una sola: cercare di creare qualcosa che avesse le freschezza e la potenza del nostro disco del 1981, il nostro primo disco, quello intitolato Duran Duran. Era una grande responsabilità, perchè non ci saremmo accontentati di niente che non fosse all’altezza di quel disco, ma sapevamo di poterlo ancora fare.

Ovviamente non siete mai scomparsi nè vi siete mai sciolti, nonostante alcuni cambi di formazione. Però il fatto di ripartire "da zero" è un po’ come riconoscere che non tutte le cose che avete fatto negli ultimi anni erano esattamente memorabili...

Nick. Punti di vista. L’album di cover che abbiamo pubblicato nel 1995, Thank You, ha ricevuto probabilmente le peggiori recensioni che abbiamo mai avuto in tutta la nostra carriera, ma al tempo stesso - con la sola eccezione di Elvis Costello - tutti gli artisti di cui abbiamo reinterpretato le canzoni ci hanno inviato dei messaggi di grande amicizia. Un giorno abbiamo incontrato Bob Dylan e lui ci ha detto che la nostra versione di Lay Lady Lay era persino migliore della sua. Ovviamente non gli abbiamo creduto, però è comunque una cosa bella da sentirsi dire, no?

E’ nata prima l’idea di rimettere insieme la band originale oppure di fare un nuovo disco?

Nick. E’ stato John (Taylor n.d.r.) ad avere l’idea di rimettere insieme la vecchia formazione. Diceva che gli sarebbe piaciuto allestire un paio di show dal vivo, vedere se eravamo ancora capaci di divertirci come un tempo. Io ho detto subito che la cosa non mi interessava a meno che nel progetto non fosse incluso anche un nuovo disco. Quando ci siamo rivisti per la prima volta tutti insieme, attorno ad un tavolo in un ufficio di Londra, ci guardavamo l’un l’altro con un po’ di sospetto. Non perchè ci fossero problemi tra noi, anzi, ma perchè ci chiedevamo "funzionerà davvero questa cosa che vogliamo fare? non finirà per farci solo del male, per farci passare per l’ennesima band nostalgica?".

Simon. ...ma d’altro canto abbiamo subito capito che dovevamo farlo. Era un rischio, ma se non avessimo provato non avremmo mai saputo cos’eravamo ancora in grado di fare.

Nick. I Duran Duran non si sono mai tirati indietro quando c’era da correre dei rischi. Limitarsi ad organizzare un paio di spettacoli dal vivo - sia pure con la formazione originale - non era particolarmente rischioso. Salire su un paio di aerei, suonare di fronte al nostro pubblico? Bello, ma per nulla rischioso. Fare un disco nuovo invece quello sí che era rischioso, perchè avrebbe portato la gente a fare paragoni con quello che avevamo fatto in passato. Quindi abbiamo deciso che ci saremmo chiusi in uno studio di registrazione per provare a vedere cosa sarebbe successo.

Quando vi siete accorti che si era ricreata la magia dei bei vecchi tempi?

Nick. Nel momento stesso in cui abbiamo attaccato gli strumenti in sala di registrazione! È stata una sorpresa anche per noi: alla fine del primo giorno avevamo già una canzone pronta, e le altre sono seguite in brevissimo tempo.

Simon. E’ stato come quando ti tuffi in piscina: c’è un istante in cui sei asciutto, e quello dopo sei bagnato. A noi è successo lo stesso con le canzoni, ci siamo trovati in mezzo al mood delle nuove canzoni praticamente nel giro di pochi minuti da quando ci siamo incontrati, quasi senza accorgercene, senza aver pianificato nulla.

Il disco suona molto come i "vecchi" Duran Duran: è stato un caso oppure è qualcosa che avete cercato deliberatamente di ricreare?

Simon. Non è stato intenzionale: è semplicemente successo che ritrovarci ha rimesso in circolazione la stessa eccitazione che sentivamo allora.

Nick. E’ un disco nato in maniera molto naturale: probabilmente siamo riusciti a tirare fuori l’essenza del suono dei Duran Duran come non ci riusciva da tempo, per questo può ricordare le nostre prime cose. Ma non c’è stato nulla di studiato, siamo semplicemente noi. Io rovescerei la questione: più che dire che le nuove canzoni suonano come i vecchi Duran Duran, direi che alcune delle nostre prime canzoni - mi viene in mente Waiting For The Boat Show dal primo album - erano talmente avanti da suonare attuali ancora oggi!

Dicevate prima che i Duran Duran non si sono mai tirati indietro quando c’erano da correre dei rischi: pensate che questo aspetto vi sia stato riconosciuto abbastanza?

Nick. Credo che il nostro pubblico ci abbia riconosciuto tutto, e con un affetto incommensurabile che ancora dura nel tempo. Circa i giornali... beh, non si può avere tutto. Talvolta ci hanno attaccato molto violentemente, ma il nostro mestiere era scrivere canzoni che entrassero in contatto con la gente, non cercare riconoscimenti. Sono convinto che i Duran Duran abbiamo sempre messo qualcosa di speciale in tutto ciò che hanno fatto. Jean Cocteau una volta ha detto: "prima li sconvolgi, poi ti mettono in un museo". Beh, noi siamo riusciti sempre a rimanere fuori da quel museo. Capisco che per molti siamo una sorta di icona immobile degli anni Ottanta, ma nel profondo noi siamo dei ribelli, ci piace sperimentare: nel 1997 abbiamo pubblicato un pezzo intitolato Electric Barbarella, che è stata la prima canzone in assoluto ad essere resa disponibile per il download a pagamento in Internet. All’epoca l’industria ci creò un sacco di problemi per quella scelta. Adesso ci piace lavorare con produttori provenienti dalla dance o dall’r’n’b perchè aggiungono un punto di vista diverso dal nostro al suono dei Duran Duran. Nei mesi passati siamo stati ad un passo dal collaborare con il team newyorkese DFA, quelli che hanno prodotto il disco dei Rapture. Poi non se ne è fatto nulla, ma è una possibilità aperta, magari succederà in futuro, sarebbe un incontro interessante.

Che ricordi avete di quella pazza folle stagione in cui in Italia eravate delle specie di divinità?

Nick. Oh, tantissimi ovviamente. La situazione più incredibile in cui ci trovammo in mezzo fu però il concerto allo stadio di Bari nel maggio 1987. Il pomeriggio prima del concerto eravamo in hotel, abbiamo acceso la televisione e c’era David Zard, il promoter, che veniva arrestato... La giunta comunale aveva revocato l’autorizzazione ad utilizzare lo stadio per il concerto, qualcosa del genere. Poi ci hanno spiegato che nei giorni precedenti c’era stata una vera e propria campagna politica contro "il concerto dei terribili Duran Duran", e uno degli argomenti era che i nostri fan avrebbero distrutto il manto erboso dello stadio. Alla fine ci hanno lasciato suonare, a condizione che il prato non venisse toccato, quindi noi eravamo ad un estremo dello stadio mentre il pubblico era sulla gradinata opposta, e in mezzo - sul campo da gioco - si aggiravano solo alcuni politici locali, le loro mogli ed un paio di carabineri...

Simon. ...e appena abbiamo cominciato a suonare si è scatenata una tempesta, la più grande che abbiamo mai visto in vita nostra. Abbiamo suonato tutto il concerto in mezzo al vento e alla pioggia. A parte tutto, però, è stato un periodo indimenticabile. A proposito, sai che fine ha fatto Red Ronnie?

Ha un sito internet e un conduce un programma su una tv satellitare. Volete dire che il vostro ricordo più vivo di quella stagione è Red Ronnie?!?

Nick. Beh, lui è stata una presenza costante e un caro amico. Un curioso personaggio, e gli va riconosciuto di essersi occupato di noi molto prima che diventassimo il fenomeno che poi siamo diventati. Ciao Red, ovunque tu sia!

(da: Musica di Repubblica, 14 ottobre 2004)