I Maniaci Dei Dischi: il futuro è un dj con sei braccia
 

di: Fabio De Luca




"I Maniaci Dei Dischi": basta la parola e già te li immagini, fanatici e un po’ nerd, con i calli sulla punta del dito medio destro per le lunghe interminabili ore di vaschettamento in qualunque negozio o mercato o magazzino nel quale siano in vendita dei dischi... Finchè non scatta il più miracoloso tra i miracoli che talvolta avvolgono il mestiere di dj: quando, in qualche modo, le ore di vaschettamento ed i pomeriggi passati a fare pratica tra i due Technics e il mixer si trasformano in una fantastica esperienza di condivisione tra quei figuri che suonano i dischi in consolle e la gente che li balla in pista. Non si capisce quasi mai come funzioni, ma quando funziona è meraviglioso. E’ fantastico anche perchè è una cosa creata - alla fine - con un minimo apporto di tecnologia: due giradischi, un mixer, un dj e una collezione di dischi. Il fascino esercitato dai "sound system" di cui avete letto nelle pagine precedenti risiede in larga parte anche in questo, nella "semplicità" della loro formula. Loro suonano e la gente balla. Il trucco più antico del mondo. Stregati da dei maniaci? Possibile. I Maniaci di cui ci occupiamo oggi, però, sono tre. Il portavoce è Painé, 27enne mezzo argentino e mezzo milanese che già da tempo abita nel pantheon degli eroi di Rumore (il nuovo disco a suo nome - Spontaneous - lo trovate recensito proprio su questo numero). Seguono Dj Fonx, ventinove anni, e Dj Herrera, 19, entrambi pisani, cui si unisce occasionalmente un bassista, Bombo, e vari ed eventuali MCs. Cosa suonano i Maniaci Dei Dischi? Bella domanda... Quanto tempo avete per ascoltare la risposta? Perchè l’elenco potrebbe essere davvero molto lungo... Funk, black, jazz, reggae, rocksteady, dub... tutte le derive possibili e immaginabili della musica nera (inclusa un poco - appena un poco, eh - di house: quella più deep e spezzata). Ma forse la domanda corretta è "come" i Maniaci suonino tutto ’sto popò di storia della musica black. Ci arriveremo tra poco. Intanto la domanda è: sono un sound system? "Non siamo un sound system nel senso che non abbiamo un impianto che "fisicamente" gira insieme a noi" dice Painè; "al massimo ci portiamo i nostri mixer o banchi di effetti e campionatori". Di fatto però i Maniaci dei Dischi recuperano proprio quella che è la filosofia-base del sound system, nel senso di "comunità che crea il party per la collettività".

Quando girano in formazione "completa" i Maniaci Dei Dischi contano sei piatti e tre mixer, che confluiscono in un ulteriore mixer "generale" controllato dal bassista al quale si allacciano anche il basso, il campionatore ed eventuali tastiere. La formazione completa dei Maniaci la si può ascoltare una volta al mese al Cox 18 di Milano, e occasionalmente (più spesso in formazione variabile) in posti "sensibili" della penisola italiana tipo i Mercati Generali di Catania (info aggiornate sulle date su: www.compl8.com). Ah, i Maniaci suonano solo e strettamente vinile, ça va sans dir... Ma come funziona l’apparentemente complessa struttura "live" dei Maniaci? Come abbiamo visto ci sono tre djs: uno dei tre manda il "groove" principale e gli altri due (ed eventualmente il bassista) gli vanno dietro "sovrapponendo ritmi ed effetti, "incastrando" frammenti di altri dischi o dialoghi da film" spiega Painè, "ricreando la struttura dei pezzi mentre li si suona, realizzando in pratica una sorta di unico lunghissimo remix dal vivo". Più facile vederlo fare che spiegarlo, certo... Eppure questa apparentemente complicatissima jam tra djs è tutto meno che il trionfo finale del virtuosismo. "C’è una quantità di tecnica in gioco, certo", riflette Painé, (e non stentiamo a credergli), "e capita anche che qualcuno di noi si metta a scratchare: ma il lavoro di noi Maniaci più che al virtuosismo è finalizzato al rendere tutto l’insieme fluido e coinvolgente. Il nostro non è "turntablismo": siamo dei dj, non ci interessa essere dei performer, lo scopo è comunque sempre il ballo! Ci piace pensare all’entità "Maniaci Dei Dischi" come ad una sorta di dj con sei braccia...".

Il modello riconosciuto è quello del Solid Steel Show (la jam radiofonica diffusa settimanalmente dai dj della londinese Ninja Tune su una syndacation di radio internazionali e on-line su www.ninjatune.net/solidsteel), "anche se già nel 1996", ricorda Painé, «quando con Lele Sacchi abbiamo creato le serate Compl8, lavoravamo sempre con 4 piatti, sul modello di Dj Food, alternando instrumental hip-hop e drum’n’bass, oltre a puri breakbeat. Alla fine i Maniaci sono un’evoluzione di quello che facevo già allora con Lele, con in più tutti queli suoni spezzati che sono nati negli ultimi anni - e dopo aver superato anche una mia prevenzione di allora nei confronti della house, di cui adesso certe cose più "deep" in effetti mi piacciono". La domanda a questo punto nasce spontanea: quanto è improvvisazione nelle performance dei Maniaci e quanto frutto di serie e meticolose prove? "E’ un misto" dice Painè, "anche se la gran parte di quello che facciamo "succede" senza averla programmata, per il semplice fatto di trovarci insieme. Ovviamente siamo molto affiatati, abbiamo gusti musicali ed anche una "percezione" della musica molto simile. Comunque in linea di massima non proviamo quasi mai, anche per questioni di lontananza geografica. Quando ci incontriamo, ascoltiamo i nuovi dischi che abbiamo comprato, e di là nasce tutto... In realtà la quasi totalità di quello che facciamo dal vivo è improvvisato: casomai l’analisi viene dopo, quando riascoltiamo le registrazioni delle serate e cerchiamo di capire dove è possibile migliorare". Troppo complicato? No davvero. "Il nostro è uno show molto più alla portata "di tutti" di quel che può sembrare a raccontarlo a parole" sorride Painè: "la cosa che ci piace è far divertire la gente "normale", quella che va a ballare per divertirsi. Poi sappiamo che in una serata ci saranno sempre due o tre come noi, quelli che vanno a sentire Domu per sapere quali nuovi dischi si è comprato a Londra. Ma non è per loro che suoniamo: noi suoniamo per tutti".

Vengono in mente i dj "di una volta", quelli della vecchia scuola newyorkese (Francis Grasso, David Mancuso...). Anche in considerazione del fatto che i set dei Maniaci Dei Dischi non sono mai più corti di sei ore. L’idea - molto d’altri tempi - è quella di un dj che costruisce la propria serata da zero: la apre mentre ancora gli addetti al bar stanno pulendo il bancone, la fa crescere, la porta al suo picco e quindi la fa scendere fino alla sua naturale conclusione. "Sei ore fatte come le facciamo noi" confessa Painè, "sempre in costante jam e tensione, sono dure: dopo ogni serata dei Maniaci abbiamo bisogno di almeno due giorni di riposo!". E come era appunto per i dj non ancora divisi "per genere" degli albori della disco, molto prima che la house e le sue derive facessero coincidere lo stile di ogni dj con uno stretto sottogenere, i Maniaci - nel corso delle sei ore - spaziano: "se c’è una bella canzone da ballare noi la suoniamo, senza prevenzioni. Ovviamente apertura non significa "tutto" indiscriminatamente: ciò che conta è quello che metti nella borsa dei dischi prima di uscire di casa. Il negozio di dischi dove cerchi le cose che poi suonerai è l’equivalente per un dj di quello che la sala prove è per un gruppo rock". La prossima sfida dei Maniaci è di portare "su disco" quella stessa varietà di sensazioni e di stili che appartiene alle loro serate di djing. Da qualche mese è uscito un 12" - Our House (Temposphere) - e l’album dal probabile titolo Hey Presto! dovrebbe seguire entro fine anno. Anche se la sfida più affascinante rimarrà quella dei sei giradischi vs. il dancefloor. Al cui proposito: tre djs + bassista + MC è il limite massimo consentito oppure è pensabile di incrementare ancora la "band" con - ad esempio - un quarto dj?!? Painè non si scompone: "un quarto dj sarebbe una sfida interessante... certo, bisognerebbe trovare uno dotato di quella elasticità mentale tale da riuscire a combinarsi con noi. Quando io e Fonx abbiamo incontrato Herrera quasi non ci potevamo credere: era esattamente il pezzo mancante. E’ una questione di sensibilità e di saper mettere la propria bravura individuale in secondo piano - o meglio, di saperla mettere al servizio di un obiettivo più ampio. E’ come per i musicisti di una band: secondo te i musicisti di James Brown sacrificavano qualcosa della loro mostruosa bravura individuale? No, ognuno di loro dava il suo contributo al suo meglio. E il risultato detta legge ancora oggi".

(da: Rumore, aprile 2003)