Damon & Jamie: Gorillaz nella nebbiaz
 

di: Fabio De Luca




Milano. Una di quelle terrazze sul nulla che i milanesi costruiscono probabilmente in omaggio alle terrazze sul mare viste durante le vacanze. Un albergo, ovviamente, di quelli ragionevolmente eleganti dove scendono, talvolta, le rockstar in visita pastorale. È un pomeriggio di fine aprile, ed è giorno di pubbliche relazioni italiane per Damon Albarn e Jamie Hewlett. Damon Albarn è "Damon Albarn dei Bluuur", e tanto basta. Jamie Hewlett è stato, una decina d’anni fa circa, l’inventore del definitivo fumetto "cyberpunk" anni Novanta, l’ironica saga della guerrigliera proto-Skunk Anansie Tank Girl. Insieme, Damon e Jamie (e una caterva di altri amici ed ospiti tra cui il produttore Dan The Automator, il dj Kid Koala, Yuka Honda delle Cibo Matto, Tina Weymouth dei Talking Heads, Ibrahim Ferrer di Buena Vista Social Club etc. etc. etc.) sono i GORILLAZ, progetto "cartoon" del quale, in teoria, non si dovrebbero conoscere le identità segrete dei progettisti. Ma tant’è: il segreto di Pulcinella. "Tutto quanto", esordisce Damon, "era partito per essere un esperimento assolutamente sottotono: ci siamo ritrovati primi in classifica praticamente senza accorgercene". Con una sola ricetta segreta: "Io è Jamie abbiamo diviso una casa per un anno e mezzo circa", racconta Damon. "È per quello che i Gorillaz funzionano: quando hai gestito i turni per lavare i piatti, gestire una rock band è la cosa più facile del mondo".

Ok, chi lavava i piatti allora?

Damon. Jamie. Io cucinavo, Jamie lavava i piatti.

Jamie. Più che una coabitazione è stata una serie infinita di parties: il più incredibile è stato quello in cui nello stesso salotto - il nostro - si sono ritrovati insieme Kate Moss, alcune Spice Girls, Marianne Faithful, membri dei Radiohead, due o tre dei Pavement, un Pink Floyd più svariati spacciatori e teppistelli che abitavano nella zona. Quando ad un certo punto Kate Moss è crollata svenuta nelle braccia di Marianne Faithful, Marianne ha detto la frase poi rimasta celebre tra i nostri amici "oh, è proprio come negli anni Sessanta, ai tempi degli Stones!"...

Damon riassume il senso della coabitazione e di quel che ne è seguito in una semplice massima: "È stato un anno rumoroso: il progetto Gorillaz è un po’ quello che ci resta di quell’anno". Quand’è, allora, che il serio Dan The Automator è entrato nelle rumorose vite di Damon & Jamie? "Oh, molto tardi, in realtà. L’album era completo al 75% quando abbiamo telefonato a Dan. Ma con questo non voglio assolutamente ridurre la sua importanza nel coinvolgimento al progetto: senza quel 25% i Gorillaz sarebbero stati tutta un altra cosa. È lui che ha coinvolto anche altri musicisti come Tina Weymouth o Kid Koala nel progetto. Quando è arrivato Dan avevamo le idee, avevamo le canzoni, avevamo la strumentazione: mancava, realmente, qualcuno che ci aiutasse a focalizzarci su quello che stavamo cercando". Presenza indubbiamente necessaria, visto quant’è eterogenea la materia del disco. "È vero", conferma Jamie, "il pericolo c’era. Non è successo, e davvero non saprei dire perchè non sia successo. In realtà ci sono diversi aspetti della storia di questo disco che sono quasi inquietanti per come tutto è andato bene in maniera quasi misteriosa". "Credo", aggiunge Damon "che il segreto stia nel fatto che a nessuno degli ospiti sia stato chiesto di recitare sé stesso, ma semplicmente di "associarsi" a quello che stavamo facendo. C’era solo questa entità chiamata Gorillaz, e tutti portavano qualcosa a questa entità-cartone animato...".

A proposito di cartoni animati: mandare in prima linea dei personaggi cartoon, sia pure ricalcati su dei riconoscibili modelli "umani", non celerà un desiderio di invisibilità nei confronti del classico ruolo da rockstar? "Non esattamente" replica Albarn. "Come dicevo, è stato soprattutto un esperimento. Per me e gli altri musicisti partire da un cartone animato è stato un modo per sentirci liberi di muoverci in qualunque direzione. La cosa che ho notato è che se sei un cartone animato la gente tende a relazionarsi con te in una maniera molto più libera. E non solo i bambini, che vedono il cartoon dei Gorillaz e non si preoccupano di chi sia coinvolto "dietro", si divertono e basta. Proprio tutti: molta gente che trovava difficile ascoltare i Blur perchè i Blur li rimandavano alla mia, ehm... personalità, non hanno avuto invece nessun problema ad avvicinarsi ai Gorillaz". "E anche dal vivo", aggiunge Jamie, "la sfida era: sarà possibile fare un concerto nascosti dietro uno schermo da cinema su cui scorrono dei cartoon?" Risposta evidentemente positiva, anche se - a dire il vero - il gioco è fin troppo facile nel momento in cui tutti sanno CHI c’è dietro lo schermo...

Damon. Secondo me questo non fa che rendere tutto ancora più interessante. Dal nostro punto di vista è sicuramente qualcosa di molto interessante, visto che la sensazione che ha è quella di un vero concerto dal vivo, non fosse che sei dietro uno schermo bianco, e quindi non vedi la gente sotto il palco, li senti solamente.

Non e’ come essere in sala prove?

Damon. Assolutamente no. Casomai non vedere il pubblico ti permette di concentrarti molto di più su quello che stai suonando. Per me, personalmente, ha significato anche recuperare esattamente quello che perdi quando diventi una band da mega-festival e ti ritrovi a suonare sempre e soltanto su palcoscenici giganteschi di fronte a folle oceaniche. Anche in questo senso, credo, si tratta di un esperimento interessante.

Cosa rispondi a chi dice che - cartoon a parte - "i Velvet Underground già lo facevano trent’anni fa"?

Damon. Naah, non c’è confronto. Loro erano drammatici: noi, guardaci, siamo un cartone animato...

(da: Rumore, giugno 2001)





GORILLAZ: 22 marzo 2001. Londra, The Scala
di: Fabio De Luca

La curiosità è ovviamente molta, visto che molte sono le voci sentite circa questo primo (ed a quanto pare unico e non ripetibile) concerto del gruppo che unisce le intelligenze e gli ameni spiriti di Damon Albarn, di Dan The Automator, del fumettaro Jamie Hewlett ("papà" della veterana Tank Girl) e (occasionalmente) di una delle due Cibo Matto. Il The Scala a Kings Cross è dunque imballato fino all’inverosimile di gente (sold-out sin dalla settimana precedente il concerto) quando, dopo il breve dj-set di Automator sulla balconata sovrastante il palco, lo schermo si accende e... e niente: sembra di stare al pub con il televisore acceso su Mtv. Albarn e gli altri non si vedranno neanche per un istante (se ne intuiranno solo occasionalmente le sagome dietro la tela bianca dello schermo). Suoneranno per tutto il tempo in incognito, mentre sullo schermo scorreranno le curatissime computer-animations di Hewlett (che indiscrezioni darebbero essere costate la bellezza di 500 sterline al secondo). Praticamente il disco, per intero, con un video sopra. Vien da dire - giusto perchè siamo vecchi e snob - che suonare dietro uno schermo su cui scorrono delle proiezioni già lo facevano i Velvet trent’anni fa, con alcune varianti i Residents vent’anni fa, e probabilmente anche Burnt Friedmann e i Califone in qualche momento della loro vita l’avranno fatto. Poi però ti guardi in giro, ti rendi conto che l’età media del pubblico dei Gorillaz è 19-20 anni, e realizzi che, probabilmente, è una sorta di bisogno generazionale a fare sí che ogni dieci anni circa qualcuno si metta a suonare dietro lo schermo bianco. Famolo strano, insomma. Comunque divertente.

(da: Rumore, maggio 2001)