Stuart David: fold your book, child...
 

di: Fabio De Luca




Immaginate Belle And Sebastian che scrivono un libro. O meglio: immaginate il libro che chi conosca Belle And Sebastian solo per sentito dire immagina che loro potrebbero scrivere. Sarebbe ovviamente una storia di introversione, di relazioni umane difficoltose, ambientata in un luogo che sia il più possibile per definizione "inglese" (tipo: un giardino, un parco, qualcosa in cui la natura venga riconoscibilmente modellata dalla mano umana). Chi ha familiarità con la puntigliosa pignoleria narrativa di B&S starà in realtà già sbuffando: ridurre a stereotipo ciò che è per sua stessa intima natura lontano da qualunque stereotipo non li farà per nulla contenti. E se poi proprio bisogna parlare del campo d’indagine della poetica di Belle And Sebastian, si parli allora - piuttosto, quasi si trattasse del titolo di un dottorato di ricerca - di "difficoltà nella dimensione politica delle relazioni umane"...

Entra in scena Stuart David. O meglio: esce di scena Stuart David, il bassista, che lascia B&S all’indomani delle registrazioni di Fold Your Hands Child, You Walk Like A Peasant per concentrarsi sui "suoi" LOOPER, che c’entrano con B&S quanto Isaac Asimov potrebbe c’entrare con Geoffrey Chaucher. Ed entra in scena Stuart David, che nel 1999 pubblica il suo primo romanzo, Nalda Said, scritto in realtà tre anni prima (quindi in piena epopea B&S), ed uscito in questi giorni in traduzione italiana per la Piccola Biblioteca Oscar Mondadori con il titolo Nalda diceva. Totalino degli anni trascorsi dalla sua stesura al suo atterraggio nella Feltrinelli all’angolo: sei. Nel frattempo Stuart ha, come si diceva, lasciato B&S, fondato i Looper (che usciranno prima dell’estate 2002 con il loro secondo album, The Snare) e pubblicato un secondo romanzo - The Peacock Manifesto - che è uscito in Uk circa un mese fa e sta creando un piccolo caso grazie anche ad un bizzarro gioco di rimandi tra realtà e fiction (in pratica: contemporaneamente alla pubblicazione salta fuori questo tipo, un americano, un piccolo pregiudicato per crimini di poco conto, che sostiene di essere il vero ispiratore della storia scritta da Stuart... maggiori dettagli qui). E noi? Noi niente (per ora). Tranne un libro piccino e tenerissimo nel quale è tempo sprecato cercare di trovare una qualunque continuità con il mondo di Belle And Sebastian. Nalda diceva è la storia di un personaggio che... che non si capisce bene chi sia o quale sia il suo stato di salute mentale, per dirla tutta. Si sa che è stato allevato da una zia (Nalda appunto), che gli ha imbastito tutta una serie di storie bellissime e fantasiose sulle sue origini e quelle della sua famiglia, e soprattutto gli ha insegnato ad essere un bravissimo giardiniere, il più bravo di tutti. E si sa che "T" (è tutto ciò che lui rivela al lettore circa il suo nome...) periodicamente scappa via, facendo perdere le proprie tracce, per paura di qualcosa che non sarebbe giusto vi rivelassimo qui, e che vi accorgerete però di come possa essere agevolmente letto su due piani, uno oggettivo ed uno squisitamente simbolico (e su quello simbolico, ahinoi, ne converrete di come siamo tutti un po’ "T"...).

La differenza con gli altri picchiatelli celebri del cinema e della letteratura sta in un trucco narrativo molto intelligente, anche perchè quasi invisibile: facendolo raccontare in prima persona, David ci permette di simpatizzare con la totale completa naiveté del protagonista, sospeso in una twilight zone dai contorni comunque molto precisi e riconoscibili, ma al tempo stesso ci costringe anche - cinicamente - a prenderne le distanze, proprio perchè vediamo lucidamente delinearsi la causa-effetto delle sue (ir)razionali paure... "Molte persone", ci ha rivelato Stuart David nel corso di un complesso carteggio via e-mail, "mi hanno confessato che leggendo il libro hanno più volte sentito un sorta di bisogno di urlare al protagonista "no... NO! smettila... NO ACCIDENTI! non è così, è la tua mente che ti sta ingannando!". Molti mi hanno detto di aver terminato il libro con un senso di frustrazione, perchè non hanno potuto fare nulla per cambiare il corso degli eventi narrati". Forse perchè, come si diceva sopra, in "T" leggiamo - amplificati - certi comportamenti che sono anche nostri... Il che potrebbe portarci ad un paragone più o meno sensato con un’altra storia di naiveté molto alla moda di questi tempi: Il fantastico mondo di Amelié. "Beh...", riflette Stuart, "il film tra l’altro mi è piaciuto, ma c’è una radicale differenza tra Amelié e il mio libro: è difficile sostenere che il messaggio di Nalda diceva sia che "essere naivé è bello", perchè nel libro ciò che vedi è tutto il dolore e la distruzione che il modo di essere di "T" - il cui comportamento naivé è una delle conseguenze, ma solo una - porta a lui ed a quelli che gli stanno attorno". Da cui l’intelligente cinismo di cui si diceva prima: letteralmente contro qualunque tentazione di buonismo.

Quello che emerge parlando con Stuart, fra le altre cose, è la sua grande passione per il cinema. Anche se la sua convinzione è che - specie negli ultimi tempi - sia sempre più difficile che un film sia meglio di un libro perchè "nei film non ti lasciano guardare dentro un personaggio tanto quanto puoi farlo leggendo un libro" (ci sono ovviamente le eccezioni, e Amelié è secondo Stuart una di quelle). Il discorso viene fuori parlando di una sua antica passione, le cosiddette "ink Polaroids" o Polaroid d’inchiostro, forma d’arte teorizzata dal Nostro nel 1997 come risultante di "un modo per poter fare delle fotografie anche quando non hai con te una macchina fotografica ma solo una vecchia penna" (ne trovate forse ancora traccia qui). La domanda era - partendo dal presupposto che una Ink Polaroid è un modo per fare una foto usando la parola scritta - se un romanzo valga dunque come una sorta di "Ink Movie" (film d’inchiostro). E la risposta è che, no: fondamentalmente per le ragioni appena dette, cioè che un film, anche se d’inchiostro, non permette il grado di approfondimento sui singoli personaggi che un romanzo invece permette. C’entrerà qualcosa - invece - tutta quell’ondata new-wave decisamente "letteraria" che ha attraversato il Nord dell’Inghilterra nei primi Ottanta (Josef K, Happy Family, Orange Juice) con la formazione di una coscienza narrativa nel giovane Stuart? Apparentemente le risposta è ancora no. "Vengo da un paese chiamato Alexandria" racconta Stuart, "che è a circa a venti miglia da Glasgow. Più o meno nel 1995 mi sono spostato a Glasgow. Le band che citi erano di poco precedenti a quando io ho cominciato a interessarmi di musica - anche se so che Stuart Murdoch ed altri in B&S le conoscono e le amano. Quando ho cominciato ad ascoltare musica mi piacevano Duran Duran e Japan, poi ho scoperto Bob Dylan e Leonard Cohen". Fino a diventare lui stesso, anni dopo, oggetto di venerazione da parte dei fans di Belle And Sebastian (notoriamente tra i più "coinvolti" ed attenti in circolazione!). "L’attenzione che ho ricevuto come membro di B&S è uno strano argomento, perchè come musicista tu sei consapevole che la relazione che si instaura è tra la gente il tuo lavoro, ma il problema nasce quando qualcuno tra il pubblico comincia a non riuscire più a separare il tuo lavoro da te che l’hai fatto. Ricordo situazioni in cui mi trovavo di fronte a persone in lacrime o scosse da tremori - e questo per il modo in cui le nostre canzoni li facevano sentire, per il modo in cui si relazionavano ad esse. Ma erano le canzoni ad essere speciali, non noi, che eravamo delle persone assolutamente normali e piene di problemi come loro! Questa è una cosa che certi fans faticano a comprendere, ed è bizzarro...". In definitiva qual’è dei due mondi quello più isterico? Quello letterario o quello dell’indie-rock? Certo, un critico letterario per lo meno non ti chiederà per la milionesima volta perchè hai lasciato B&S... "Penso siano bene o male la stessa cosa. L’unica differenza è che, nel mondo letterario, per sollevare reazioni realmente isteriche non basta che lasci una band per formarne un’altra. Devi proprio essere... morto! Si, essere morto è l’unico modo per avere una reazione di qualche tipo dal mondo letterario!".

(da: Rumore, aprile 2002)