Tosca + The Dining Rooms: due dischi, quattro musicisti e sette bambini
 

di: Fabio De Luca




Tosca e The Dining Rooms: due progetti nati dentro a quel mondo cinematico e dilatato che una decina di anni fa si sarebbe ancora definito "trip hop" ed oggi si potrebbe incasellare più o meno alla voce "ambient soul". Al di là del fatto di essere austriaci gli uni (Tosca) e italiani gli altri (Dining Rooms), sono in realtà un bel po’ le cose che li accomunano. Li accomuna ad esempio il fatto di essere entrambi un duo: Rupert Huber e Richard Dorfmeister sono Tosca, Stefano Ghittoni e Cesare Malfatti i Dining Rooms. Tutti e quattro non sono esattamente dei giovinetti di primo pelo, e in ambedue i casi uno dei componenti ha anche una carriera preesistente di un certo rilievo che ancora porta avanti: Richard Dorfmeister nel duo electro-downtempo Kruder & Dorfmeister, Cesare Malfatti con i La Crus. Ancora, li accomuna il fatto di avere tre album all’attivo e di avere con una certa regolarità pubblicato album "gemelli" contenenti versioni alternative o remixate degli album ufficiali. Per ultimo li accomuna anche il fatto di avere tutti e due da poco pubblicato un nuovo album: J.A.C. per Tosca e Experiments In Ambient Soul per i Dining Rooms. A pensarci bene ci sarebbe poi un’altro elemento in comune: il fatto che tutti e quattro sono già felicemente padri. Nel caso di Huber & Dorfmeister la paternità è un evento abbastanza recente, avvenuto in contemporanea con la produzione del nuovo disco (al punto che il titolo dell’album sono le iniziali dei nomi dei tre rampolli: Joshua, Arthur e Conrad). La squadra italiana vince però in quanto a prolificità: Stefano Ghittoni è a quota due (sei e tre anni rispettivamente), così come Cesare Malfatti (otto anni e sei). In ogni caso: abbiamo pensato di sottoporre gli uni e gli altri al rito - quasi televisivo - dell’intervista doppia...


I vostri bambini reagiscono già alla musica, ed alla vostra musica in particolare?

Rupert Huber: Oh, assolutamente si! I bambini adorano il nostro nuovo disco: anche se a dire il vero piangono sempre quando lo sentono! Forse perchè sanno che quando lavora ad un disco nuovo papà passa poco tempo a casa, eh eh eh... Comunque adesso che lo abbiamo finito, abbiamo deciso di prenderci un lungo periodo per stare con le nostre famiglie.

Stefano Ghittoni: I bambini sono affascinati dallo studio, per loro è il gigantesco giocattolo di papà... E sono anche molto attenti alla musica: tempo fa ho portato Matteo - il più grande - ad un raduno di breakers, e lui sembrava annoiato. Poi invece a casa si è messo a rifare i movimenti base del break con una precisione che dimostrava con quanta attenzione avesse guardato lo spettacolo...

Vi è mai successo di entrare un posto - un negozio, oppure un club - mentre proprio in quel momento sta suonando un vostro pezzo? che sensazione avete provato?

Richard Dorfmeister: Ogni volta che in un negozio suonano un mio pezzo la prima cosa che faccio è guardare le ragazze, cercare di vedere se anche un ascolto distratto del pezzo genera qualche reazione, fosse anche solo una smorfia nei lineamenti, un muovere la testa a ritmo.

Stefano Ghittoni: È bello, hai la sensazione di aver colpito nel segno, e poi l’approvazione di un collega dj è sempre una soddisfazione. Negli ultimi due anni poi in un paio di casi è successo che dei nostri pezzi sono stati scelti per la colonna sonora di telefilm come Sex & The City, o CSI Crime, Six Feet Under... che è un tipo di soddisfazione diversa rispetto a sentire un dj che suona un tuo pezzo, certo.

Dunque non vi preoccupa il fatto che talvolta la vostra musica possa essere un semplice "sottofondo" mentre la gente fa altre cose?

Richard Dorfmeister: No davvero. Molti produttori considerano un limite che la propria musica possa essere utilizzata come sottofondo, quasi che il fatto di essere "funzionale" voglia dire che è una musica priva di personalità. Ma in un mondo in cui molta gente non ha il tempo o la voglia di ascoltare un disco per intero, un tipo di consumo "casuale" come questo diviene secondo me molto importante. La cosa che ci sta veramente a cuore è che la musica venga suonata, che sia lì fuori, nel mondo reale: anche quando il mondo reale significa un bar rumoroso o un negozio affollato.

Stefano Ghittoni: Beh, sarà pure un cliché, ma alla fine la principale funzione della musica è proprio quella di essere colonna sonora della vita... quindi no, non ci preoccupa. E poi: è vero, alcuni nostri pezzi - specie nel nuovo album - sono delle vere e proprie canzoni e come tali vanno ascoltate. Ma il fatto di creare musica come fosse anche un elemento d’arredo è tutto sommato una componente che nei Dining Rooms era presente sin dagli inizi.

Ovviamente la vostra musica è estremamente morbida, ricercata e riflessiva: ciò detto, qual’è il vostro disco punk preferito, se ce n’è uno?

Rupert Huber: Never Mind The Bollocks dei Sex Pistols, difficile fare di meglio...
Richard Dorfmeister: Uhmm... nella mia visione delle cose "punk" non è qualcosa che devi per forza ricondurre alle categorie estetiche del punk... per me Miles Davis era punk...

Stefano Ghittoni: Non è strettamente un disco punk, ma il mio preferito è 154 dei Wire... oppure Pink Flag, sempre dei Wire. Devo dire che del punk ho vissuto soprattutto la ricaduta new wave: i Joy Division ad esempio sono stati una grande influenza. Di strettamente punk forse il ricordo più forte che ho è White Riot dei Clash.

Potete descrivere il luogo, l’ambiente in cui create la vostra musica?

Ruper Huber: Per noi la cosa più importante è che il momento della composizione e della registrazione sia il più separato possibile dalla vita reale... In questo senso potremmo davvero lavorare in qualunque luogo rispetti questo standard. Il nostro studio è molto tranquillo, molto artificiale... dobbiamo essere in grado di raggiungere un determinato tipo di concentrazione nella quale è come se la percezione del mondo circostante venisse meno e ci siamo soltanto noi e i suoni sui quali stiamo lavorando...

Stefano Ghittoni: Lo studio è praticamente dietro via di Porta Ticinese, quindi in pieno centro di Milano. Siamo tra Conchetta e l’Auditorium della Musica... È uno studio molto luminoso, c’è una grossa vetrata nello spazio sociale, dove ci sono la cucina e il tinello. Noi siamo al primo piano, e al piano terra del cortile interno c’è un meccanico che quando facciamo le prove con la band si lamenta del rumore...

C’è un posto "speciale" nel mondo che ha ispirato particolarmente la vostra musica?

Richard Dorfmeister: Non siamo dei grandi viaggiatori... siamo un po’ come Giulio Verne, lo scrittore: non si è mai spostato dalla sua città natale, eppure ha scritto libri come Il Giro del Mondo in 80 Giorni...

Stefano Ghittoni: I precedenti tre dischi erano stati fortemente influenzati dal dualismo Milano-Catania, un dualismo che diventava anche confronto tra caldo-freddo, comunicazione-incomunicabilità, ritmo lento-ritmo veloce... Catania è per molte ragioni ancora molto presente nella vita dei Dining Rooms, ma forse il nuovo disco è emotivamente un po’ più vicino a Milano di quelli che l’hanno preceduto.

Come descrivereste, a parole, la copertina del vostro nuovo disco?

Richard Dorfmeister: Sono le montagne russe di un parco dei divertimenti. È un messaggio per i nostri bambini, per quando saranno più grandi: la vità può avere degli alti e bassi, proprio come le montagne russe, ma è sempre comunque un gran divertimento!

Stefano Ghittoni: È La Defense, a Parigi. Non c’è nessun particolare omaggio alla città, è solo che Maria Arena - che collabora spesso con noi per i visuals - era appena tornata da un mese a Parigi dove ha lavorato ad uno spettacolo di teatro-danza e dove ha scattato un sacco di foto tra cui quella che poi è finita in copertina. Ci è piaciuta perchè è un po’ come i Dining Rooms: postmoderni, ma con cuore...

(da: Hot, luglio 2005)