Il culto di Bruce: gli springsteeniani fanno "oh!"
 

di: Fabio De Luca




Un tour di Bruce Springsteen non è mai semplicemente solo un calendario di concerti uno dopo l’altro. Non per i suoi fan almeno, gli "springsteeniani", quelli per i quali l’evento - nello specifico: stasera Bologna, lunedì Roma e martedì Milano - è ogni volta un qualcosa che sta a metà tra il derby della squadra del cuore e un appuntamento galante. Che poi: ogni artista ha il suo zoccolo duro di seguaci, quelli che non si accontantano di vedere un solo concerto di un tour ma cercano di vederne almeno due o tre, meglio se all’estero. Springsteen però di più: più degli U2, più di chiunque altro. Nel suo caso colpisce poi la fedeltà nel tempo, il fatto che molti dei fan di oggi siano persone ben oltre i quaranta che non hanno minimamente perso la voglia e l’entusiasmo di andarlo a sentire.

Merito della proverbiale generosità di Springsteen: uno che che sul palco non si è mai risparmiato, che in 32 anni di carriera raramente ha mandato qualcuno a casa insoddisfatto da un suo concerto. Anzi: tra i superpoteri springsteeniani pare sia contemplata anche la capacità di convertire gli scettici. "Al primo concerto di Springsteen mi ci hanno portato", racconta ad esempio Gianluca Morozzi, classe 1971, scrittore, springsteeniano al punto che il suo debutto del 2003 (Accecati dalla Luce, Fernandel) ruba il titolo ad una canzone di Springsteen e racconta le peripezie di un gruppo di fan. "Era l’aprile 1993, a Zurigo. Quelli che mi hanno coinvolto erano veri springsteeniani, mentre a me Springsteen piaceva, ma non al punto di considerarmi un fan. Beh... il concerto mi ha colpito al punto da rimanere a Zurigo per altre ventiquattr’ore e vedermi anche la data del giorno dopo!". Conoscendo la materia dall’interno Morozzi ha provato anche a redigere una classificazione per tipologie ricorrenti del fan springsteeniano. Sette le categorie identificate: competitivi, emotivi, distaccati, guerrieri, nozionistici, aneddotici e scontenti. La più pericolosa? "I guerrieri: sono quelli per i quali ai concerti vale solo la legge della giungla e farebbero qualunque cosa pur di arrivare in prima fila". La più diffusa? "Quella degli aneddotici" dice Morozzi: "non esiste springsteeniano che non abbia almeno un aneddoto da raccontare circa un concerto o un suo incontro ravvicinato con il Boss".

Già, i racconti. Tutti rigorosamente in prima persona, quasi tutti leggendari. Molti iniziano con il concerto del 21 giugno 1985 a Milano, un vero spartiacque, "il concerto che Bruce ha sempre dichiarato essere stato uno dei cinque più belli della sua carriera" scrive Luca De Gennaro nel suo libro in uscita a giugno per Mondadori, E Tutto il Mondo Fuori (in realtà un diario dell’ultimo tour di Vasco Rossi). "Quel giorno Springsteen venne definitivamente consacrato come superstar in Italia. C’eravamo tutti. Forse troppi. Quel giorno la sensazione di noi springsteeniani della prima epoca fu che il "nostro" Bruce era diventato ormai troppo di massa". Certo, per esserci c’erano veramente tutti. Tutta la base degli springteeniani VIP: da Serena Dandini - "scatenata" la ricordano i suoi vicini di posto - a Gianni Minà. Lo springsteeniano doc invece - pare di capire - Bruce lo aveva già visto quattro anni prima, 11 aprile 1981, all’Hallenstadion di Zurigo. Altro concerto spartiacque: "Sotto il palco si sentiva parlare praticamente solo italiano" ricorda Ermanno Labianca, forse il massimo esperto di cose springsteeniane in Italia. Autore di numerosi libri sul Boss, Labianca è appena tornato dagli Usa dove ha ricostruito insieme al fotografo Giovanni Canitano i primi anni di vita di Springsteen nei luoghi che l’hanno visto bambino e adolescente. e dove ha assistito in anteprima ad alcune date del tour "acustico" che tocca l’Italia in questi giorni. "È un concerto molto intenso, molto simile a quelli del tour di The Ghost Of Tom Joad" dice Labianca: "forse meno solenne, Springsteen alterna la chitarra al piano, un organo a pedale e persino un banjo elettrico". Un uomo solo contro gradinate piene di gente: le premesse per scrivere altre pagine di mitologia springsteeniana ci sono tutte. È pensabile non esserci? Ovviamente no.

Chi ci sarà sicuramente è Alberto Fortis, insospettabile springsteeniano della prima ora: "L’ho visto la prima volta nel 1980, era appena uscito The River... io ero in California che stavo registrando Tra Demonio e Santità. Poi molte altre volte, quasi sempre negli States: New York, Los Angeles... e nel 2002 a San Siro, sotto la pioggia. Nell’ottobre 2003 ho mancato per un soffio il concerto allo Shea Stadium di New York nel quale è salito sul palco anche Bob Dylan". E il punto di vista di un cantante sulla prova anche atletica che rappresenta per Springsteen ogni suo concerto? "Ti sorprende la sua forza fisica, il suo cantare per tre ore di fila senza il minimo cedimento. Dal vivo capisci il perchè della sua grandezza: sul palco è veramente un guerriero, un capo tribù". La parola adesso passa ai fan. Che dovranno contenere il sacro fuoco, perchè stavolta Springsteen chiede esplicitamente di non urlare e non chiedere canzoni, insomma nulla che possa turbare l’atmosfera del concerto. Un gruppo di fan romani - capitanati da Francesco, pubblicitario quarantaseienne - hanno però escogitato una soluzione: srotoleranno un lenzuolo con le parole "Tanderò, Tanderò!", trascrizione maccheronica di una delle più intense ballate del Boss, Thunder Road. Lui - dall’altro dei suoi superpoteri springsteeniani - sicuramente capirà.

(da: Io Donna, 4 giugno 2005)