Malcolm McLaren: comprereste un’auto usata da quest’uomo?
 

di: Fabio De Luca




La prima cosa a colpirti di Malcolm McLaren in fondo la sapevi già da sempre: quest’uomo è un venditore di automobili. Basta che apra bocca per capirlo. McLaren è la classica persona che riuscirebbe a venderti qualsiasi cosa - anche un’automobile usata - con la sola forza del suo parlare. Gli viene naturale, la cosa più naturale del mondo. Ovviamente adesso ti spieghi tante cose del suo passato (cose che, di nuovo, in cuor tuo hai sempre saputo). Il fatto di essere passato alla storia come l’inventore del punk - etichetta filologicamente imprecisa legata al suo pionieristico lavoro di marketing e management sui Sex Pistols - ma soprattutto la sua natura di spericolato contaminatore, di primo vero veicolatore di stili "underground" nella Londra di metà anni Settanta. Le buone intuizioni bisogna anche saperle vendere, no? E’ un fatto che chiunque si occupi o si sia in qualunque misura occupato di stili e di tribù giovanili gli debba qualcosa, o si sia comunque trovato almeno una volta a confrontarsi con le conseguenze del suo trafficare tra musica, moda, grafica, situzionismo e visioni politiche tra estrema sinistra e primato della libera impresa.

Intanto però, la prima cosa che ci tiene a farti sapere due secondi dopo che vi hanno presentato è che c’è un suo pezzo nella colonna di Kill Bill 2. Già, il film è uscito in Italia esattamente un weekend fa, e il pezzo di Malcolm - About Her: un melanconico pastiche di Bessie Smith, She’s Not There degli Zombies e battuta bassa vetero-triphop - troneggia in quello che è forse il momento di maggior pathos dell’intero film, pochi istanti prima dello scontro finale tra Uma Thurman e Bill. Non sarebbe nemmeno un pezzo da buttar via, se - per dire - uno non conoscesse già a memoria l’opera omnia di Dj Shadow, e non avesse sul proprio computer alcuni giga di bastard-pop scaricati negli ultimi due anni e mezzo dalla Rete... Oddio, come si farà adesso a dire a Malcolm McLaren che il suo nuovo pezzo di cui va tanto orgoglioso è praticamente un brutto pezzo di Dj Shadow?!? Semplice, non glielo si dice. E non perchè l’uomo metta particolare soggezione, ma proprio perchè non ce ne sarà occasione. Una volta che inizia a parlare Malcolm McLaren non prevede più la presenza di un interlocutore che possa interromperlo o chiedergli spiegazioni. Fai appena in tempo a chiedergli dove viva oggi (tra Parigi e New York: perchè, dice, "Londra ormai è morta"), poi basta. Ti investe di parole come un televenditore, ti fissa, zooma con la sua faccia verso la tua come ti volesse prendere a testate. La camicia rosa che esce dal gessato (Prada), la faccia rubizza che esplode dalla camicia rosa, e la famosa zazzera rossa oggi tagliata corta e ricondotta alla ragione. McLaren pronuncia ogni parola come fosse un comizio. Non sapessi chi è e cos’ha fatto nei suoi quasi sessant’anni di vita potresti pensare sia un signore tra i tanti pescato la domenica mattina allo speaker’s corner di Hyde Park, immortalato dalle fotocamere dei turisti giapponesi mentre pontifica sulla fine dell’Occidente. Perchè ovviamente in quanto a pontificare McLaren non è secondo a nessuno. No future? Già, alla fine siamo sempre lì. A cercare alternative a quell’unico futuro deciso dall’alto e venduto come unico e inalienabile.

Dice McLaren: "Qualsiasi dibattito attorno all’arte oggi, qui in Occidente, non può prescindere da due concetti fondamentali: autenticità e karaoke". Lo dice all’attenta platea milanese di una conferenza dal titolo Dal trash al cool, sponsorizzata dal consorzio che si occupa del riciclo e del riuso dell’alluminio in Italia. Questa è la ragione per cui McLaren è a Milano: dire la sua sul futuro del mondo e della cultura. "Autenticità e karaoke definiscono perfettamente l’oggi come lo viviamo quotidianamente", aggiunge: "capire questo significa aver colto la natura più profonda dell’oggi. Il mondo in cui viviamo oggi non è più un mondo reale ma un mondo-karaoke, quindi finto, che per contrasto porta dentro sé un costante inesauribile desiderio di autenticità". Segue concione sui politici-karaoke, sull’economia mondiale basata sullo shopping, oltre alla suggestiva immagine dei grandi magazzini che "hanno sostituito la chiesa come luogo nel quale si apprende la coscienza di sé". Insomma: niente che già non sapessimo, niente che già non ci avessero spiegato negli ultimi vent’anni fior di Fukuyama, Rifkin e Baudrillard. Però, certo, lui - in quanto venditore di automobili - anche le cose di seconda mano te le racconta che sembrano nuove di zecca... Anche quando ti dice di quella che secondo lui è l’unica tribù significativa del mondo moderno, quella che unisce tutta la generazione dei 14-24enni. "Sono la prima generazione non legata allo shopping", annuncia, "e dunque impossibile da controllare attraverso il consumo. I loro idoli sono gli hacker, non le popstar. Scaricano la musica dalla Rete e modificano i GameBoy per produrre techno a bassa fedeltà: il suono dei videogiochi di prima generazione, che per loro è il suono dell’innocenza".

Alla fine vorresti chiedergli diecimila cose. Se ai tempi dei Sex Pistols c’era nella sua testa un preciso disegno di manipolare l’industria discografica oppure fu solo un navigare a vista battendo cassa il più possibile. Se non sia troppo ottimistica la visione di questi 14-24enni "liberati" dalla tecnologia (che saranno pure liberati, però alla fine quello che scaricano di più è pur sempre l’Eminem imposto dall’industria culturale. E poi non compreranno i dischi, ma le sneakers invece eccome se le comprano...). Ma non c’è tempo, e comunque lui non ti sta a sentire. Gli chiedi giusto se gli è capitato di vedere il suo ex sodale John Lydon fare il punk di mezza età nell’edizione inglese dell’Isola dei Famosi. Malcolm sorride con il famoso ghigno di trent’anni fa. "Ecco!", dice, "ecco l’ennesima dimostrazione del fatto che viviamo in un mondo karaoke". Ok, ok, Malcolm, la compro. Non mi interessa quanti chilometri ha fatto, non mi interessa in che condizioni sono i freni. So anche che mi stai fregando, non so perchè ma lo so. Però almeno tu all’Isola dei Famosi non ci saresti mai andato, vero? Neanche se ti avessero invitato.

(da: Hot, giugno 2004)