The Osbournes: gruppo di famiglia in un inferno
 

di: Fabio De Luca




Immaginate questo: cinque anni fa un indovino paragnosta suona alla porta di casa vostra e vi dice che nel 2002 il programma più visto della tv via cavo statunitense (nonchè - attenzione - il più visto nella storia della tv via cavo) sarà uno show imperniato sulla vita privata di Ozzy Osbourne e la sua famiglia. Seriamente, cosa gli avreste risposto? Ok, ormai siamo abituati a tutto: ma questo... Persino Il Grande Fratello ce l’eravamo in qualche modo immaginato, prima che esistesse, fantasticando a notte fonda con amici fidati (alcuni dei quali futuri massmediologi di grido) di rivoltare in chiave televisiva certi durissimi esperimenti di psicologia sociale anni Settanta tipo la celebre prigione di Stanford. Poi qualcuno con più fegato di noi l’ha fatto veramente: ma questo...

I fatti: The Osbournes è stato il fenomeno televisivo e di costume dell’ultima stagione. Lanciato da Mtv Usa, è arrivato da poco in Uk e si prepara a sbarcare, il mese prossimo, anche su Mtv Italia. The Osbournes non è tecnicamente un format nuovo, ma di fatto lo è, trattandosi in pratica del collasso di gruppo di tutti i format preesistenti che vi possano venire in mente. Una sorta di sovrapposizione fuori controllo e fuori sincrono di The Real Life, Il Grande Fratello, Scherzi A Parte, Per Tutta La Vita, più qualunque sit-com "familiare" che lo schermo di un televisore vecchio di almeno vent’anni possa ricordare. In pratica: prendi una famiglia famosa "vera", riempi la loro casa "vera" di telecamere, registra le loro "vere" chiacchiere quotidiane sul nulla, confeziona uno show di mezz’ora, mandalo in onda e vedi che succede. Un dettaglio: il fatto che la famiglia famosa e "vera" messa sotto i riflettori sia quella di Ozzy Osbourne - un personaggio da almeno venticinque anni estraneo a qualunque nozione di "coolness" - fa di The Osbournes e del suo successo una sorta di caso-Enron all’incontrario. Una barzelletta per executives televisivi: qualcosa che nessuno poteva immaginare, che nessuno aveva previsto, ma che alla fine è successo.

Una puntata a caso: Ozzy "fa Ozzy", spaventa il postino, fa le facce al cane di casa, litiga col telecomando del decoder e si lamenta. Praticamente uno di noi (a parte spaventare il postino). Come da storica lezione sit-com: fai vedere alla gente dei modelli in cui si possano riconoscere, magari appena un poco peggiori di loro, così che dal confronto possano uscire sentendosi migliori. Un’altra puntata a caso: Kelly, la figlia diciassettenne, si lamenta del fatto che la madre abbia fissato una visita da ginecologo senza consultarla. "Non permetterò a nessuno di ficcare un dito su per la mia vagina!". Altro che Simpson: doppi sensi fuori-campo come se piovesse, riflessioni sottotraccia sulla difficoltà di un’adeguata educazione sessuale, l’improvvisa consapevolezza che delle figlie della famiglia Bradford nessuno ci ha mai detto neanche se abbiano o meno avuto le mestruazioni, e se siano state regolari o irregolari (secondo l’altra regola aurea per cui l’unico fluido organico televisivamente presentabile sono le lacrime: Bevis & Butthead faranno molto per estendere il diritto anche al muco nasale ed al vomito, mentre X-Files sublimerà il problema puntando direttamente a liquidi di ignota natura extraterrestre).

La fregatura è tutta nel format. Perchè The Osbournes potresti anche guardarlo distrattamente e con la mente in modalità fast-forward, come ormai guardi - quando capita - i Simpson o qualunque rerun di Happy Days. Ma, da qualche parte, a guastarti la festa, c’è sempre la consapevolezza che alla fine di un reality-show si tratta, e che dunque per quanto taroccate e tariconate le cose che vedi succedere sullo schermo dovrebbero pur sempre avere degli addentellati con la "vita vera" delle persone coinvolte, dei quattro componenti la famiglia Osbourne. La domanda è molto semplice: dove finirà la realtà e dove comincerà la fiction in questa bizzarra variante family di docu-drama? In fondo è la stessa che da anni ci poniamo di fronte a qualunque show televisivo, telegiornali inclusi. E la risposta, a pensarci bene, non è nemmeno così importante, dal momento che a casa Osbourne sembra non succedere mai niente che possa far pensare ad una montatura. Anzi: a ben guardare a casa Osbourne si parla, si parla, ma non succede proprio nulla (proprio come nel Grande Fratello). Persino la favoleggiata cattiveria del pater-familias, in gioventù noto mangiatore di pipistrelli, non è poi così cattiva. Ozzy continua eroicamente la grande tradizione dei padri tontoloni inaugurata alcuni eoni fa da Tom Bosley in Happy Days (e appena scalfitta da George Jefferson nei Jefferson’s e Homer Simpson nei Simpson), eroe di una quotidianità eccentrica ma pur sempre "quotidiana", e come tale facilmente riconducubile ai canoni della normalità.

"L’unico dubbio prima di accettare", ha dichiarato Ozzy, "riguardava i miei tre figli: se essere così esposti avrebbe in qualunque modo compromesso il loro equilibrio. Poi mi sono detto che in fondo loro erano già sotto i riflettori per il fatto di essere miei figli, e quindi tanto valeva". Una delle figlie, intanto, ha dato forfait prima ancora che la prima telcamera mettesse piede in casa. Come la protagonista di un sorprendentemente attinente romanzo giapponese tradotto in italiano lo scorso anno (Yu Miri, Scene di famiglia, Marsilio), la figlia maggiore di Ozzy, Aimee,19 anni, ha deciso di rimanere fuori dalla sitcomizzazione della vita in casa Osbourne. Paradossalmente, anzichè indebolire l’effetto d’insieme, la sua scelta non ha fatto che rinforzare ulteriormente la sensazione di incombente "realtà" che circonda lo show. Così ri-formattato, il nucleo familiare degli Osbourne è ancora più perfetto per la messa in onda: c’è Ozzy, più Homer Simpson di Homer Simpson stesso; c’è la moglie-manager Sharon (figlia dello storico manager dei Black Sabbath, lei stessa è stata manager degli Smashing Pumpkins ed ha un ruolo rilevante nella gestione dell’OzzFest); c’è il figlio indie-nerd sedicenne Jack e c’è la figlia diciassettenne moderatamente ribelle Kelly. E, forse in omaggio all’ormai sterminata letteratura sociologica sullo scambio di ruoli nelle famiglie degli ex-baby boomers, i due poli più equilibrati - ancorchè cronicamente annoiati - della famiglia sembrano talvolta essere proprio i due teenagers. "Non sento di aver guadagnato nulla di tutto questo" dichiarava Jack alla rivista The Face lo scorso luglio riguardo al successo dello show: "Non sono un artista tormentato che finalmente ce l’ha fatta. Sto semplicemente seduto a casa mia grattandomi il culo, e la gente lo trova divertente".

E parlando di soldi: perchè una ditta come la "Ozzy Osbourne srl", il cui fatturato già è valutato attorno ai 57 milioni di dollari, dovrebbe mettersi in piazza - sia pure in cambio di un assegno calcolato attorno ai quattordici milioni di dollari (solo per la prima serie - royalities escluse)? Per diventare ancora più ricchi, ok: ma oltre a questo? Interessante la tesi sostenuta dalla rivista statunitense Rolling Stone: Ozzy ha soltanto da poco tempo "risolto" tutti i suoi problemi di dipendenza, ma come tutti i forti ex-consumatori di droga ha bisogno di essere costantemente tenuto impegnato per evitare di venire nuovamente risucchiato dal "vuoto". E cosa c’è di meglio per tenere impegnato un ex-junkie che piazzargli in casa dodici telecamere che lo seguono diciotto ore al giorno sei giorni la settimana? C’è poi naturalmente il gusto della sfida paradossale, contro l’ignoto del vuoto catodico e del pubblico al di là del televisore. E, involontariamente, il recupero di quella dimensione "ironica" del rock’n’roll (e del metal) che il post-metal doloroso di Amen e Korn aveva fatto dimenticare. Proprio di ironia si parla, pura e semplice cara vecchia ironia. Perchè l’altro piccolo miracolo di casa Osbourne è proprio l’essere riusciti a non trasformare Ozzy (nonostante lui ce la metta tutta) nella triste parodia di sé stesso. A pensarci bene ha dell’incredibile, e il segreto probabilmente risiede proprio nello straordinario equilibrio "familiare" che nessuno sceneggiatore saprebbe ricreare in laboratorio. Sulla carta nulla di ciò che sono gli Osbournes dovrebbe funzionare: Ozzy è il fumetto della rokstar invecchiata e "con famiglia", una parodia degna della vis comica di Vianello/Tognazzi dei tempi d’oro; i due figli sembrano usciti dal word-pad dal nipote dell’inventore degli Addams: eppure, chissà come - boom - funzionano. Funzionano perchè probabilmente nemmeno ci provano ad essere nulla meno che reality: Perchè - come nella vita "vera" - è dalle sfumature della quotidianità che sgorga l’unicità dell’esistenza. Forse (ma bisognerebbe essere ricchi e famosi per saperlo) essere "reale" per chi già nasce iperreale è meno difficile di quel che si crede, abituati come siamo a vivere di paranoie sul quello che "vogliono farci credere" e sui modelli che vogliono imporci. Forse è questo il messaggio della famiglia Osbourne. Stranamente, questa volta, da questo Truman Show nessuno proverà a scappare.

(da: Rumore, settembre 2002)